Una mia breve e attuale lettura dell’opera “Il quarto stato” di Pelizza da Volpedo.

di Antonella Buttazzo

Se dovessimo associare un’opera d’arte alla ricorrenza di oggi, sicuramente, il primo pensiero correrebbe all’opera di Pelizza da Volpedo (oggi al Museo del Novecento a Milano), Il Quarto Stato, del 1901.
Quella che risalta ai nostri occhi, è la presenza eguale, indistinta e compatta della folla che segue le figure fiere poste in primo piano dall’autore.
Un anziano, un giovane e una donna col bambino, pienamente illuminati, come se guidassero la gente fuori dall’oscurità, all’epoca dell’ignoranza, oggi della pandemia.
Infatti, in questo clima di estrema incertezza, siamo stati testimoni di quanto il lavoro, davvero, «nobiliti l’uomo», citando un noto aforisma.
È incredibile come questo dipinto, di 120 anni fa, sia estremamente attuale, probabilmente, come insegna la storia, essa si ripete, seppur in contesti disparati e l’arte ne è una delle testimonianze più eclatanti.
Manifestazioni, rivendicazioni di quel sacrosanto principio, anche costituzionale, che ne hanno sottolineato la dignità, anche e soprattutto quella di chi un lavoro l’ha perso, lo sta disperatamente cercando o si è reinventando per stare al passo.
Ogni modo, tutto questo scompiglio pandemico ci ha donato importanti lezioni, da tenere a mente sempre, cioè: la significatività della sicurezza nei luoghi di lavoro e una flessibilità, un’idea diversa di lavoro con l’introduzione del tanto criticato smartworking.
Quindi, tornando al dipinto di Volpedo, esso, oggi più che mai, ci fa riflettere sulla mancata dignità lavorativa e sull’importante utilità di tutti i lavori, distruggendo positivamente, anni e anni di gerarchie professionali.
Non mi resta che augurarvi buon primo maggio!