Rosaria Spagnuolo, Ricocloun. Il sorriso che cura. Viaggio nella magia della clownterapia. Ianieri Edizioni 2024, pag. 188
Marisa Cecchetti
Si prova emozione e ammirazione profonda mentre scorrono le pagine che raccontano di questi clown speciali: si tratta dei volontari di Ricocloun, che vanno negli ospedali, nelle case per anziani, nei luoghi del dolore, per far nascere un sorriso perché “Un giorno senza sorriso è un giorno perso”, parola di Charlie Chaplin.
La Ricocloun ODV è una associazione di volontariato nata a Vasto grazie a Rosaria Spagnuolo e a suo marito, questo per mantenere una promessa fatta al figlio, scomparso a undici anni per una malattia rara, che aveva conosciuto nell’ospedale di Bergamo i clown dottori e ne era rimasto affascinato, tanto da chiedere alla mamma di fare in futuro la stessa cosa per gli altri. La madre si è chiamata clown Eric, dal nome del figlio Enrico, lo stesso che ritorna nel nome della associazione.
Con i loro camici coloratissimi dalle tasche grandi da cui escono come per magia oggetti di ogni genere, con i loro enormi nasi rossi, entrano nelle corsie con un allegro vociare, fanno sorridere infermieri e dottori, bussano alle porte, poi colgono subito lo stupore e la sorpresa negli occhi che si accendono, non soltanto quelli dei più piccini, ma anche di adulti, di anziani. Ricocloun fa magie con la carta e i colori, fa dimenticare a un bambino l’ansia dell’attesa di un intervento; riporta alla memoria degli anziani le canzoni in dialetto e li vede unirsi al canto con una gioia insperata che allevia il dolore, che rimarrà a ricordo nei giorni a venire, anche dentro a un letto d’ospedale. E può essere l’ultimo momento di serenità prima di una dipartita: “I clown con un filo di voce, accompagnati dalla chitarra, intonavano quel canto popolare in dialetto vastese e la signora Maria batteva a tempo il ritmo con la mano, mentre tante lacrime silenziose solcavano le guance dei figli, in una grande commozione generale. Mai come in quell’occasione le note avevano avuto un ruolo così bello, di commiato, di saluto, di ringraziamento”.
La fisicità è legata al benessere psicologico, le nostre difese immunitarie si indeboliscono se ci lasciamo travolgere dal pensiero di una malattia, perciò i Ricocloun in corsia sono attesi – e questo è già curativo perché dirige altrove la mente – e le magie che i clown compiono, l’allegria che diffondono, sono di grande aiuto per i pazienti e per lo stesso personale sanitario.
Non è facile far ridere chi soffre o un anziano in una casa di riposo che magari si sente depositato lì da una famiglia assente, non ci si può improvvisare, dunque i volontari non finiscono mai di frequentare corsi di aggiornamento: “Fare il clown volontario è diverso dagli altri tipi di volontariato, bisogna essere pronti a donare sé stessi, a mettersi in gioco e bisogna soprattutto essere autentici con le persone che si incontrano, perché spesso non servono parole ma basta uno sguardo ricco di comprensione e amore”.
Intanto Ricocloun in venti anni si è allargato e ha dato vita a tante altre iniziative che hanno valorizzato il territorio: “l’attività di bookcrossing in pronto soccorso e in tutti i reparti; il cinema in cappella; la musica in reparto; la pet therapy; l’arte terapia; gli spettacoli musicali e molto, molto altro. Poi tante attività nelle case di riposo, nelle case-famiglia e tanti eventi in piazza, ma siamo stati coinvolti anche con i terremotati dell’Aquila a Vasto nel 2009 e con quelli dell’Italia Centrale nel 2016 e molto di più prima della pandemia”.
Nel libro testimonianza della Spagnuolo sono riportate le voci di malati, di infermieri, di dottori, degli stessi clown, persone che lavorano, ma mettono a disposizione il proprio tempo libero per il volontariato, ognuno col suo nickname di fantasia: Lulù, Sampei, Trilly, Diddy, Frittatina, Buondì, Briciola, Paperotta, Ventolo, Pisolo, Farfallina… – già i nomi strappano un sorriso. E tanti altri, senza dimenticare clown Eric, la madre, la mente e il cuore alla base di tutto.