Una grande patria comune tra Classicismo e Ellenismo.

Grecia articolo sul Corriere della Sera
‘Quando inventammo la Grecia’ è il titolo di una recensione apparsa sul Corriere della Sera del 14 u.s. che Luciano Canfora dedica ad un libro di Mauro Bonazzi. Il tema, affrontato dal filologo e storico barese, dell’opera di Bonazzi, era stato anticipato da vari studiosi alcuni decenni fa, tra gli altri da Paolo Stomeo, grecista e glottologo martanese, nella cornice più generale della questione circa le tesi contrapposte sull’origine del Griko. Egli, nel periodo universitario, con i suoi amici, i fratelli Lefons di Calimera, tutti facenti parte del gruppo di Griki da loro costituito tra la Normale di Pisa e la facoltà di Lettere a Firenze, avevano discusso della necessaria rivalutazione della letteratura neo-greca e, quindi, del patrimonio laografico e letterario post-classico della Grecia.
Venne così sottolineata da molti studiosi (scevri da antagonismi nazionalistici) l’intelligenza culturale, la continuità e la discontinuità originale, ma anche la novità dei saperi pratici del lungo periodo bizantino. Nonché la vivacità dell’ambiente culturale greco, che ebbe come centri di irradiazione in particolare Costantinopoli e Smirne.
Paolo Stomeo, per parte sua (nato nel 1908) aveva già pubblicato nei primi anni Cinquanta del ‘900 ‘Kavafis e Solomòs’ per le edizioni Primiceri di Matino, una bellissima antologia dei due grandi autori della ‘Koinè’ greca moderna-contemporanea, portando in Italia il portento di ‘Itaca’ e lo sconvolgimento ideologico di ‘Arrivano i barbari’. Ciò avveniva prima che Filippo Maria Pontani, circa dieci anni dopo, lo facesse da par suo con editori nazionali e intento divulgativo a largo spettro. Come per gli anni eroici dei viaggiatori in Italia mossi da intenti conoscitivi, così, cessata la guerra, avvenne nell’intensificazione dei collegamenti tra gli Atenei greci e università italiane, spesso sotto lo stimolo del Circolo ateniese “Parnassòs. Imparammo, in tal modo, nella metà degli anni Sessanta del Novecento, cose importanti di prima mano, corredate da significativi particolari legati a vicende interessanti sviluppatesi nella ricca consuetudine di rapporti e collaborazioni tra intellettuali della Grecìa, specialmente tra martanesi e calimeresi e i tanti cultori Griki.
Molti di noi, allora adolescenti studenti liceali, ebbero la ventura di capire ciò che i nostri professori di Greco al liceo avevano certamente sospettato, ma che da non-griki non avrebbero potuto ancora introiettare. E cioè che le civiltà – e i loro primati culturali – riposano sulle specifiche ideologie che le ‘inventano’ e le rielaborano, presentandole ‘erga omnes’ in nuove e più adeguate vesti di fruibilità sia teorica, sia sociale. Così accadeva con evidenza nell’area Linguistica Minoritaria. Nel bene e nel male i nostri lasciti patrimoniali poggiano, infatti, su questo assunto, allo stesso tempo tanto vero quanto financo banale, e cioè che i fatti e le cose storicamente accertabili, sono “quali appaiono raccontati e tramandati”. E, quindi, trasmessi a noi per proiettarne i valori e le più intime peculiarità consolidabili.
Forse è qui il significato complesso e utilmente ambiguo del termine latino ‘traditio’. Poiché, infatti, dal verbo ‘traho’ giungiamo al significato di trarre, portare, ‘trasmettere per consegnare’.
In questa procedura temporale e costruttiva di valori e significati – mediati dall’interpretazione esegetica – c’è molto di fedele e di autentico, ma, naturalmente, c’è anche molto di ‘attribuito’ e, in seguito, modificato ‘ab ovo’.
Luciano Canfora dice dunque, ciò che, seppure lateralmente e in senso più specifico, vale a dire relativo alla nostra lingua minoritaria e con intento identitario, noi cominciammo ad apprendere dai nostri Ellenisti. E che genialmente, dall’ultimo trentennio dell’Ottocento (come altre volte da noi ribadito) Vito Domenico Palumbo coniò sotto l’egida storico-culturale di ‘Grecìa Salentina’. Organizzando, però, accanto al panorama storico ereditato, la straordinaria architettura linguistica e etnologica dei legami remoti quanto vivissimi tra Salento e Grecia, Grecìa e Ellenismo, Puglie e Mediterraneo.
Fu su questo terreno, largo e ricco di implicazioni di politica culturale nazionale, che l’intellettuale salentino aveva ben intuito che i grandi pensatori tedeschi avevano privilegiato il classicismo magnogreco rispetto alla successiva prosecuzione e produzione ellenistica, ma certo non solo non si dispiacque, perché fu quello il sogno vero, universalistco di una grande Patria Comune Mediterranea che ispirò l’azzardo seducente di Palumbo.
Si tratta di uno straordinario progetto, se immaginato da menti sane, e quanto mai idealmente attuale in un momento di guerre e di violenze tra popoli che da sempre abitano le stesse terre e non di rado ne condividono tanti valori comuni.
Paolo Protopapa