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Una breve biografia di Gesualdo Bufalino di Salvatore Abbruscato

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Gesualdo-Bufalino

Gesualdo-Bufalino

Gesualdo Bufalino

Gesualdo Bufalino  è nato a Comiso il 15 novembre 1920;  è stato scrittore, poeta e aforista italiano. Era un uomo di immensa cultura, divorava libri, giornali, riviste.  All’età di 11 anni scrisse il suo primo sonetto e fino all’età di venti anni scrisse centinaia di poesie. Lesse molti libri nella biblioteca di suo padre, un fabbro ferraio amante della lettura; in quella biblioteca leggeva autori come Dante, con le incisioni del Dorè,  I miserabili di Vittorio Hugo, Guerra e pace, il fabbro del convento, Il mistero del poeta di Fogazzaro, ed altri. Lesse i miserabili molte volte, lui stesso non sa dire quante. Lo affascinavano le divagazioni epico-liriche. 

Tra i sedici e diciotto anni tradusse Baudeliere dal francese in italiano, e poi altre opere tra le quali  Contrerimes ( novelle) di Jan Paul Toulet ( 1867-1920), un grande poeta  francese addentrandosi sempre più nella conoscenza della letteratura francese ; nell’intervista di Leonardo Sciascia nel 1981 disse “ Dopo la guerra entrai nella buccia più vera di una civiltà seducente: e furono allora Montaigne e Pascal , gli illuministi…Mi sento e sono un francesista selvaggio , dimezzato “  

Era molto amico di Leonardo Sciascia e Lucio Piccolo. Insegnò nella scuola magistrale a Vittoria e spesso col preside gareggiava in battute in lingua latina. Nel 1939 vinse il Premio letterario di prosa latina bandito dall'”Istituto nazionale di studi romani” e venne ricevuto a Palazzo Venezia da Benito Mussolini

Partecipò alla seconda guerra mondiale come sottotenente, nel 1943 a Salice nel Friuli venne catturato dai tedeschi dopo l’armistizio e , con l’aiuto di una ragazza, riuscì a fuggire e trovò  rifugio in Emilia presso un suo amico; nel 1944 si ammalò di tisi, venne  ricoverato a Scandiano nella città   di        Regio Emilia,  dove ebbe a disposizione, per gentile concessione del primario Biancheri, una  fornitissima biblioteca , e lì  lesse molti libri  anche in francese con i quali  conobbe Proust. Si trasferì a Palermo nel sanatorio  Rocca nell’estate del 1946 dove rimase fino alla fine del 1946.   “ Era veramente divenuto un gioco , alla Rocca, volere e disvolere morire, in quell’estate del quarantasei , nella camera sette bis, dove ero giunto da molto lontano, con un lobo di polmone sconciato dalla fame e dal freddo” così lo scrittore , nel suo romanzo del 1981 Diceria dell’untore, descrive il suo arrivo al sanatorio Rocca della Conca D’Oro  . Il sanatorio è un posto da dove non si sa se uscirne vivi, dove la mente è sempre fissamente rivolta alla morte, dove il protagonista vede morire tutte le persone con le quali interloquiva e passeggiava         “ Così non c’era giorno o notte alla Rocca , che la morte non m’alitasse accanto la sua versatile e ubiqua presenza; ch’io non ne intravedessi , in una striscia di luce o in un mucchietto di polvere, le imbellettate fattezze ora d’angela ora di sgherra “

 Visse così l’esperienza della malattia, della paura della morte, della sofferenza, dell’affannosa ricerca di conforto attraverso la fede, e il costante rapporto con altri ammalati, col primario, col sacerdote padre Vittorio, con Angelo e con una donna di nome Marta, con la quale avviò un effimero e sofferto rapporto di amore. Questo lungo calvario, sarà il  motivo ispiratore, fornitogli  dalla memoria, nel dare vita al suo primo romanzo Diceria dell’untore  , una sorta di autobiografia , una rievocazione della sua vicenda dolorosa di malato travagliato dal pensiero  della morte. 

