IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Serenità e inquietudine della politica in democrazia

parlamento in seduta

parlamento in seduta

di Paolo Protopapa

La mia impressione, assolutamente critica, è che i politici – molti politici, tanti politici, troppi politici – non se la passino male. E che la vecchia, antica sofferenza degli amministratori pubblici, quasi affranti per le difficoltà di rimuovere ostacoli e di risolvere problemi della comunità, sia oggi diluita e metabolizzata in un vero e proprio mestiere di rappresentanza. E che, per l’appunto, la loro funzione democratica rappresentativa stia stingendo in convenzionale e routinaria rappresentazione. È come se il loro obbiettivo sia prevalentemente costituito dalle carriere, più che dalla fatica di un lavoro duro e problematico.

Può darsi che la mia esperienza passata e la militanza comunista abbiano indirizzato il pensiero verso la trasformazione e non tanto verso la conservazione delle cose esistenti; e che, quindi, il mestiere politico finalizzato ad un mondo diverso esiga una macerazione all’accettazione ‘sic rebus stantibus’. Il che potrebbe privilegiare ed assorbire, nel politico indocile e riformatore, le energie volte ad una prassi aspra e realizzatrice e non , invece, il quieto vivere di una personale, rilassante strategia della proprie, legittime aspettative.

Se la qualità ordinaria della politica – così come viene prevalentemente vissuta in molte, variegate latitudini – sembra prigioniera di limitati ambiti di egoismi soggettivi, privi di slanci particolari e, soprattutto, scevri dalla selezione e dal controllo dei tradizionali organi selettivi e partecipativi (le ormai mitiche sezioni di partito), allora per il politico passare da ruoli e gradi e livelli apicali entro gli apparati e tra segmenti di apparati sostituisce l’autentica lotta tra avversari e antagonisti ideologici.

Per atteggiarsi, invece, in autentico surrogato vicario. Naturalmente non è facile per il politico affermarsi in un tale agone denso di mutua ostilità concorrenziale, interna ed esterna, anche perché ciò spesso avviene sia nel passaggio dalla burocrazia dell’apparato alle Istituzioni della politica, sia nella direzione inversa e, assai di frequente, entro gli stessi gangli di qualificazione gerarchicamente diversa, ma pur sempre nell’identico spettro.


A tal proposito l’insigne giurista Sabino Cassese, meno di un mese fa sul Corriere della sera, ha lamentato, seppure ‘en passant’, questo malcostume, cioè la disinvoltura con cui figure di significativo impegno politico entrano ed escono (come ha osservato Dario Stefàno) dalle “porte girevoli” del potere. Perché – al di là delle nostre pietose arzigogolature e ginnastiche dialettiche – qui di potere si tratta. Vale a dire di conservare i propri personali privilegi di status quale che sia la posta in gioco del proprio impegno e della propria missione, rappresentativa e non.
La prima domanda che ci poniamo, pertanto, a questo punto, è : a chi risponde il politico?

Alla propria coscienza, dovrebbe essere la risposta. Ovviamente. Considerando come coscienza l’imperativo categorico del proprio io che ubbidisce a sé stesso in quanto istanza interiore del comando disinteressato ‘erga’ tutto e tutti. Se davvero, tuttavia, fosse così, il politico non avrebbe vita amministrativa troppo lunga, poiché le questioni di principio affrontate, implicano una sorta di aut-aut tra scelta e risultato, obbiettivo e resoconto finale. Quali che ne siano le articolazioni e le specificità della questione affrontata. Ne discende che l’azione politica e, in quanto tale anche pubblica e sociale, diluita tristemente negli anni, oppure sostanzialmente contraddetta e dilavata in corso d’opera o, peggio ancora, obliata e tradita (talora scientemente), legittimano il banco di prova del lavoro politico, plasmandone la cifra deontologica. Ed è per questa sostanziale, a suo modo felice, quanto ormai desueta provvisorietà fisiologica dell’impegno politico e amministrativo, che l’Istituto nobile della temporaneità e delle dimissioni in politica è, o meglio era, all’ordine del giorno.

Perché oggi – ci chiediamo – non si dimette nessuno? Tranne rarissimi casi, infatti, per i politici ‘tutto va bene, Madama la Marchesa’ . Probabilmente perché le dimissioni del politico non producono il prezioso guadagno di una libertà prestata al servizio pubblico, bensì la perdita dolorosa di un’ambizione frustrata dell’egoismo privato.


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