In un mio libro, Il cinema povero, ho raccolto la mia esperienza di filmaker, mettendo in risalto le differenze tra questo cinema e quello delle grandi produzioni. Presento anche la mia produzione proprio per mostrare i limiti di questo cinema e spiegare come e perché sia povero, e se c’è qualche pregio potrebbe essere dovuto – quasi un paradosso – proprio dalla povertà dei mezzi. In fondo a questo articolo si legge una breve sinossi del cortometraggio che si presenta, poi ci sono una foto e il LINK per vederlo su ONE DRIVE.
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Numero 4– La pagina bianca
Dal momento che sembra necessario individuare le differenze fondamentali tra il grande cinema e il cinema povero, messo da parte il discorso sul regista, si può dire, considerando i film che popolano le sale, che il grande cinema mira allo spettacolo, agli effetti visivi e sonori, mentre il cinema povero, che non può permettersi rifacimenti storici, ricostruzioni scenografiche, imprese stupefacenti, avventure mirabolanti, si dà da fare con le idee, le immagini, la ricerca stilistica.
Il primo scoglio è dunque il soggetto, la storia, ancora prima: le idee. L’idea nasce dalla realtà. Guardiamoci intorno, osserviamo, ascoltiamo. Leggiamo. La lettura è una modalità di osservazione della realtà. Si legge per comprendere gli altri. Il germe dell’idea viene posto dalla realtà concreta offerta dalla vita e dall’ambiente che ci circonda, e dalla realtà rarefatta e mediata proposta dalla lettura. Scegliamo le idee che ci toccano e coltiviamole. Lasciamo che queste idee percorrano in lungo e in largo il cervello alla ricerca di altre idee con cui creare associazioni illuminanti. Senza accorgercene ci ritroveremo il nucleo di una storia. A questo punto indirizziamo il pensiero a creare un’idea più complessa, ossia la storia, fino a quando saremo pronti a sviluppare e a precisare scrivendo.
È importante che il nucleo sia emotivo. Deve toccarci. Ci sarà più facile veicolare un’emozione se questa stessa emozione è prima di tutto nostra. L’arte esprime idee su onde di emozioni.
Il mio primo film, che in seguito ho tradotto in romanzo perché la storia narrata era stata molto apprezzata, è nato da un fatto, che mi toccava da vicino. Il progetto di costruzione di un’autostrada che avrebbe stracciato una piana di vigneti, avrebbe sfiorato o tagliato in due la campagna dove da bambino, ragazzo e adulto mi sono sempre rifugiato per sognare ad occhi aperti. La possibilità che un tale evento si realizzasse mi sconvolgeva. E non c’era nulla da fare! Quando ho cominciato a rassegnarmi, l’idea di questi immensi vigneti sventrati ha cominciato ad andarsene in giro per la testa finché non si è imbattuta in un’altra idea forte preesistente. Una fantasia ricorrente. A partire dall’adolescenza fino alla maturità ho immaginato la presenza nei vigneti di esseri particolari, che chiamavo appunto gli uomini delle vigne. Questi esseri rappresentavano i bisogni autentici dell’umanità. L’esigenza di comunicare, di contatto intenso, soprattutto fisico, quindi anche erotico… Cosa sarebbe successo a questi esseri se il loro territorio, e quindi la loro esistenza fosse stata compromessa da un’autostrada? A poco a poco ho elaborato una trama e poi mi sono messo a scrivere.
La pagina bianca ci blocca perché è lì a giudicare qualunque cosa noi stiamo per scrivere. Si rifiuta, non la vuole. Scriviamo due parole e accartocciamo il foglio, via! Dobbiamo invece pensare l’opposto. La pagina non ci giudica, anzi ci invita a non avere paura, tanto possiamo riscrivere, non ci impegniamo con nessuno, non fa nulla se sbagliamo, se dobbiamo riscrivere venti volte. Chi ci insegue? Ecco una differenza tra il grande cinema e il cinema povero.
Che tensione per il soggettista cui un produttore ha dato il compito di scrivere una storia su una certa idea o (peggio!) per una star. Lo paga bene, ma gli ha dato pure delle scadenze. Invece chi scrive per se stesso, per una sua idea, senza essere pagato… (ahimè!) e senza scadenze, non deve preoccuparsi. Dico questo perché ho conosciuto tanti giovani scrittori che avevano l’angoscia della pagina bianca e del come riempirla. Certo dobbiamo metterci al computer solo dopo aver elaborato in qualche modo le idee. Quando comincio a scrivere un soggetto, io ho già in testa la storia. E di fronte alla pagina nuda, “rompo il bianco” (simile a “rompere il ghiaccio”) scrivendo, senza preoccuparmi di come sto scrivendo né di cosa. Se non mi piace ricomincio.
Qualcuno pigro potrebbe dire, ma se bisogna scrivere quando la storia è già in testa che bisogno c’è di scrivere? Chi fa una domanda del genere è persona che non ha mai scritto una storia in vita sua. Perché scrivere una storia è la migliore occasione per precisarla, svilupparla, aggiustarla, migliorarla… cambiarla. Chi vuole sperimentare, e pure esercitarsi, faccia questa prova. Ottimo allenamento per la fantasia. Mettetevi al computer SENZA IL TIMORE DELLA PAGINA BIANCA. Cominciate a scrivere cose strampalate e andate avanti. Se va male – e le prime volte andrà male – non salvate il file, se va bene scoprirete il piacere nella testa. Il piacere di andare a ruota libera e di far vivere la pagina con personaggi e vicende nati su due piedi.
Il cuore nei piedi 2009 – 20’
Docufiction – Riflessioni sul tango di Maurizio Mazzotta e Marirò Savoia
Le riflessioni degli autori partono dal considerare i risultati di un’indagine semiseria sul “perché piace il tango” condotta con e tra gli amici tangueri.
Intanto ci si interroga pure sui differenti modi di ballare, sul perché delle coppie fisse, sul tango quando diventa un’ossessione.
Per vederlo: Il cuore nei piedi.m4v
Si entra in ONE DRIVE. Se appare lo schermo buio muovere il cursore verso il basso per far apparire la linea del tempo, su cui premere prima il pallino blu e poi la freccetta