Suicidi in carcere

di Nino Mandalà
Tutte le volte che un detenuto si uccide, lo Stato italiano si macchia del reato di istigazione al suicidio. Il rintocco delle campane a morte risuona ogni quattro giorni nelle nostre carceri per annunciare che un detenuto ha posto fine alla sua vita.
Non è il caso di perdersi in uno stucchevole dibattito su quali sono le cause di questa mattanza, di esse si è parlato abbastanza e si è perduto del tempo prezioso, mentre invece è il caso di mordere alle caviglie lo Stato affinché si impegni a spuntare le armi di questo drammatico appuntamento con la morte, il cui pensiero alberga ossessivamente nella mente della maggior parte dei carcerati.
E’ difficile sottrarsi alla tentazione di farla finita vivendo in condizioni di degrado che annullano la voglia di vivere. Le problematiche della detenzione non fanno parte dei temi cari ai nostri governanti, essi se ne disinteressano a braccetto con i bravi cittadini che si girano dall’altra parte indifferenti verso ciò che succede tra le mura di un universo cui guardano con sospetto. Ai nostri governanti e ai bravi cittadini è il caso di ricordare che la popolazione carceraria è una umanità fatta di carne e sangue come tutti noi, che ha sbagliato, sta pagando il conto delle sue responsabilità (qualcuno anche da innocente) ma rimane, nonostante tutto, titolare di diritti fondamentali e non merita di vivere in condizioni di indegnità.
I detenuti trattati come carne avariata da scaricare nel bugliolo, sono lo specchio di una società che non merita di dirsi civile. Tutti noi accucciati comodamente all’ombra della nostra coscienza intorpidita, insensibili alla sorte di coloro che consideriamo reietti della società, non siamo migliori di loro. Per tutti può suonare la campana.
I nostri governanti, impegnati a inasprire le pene ispirandosi ad una concezione del diritto penale del “nemico” teorizzata da Jakobs secondo cui il reo è un nemico da neutralizzare invece che un cittadino da recuperare, non riescono a recepire il monito del Consiglio d’Europa che ha chiesto all’Italia “di intervenire urgentemente sulla allarmante tendenza negativa dei suicidi in carcere”, ma almeno diano ascolto alla loro coscienza e salvino delle vite.
NINO MANDALA’
NINO MANDALA’
Nato a Palermo, dove vive ed opera Nino Mandalà si è laureato in giurisprudenza, dedicandosi successivamente all’attività imprenditoriale. Dopo il pensionamento si è dedicato alla scrittura e ha pubblicato i seguenti romanzi:
“La vita di un uomo”,
“Lettere a Laura dal mondo del nessuno”. Un epistolario intrattenuto con Laura Ephrikian”,
“Marika” riscuotendo ampio consenso di pubblico e di critica.
É autore di diversi racconti, articoli e di un nuovo romanzo in via di pubblicazione.