Parlando con Leonardo Sciascia , in quell’intervista del 1981, del romanzo Diceria dell’untore , Bufalino manifesta i sentimenti che lo hanno spinto a scrivere quel romanzo “ il sentimento della morte, la svalutazione della vita e della storia, la guarigione sentita come colpa e diserzione, il sanatorio come luogo di salvaguardia e di incantesimo. E poi la dimensione religiosa della vita, il riconoscersi invincibilmente cristiano”

Alcuni critici hanno sostenuto che il romanzo è molto francese, Leonardo Sciascia così si esprime “ Certo molto italiano non è. Ciò non toglie che sia  – almeno io così lo sento- molto siciliano”.

Bufalino rispose in questo modo “ Con la Sicilia i miei rapporti sono di qualità schizofrenica. E tuttavia più mi sforzo di sbucciarmi di dosso la pelle indigena e di promuovermi “totus europeus”, più tendo a raccogliermi e ricucirmi dentro la mia terra e la mia civiltà”.

Guarito riprende gli studi e si laurea in Lettere nell’ateneo di Palermo, con la votazione di 106/110, discutendo una tesi in archeologia sul tema “Gli studi di archeologia e la formazione del gusto neoclassico in Europa (1738-1829)”, il cui esemplare dattiloscritto è stato ritrovato nell’Archivio Storico di Ateneo dell’Università di Palermo

Visse quasi sempre a Comiso, nella sua città natale, che definì “Città Teatro” e di cui descrisse in modo minuzioso e con grande amore filiale  la posizione geografica, l’architettura dei palazzi, alcune vicende storiche, le caratteristiche della popolazione, il loro modus vivendi.” «Giace, Comiso, ai piedi degli Iblei, nel punto dove il monte s’addolcisce e dirada i suoi carrubi per far posto ai fertili seminati della pianura. » Questo scrive in Comiso Ancora, ed. Sellerio . 

Egli passeggiava per le vie della sua Comiso, un paese dolce, di rumori fantastici, di lune, di serenate, rivedeva ogni giorno i luoghi a lui più cari, quelli della sua giovinezza; trascorreva i suoi ultimi anni di vita praticando abitudinari riti quotidiani che egli osservava meticolosamente: dopo due ore dedicate alla lettura usciva per la passeggiata mattutina per le vie del centro storico fino alla biblioteca comunale, si spingeva fino ai portici dove conversava con gli amici. Nel pomeriggio, dopo alcune letture, ascolto della musica raggiungeva il circolo di cultura Casmeneo e Diana dove si intratteneva a giocare con gli amici a scala quaranta, bridge, scacchi e dama, assistendo curioso ai dialoghi dei suoi paesani che spesso avevano il sapore di scenette teatrali. Ritornato a casa annegava nei suoi libri, videocassette e dischi, che gli consentivano di superare questa reclusione paesana e di guardare i molteplici mondi che la lettura gli consentiva. 

Le sue qualità di scrittore furono scoperte da Leonardo Sciascia e Elvira Sellerio  attraverso la lettura della sua lunga introduzione al volume fotografico “ Comiso Ieri” , i quali , dopo alcune insistenze, vennero a conoscere l’esistenza del romanzo, un capolavoro  “ DICERIA DELL’UNTORE” che fu pubblicato nel 1981  col quale , nello stesso anno, Bufalino vinse il prestigioso Premio Campiello. Con il romanzo “ Le menzogne della notte” vinse nel 1988 il premio Strega. 

Questo capolavoro è un giallo metafisico, raffinatissimo; vi è la storia di quattro personaggi rinchiusi nella prigione borbonica e condannati a morte, essi raccontano le vite, i crimini e le ingiustizie fatte e subìte. Quattro storie credibili e vere, o forse del tutto inventate per giustificare un’innocenza presunta. 

Altre sue opere. Narrative Qui pro quo1991Calende greche1992Il Guerrin Meschino1993Tommaso e il fotografo cieco1996Saline di Sicilia( 1988),  Argo il cieco ovvero i sogni della memoria (1984)  ;  saggistica (Cere perse1985La luce e il lutto1988Saldi d’autunno1990Il fiele ibleo, 1995), aforismi (Il malpensante1987Bluff di parole1994); antologie (Dizionario dei personaggi di romanzo1982Il matrimonio illustrato1989, scritto insieme alla moglie, Cento Sicilie1994, curato con Nunzio Zago).

