di Ada Donno
“rosa del sangue mio fatta vermiglia … de la terra e del sol vergine figlia”
(G.B. Marino, L’Adone, 1623)
Raffaele mi mostra il suo ultimo dipinto e mi dà la consegna, perentoria: scrivimi un tuo commento. Aggiungendo che il nome imposto al quadro è “Venere rossa”. E insiste: sarà il mio testamento pittorico.
Il quadro rappresenta una rosa rossa sospesa su un fondo azzurro, contornata di rosee nuvole carnali. In basso, sotto la rosa, un intrico di rami contorti, al centro dei quali un occhio inquietante guarda. Con magistrale precisione descrittiva, Raffaele cattura le qualità eteree della luce e dell’atmosfera nel sofisticato reticolo che disegna il cielo.
È un quadro carico di suggestioni. Capisco che dietro questo paesaggio atmosferico c’è un universo di simboli complessi che non possono essere semplificati. E intuisco che l’autore si aspetti dalla sua opera una sorta di coronamento della sua autobiografia.
Confesso che il mio primo pensiero va alla Rosa Meditativa di Dalì: la rosa rossa che giganteggia nell’immensità del cielo sopra un misterioso paesaggio desertico. È una suggestione immediata.
Ma poi rifletto: nell’arte antica e moderna l’archetipo della rosa lo si incontra spesso, sia nella versione sacra che in quella profana. E nell’arte di Raffaele Spada il sacro ha avuto grande parte.
Come accade di fronte a molte opere d’arte, specialmente nel caso di un pittore sensitivo qual è Raffaele, si può solo tentare di carpire il mistero dei segni e restituirlo nella forma di personalissime impressioni, nel mio caso dettate dall’ormai dismesso mestiere d’insegnante di materie classiche.
Nella mitologia greca si racconta di Afrodite che, cercando di salvare da tragica fine l’amato Adone, giovane cacciatore mortalmente ferito da un cinghiale selvatico, si punge nei rovi. Dai graffi nella pelle sgorga del sangue che, cadendo sulle rose bianche di un roseto dove il giovane amato è disteso, le tinge di rosso. Zeus, commosso dal disperato pianto della dea, acconsente a salvare Adone, ma solo per metà: Adone vivrà per una parte dell’anno nell’Ade e un’altra parte nel mondo dei vivi. Così la rosa rossa diviene simbolo di rinascita, assumendo la valenza di archetipo dell’amore passionale che vince sulla morte.
Anche nella mitologia romana Venere era dea genitrice della rosa rossa: si raccontava che, dalla pelle bagnata della dea emersa dal mare, una goccia d’acqua rotolasse a terra e si tramutasse in una rosa bianca. E che, chinatasi per raccoglierla, la dea si pungesse a una spina e la goccia di sangue caduta sulla rosa la colorasse di rosso.
Nel suo significato esoterico più esteso, la rosa rossa può rappresentare tanto l’amore carnale quanto la verginità, la purezza quanto la sensualità. E fino ai nostri giorni si è trasmessa la tradizione, tra l’esoterico e il botanico, secondo la quale anche la fioritura della rosa selvatica, o rosa spagirica, simbolo del femminile, viene governata dal pianeta Venere.
Ma la rosa rossa è anche, appunto, archetipo dell’Amor sacro. Nella liturgia cristiana, “Rosa Mistica” è forse il più intrigante fra gli appellativi della Vergine Maria. Rosa mistica, o nascosta, nella simbologia sacra rappresenterebbe il ricongiungimento del corpo di Maria, madre fecondata dal padre che genera il figlio tramite lo spirito santo, alla sua anima con l’assunzione in cielo.
E l’occhio al centro dell’intrico di rami che sostiene la rosa, non richiama forse la spina di rosa conficcata al centro della fronte di Santa Rita che, nel tumulto dell’estasi, le apre il terzo occhio spirituale capace di leggere il mondo invisibile?
La perfetta sintesi s’incontra nella Divina Commedia di Dante, là dove il poeta, dopo essere stato condotto da Beatrice verso la salvezza, ascende al Paradiso attraverso la “Rosa Mistica” che è Rosa dell’Amore, tanto terreno quanto celeste…
Mi sovviene infine che, nella visione alchemica medioevale, la rosa rossa simboleggiasse la pietra filosofale risultante dalla perfetta sublimazione dei quattro elementi aria, acqua, terra e fuoco…
Ma mi rendo conto che, nel rispondere alla consegna di Raffaele d’indagare le recondite armonie delle sue forme diverse, sono riuscita solo ad evocare un groviglio di suggestioni e percezioni, che andrebbero messe in ordine e razionalizzate… E mi fermo, stordita dalla potenza evocativa di un’arte visionaria.