Il suo stile. Si rese famoso per il suo stile ricercato, ricco e in alcuni casi “anticheggiante”, nonché per la sua abilità linguistica e la vasta cultura. La caratteristica della scrittura bufaliana è l’uso del linguaggio figurato ricco di metafore; così egli stesso definisce la sua scrittura “ La metafora è il cibo della mia prosa, e non starò a giustificarmene né a vantarmene. E’ un procedimento tipicamente barocco, anche se nel mio caso io parlerei di barocco borrominiano nel quale l’ornato è una funzione, senza di esso l’architettura cadrebbe (vedi Cur? Cui? Quis? Quomodo? Quid? Seminario sulle maniere e le ragioni dello scrivere Ed. Agorà 1989). Manifestava una attenzione quasi maniacale nella cura della scrittura, fino a leggere cinquanta volte al giorno il testo solo per cambiarvi una parola come si cambia un fiore in un vaso.

Nelle sue opere vediamo che predilige la rappresentazione della realtà in chiave autobiografia e antropologica, dove spesso la dimensione storica viene messa in secondo piano, per dare spazio alla dimensione individuale. Egli mostra più interesse a descrivere non la storia major ma quella minor delle persone e ciò gli dà l’opportunità di comprendere e salvaguardare il patrimonio linguistico e culturale della Sicilia. Nel suo libro “ Il Museo d’ombre”( Palermo Sellerio 1982, pag 21), dove sono descrittimestieri, luoghi, locuzioni della sua Comiso, egli sostiene “ storia non è solo quella conservata negli annali del sangue e della forza; bensì quella legata all’ambiente fisico e umano in cui ciascuno di noi è stato educato” . Egli coltiva anche la storia della letteratura attraverso i richiami intertestuali ad altre opere letteraria del passato, spaziando da Dante a Pascal, da Paul Valéry a Montale, da Catullo a Shakespeare. Possiamo riconoscere che la sua la prosa è ricca, aulica, quasi barocca e incline alle sottigliezze e sfumature contenutistiche e linguistiche. Questa caratteristica  della scrittura di Bufalino è connaturata alla sua cultura multiforme e sterminata. La scrittrice Amelia Cartia (www.illibraio.it)  afferma “la prosa bufaliniana è una poesia senza versi, d’inarrivabile potenza evocativa, ricercata fino al cesello, densa di metafore, vero vezzo dell’autore, sua inimitabile cifra stilistica. Forte d’una umbratile ironia, è l’autore stesso a rivelarsi nella pagina, in ogni aggettivo, in ogni metafora, che immancabilmente si rivela più vera del vero.”

Nel libro L’uomo invaso, che contiene  ventidue raccontila scrittura è ricca di artifici retorici, di un numero esorbitante di sontuosi aggettivi, di metafore, di neologismi e arcaismi mentre la  attenzione dello scrittore , dolorosa e profonda, è rivolta ai temi eterni della vita e della letteratura: l’amore, la memoria, la morte e la vita  intesa come illusione, impostura e sogno. Qui Bufalino ci dà una ulteriore prova della sua sconfinata cultura letteraria. 

Per concludere desidero fare  un cenno sul libro “ Calende greche, ricordi di una vita immaginaria”; qui leggiamo la storia immaginaria eppure realistica di una vita, dalla culla alla tomba. E’ una metafisica riflessione sull’esistere. 

Molto c’è ancora da dire e riflettere sulla straordinaria produzione letteraria di Bufalino. Io mi  fermo qui, consapevole di avere espresso solo un barlume della sua grandezza,   ma rimango pieno  di desiderio di continuare a leggere le sue opere di altissimo valore letterario  e filosofico.

Bufalino si spense a Vittoria nel 1996 in un incidente stradale

  Notaio Salvatore Abbruscato 

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