Vittorio Alfieri ed il supremo conflitto – Analisi di Giovanni Teresi

VITTORIO ALFIERI: PENSIERO POLITICO
La tragedia è la forma artistica da lui prescelta perché la più adatta a rappresentare la sua concezione della vita basata sullo scontro tra oppressi ed oppressori, tra uomini eroici e tiranni, i quali non vanno intesi come simboli del potere assolutistico o di qualsiasi altro regime realmente esistente, ma rappresentano invece tutti quei limiti che impediscono la piena realizzazione dell’individualità umana.
La libertà, che è il motivo trainante delle tragedie dell’Alfieri, non è una libertà politica, ma una libertà esistenziale. Risulta perciò chiaro come mai l’Alfieri scelga sempre personaggi già famosi, mitici, (Antigone, Saul, Bruto) per le sue opere e appare anche evidente la sua lontananza da quel “dramma borghese” che grazie a Diderot e Lessing trionfava in tutta Europa.
In Alfieri il discorso è rivolto sempre a pochi individui tutti appartenenti alla classe agiata. In lui prevale l’aristocratico distacco del nobile che guarda con severo disprezzo le folle scatenate ed ha orrore per la loro pretesa di sovvertire l’ordine sociale .
In Alfieri molti sono gli elementi antilluministici e che potrebbero far pensare ad un anticipatore della successiva corrente del romanticismo.
L’amore di patria connesso all’idea di nazione, l’esaltazione del “forte sentire” del poeta, animato dalla passione, la sfiducia nelle capacità della scienza e dell’economia di risolvere i problemi della società.
L’alfieri recupera nella letteratura elementi di irrazionalità (sentimenti, passione) e la stessa religiosità. La tragedia Alfieriana manca di intreccio e di colpi di scena ed in definitiva risultano monotone e cariche di desolazione.
L’autore si attiene alle unità di luogo, di tempo e di azione, ma esclude il coro perché avrebbe rotto l’atmosfera di disperata solitudine del protagonista.
Il supremo conflitto
I personaggi di Alfieri affrontano il tiranno con titanica purezza.
Alfieri cerca il supremo conflitto: vuole arrivare allo spasimo ponendo i suoi personaggi ad affrontare il tiranno con titanica indomita purezza, con una ribellione irriducibile e a oltranza. Proprio Foscolo seppe indirizzare la critica verso questi aspetti e fece lode al poeta nel Carme de’ Sepolcri.
Il conflitto con il potere e la difesa della libertà sono sempre attuali, oggi come allora. Alfieri disprezza la tirannide anche se, talvolta, il tiranno stesso sembra avere connotati eroici: la sua grandezza sinistra atterrisce e affascina.
Lo scontro con la realtà trascendente nella sua opera: Saul
C’è qualcosa di sublime e incontrastabile, che ricorda una frase di Vasiliij Grossman nel suo romanzo Vita e destino in cui descrive un gerarca comunista con queste parole: «Grisin calmo, semplice, mortale ma con nell’animo l’onnipotenza granitica dello Stato» (Vita e destino, p. 114). Forse è proprio questo il tiranno, forse in questo preciso concetto si annida l’ansia anarchica e asistematica della protesta alfieriana.
Nel Saul abbiamo in più lo scontro con la realtà trascendente: Dio diviene personaggio tragico; forse è lui il supremo dei tiranni? Forse … poco importa che l’autore abbia fede o meno, perché Saul sente il conflitto con Dio e la tragedia diventa tutta interiore, non più lotta contro una forza esterna, ma lotta contro forze che si agitano nel profondo della psiche.
“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli“
È una novità tutt’altro che secondaria. In definitiva il silenzio dei contemporanei su Alfieri appare immeritato, data la grande attualità dei suoi temi. Il suo famoso motto fu: «Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli».
Desiderò essere un letterato con ogni sua forza e al fine, da questa guerra fu mal ricompensato dal mondo attuale. La sua Musa, come Clitemnestra, ha tramato un oscuro destino per lui.
Nella letteratura, tuttavia, che fa i conti con l’eternità, c’è sempre tempo per la vendetta … e magari questo autore duro e appassionato tornerà a far sentire la sua sprezzante voce.
La tragedia “Saul”- riassunto:
Questa opera può essere considerata il capolavoro di Vittorio Alfieri scrive questa tragedia nel 1782, ed è l’unica ad avere come argomento le vicende bibliche, la cui materia è tratta dall’Antico Testamento, in particolare dal libro di Samuele. Alla storia del Re d’Israele Saul e del suo successore Davide, Alfieri apporta alcune modifiche, per ragioni letterarie. Il poeta italiano condensa la vicenda in sole 24 ore, secondo le regole aristoteliche.
L’azione della vicenda si svolge nel campo degli ebrei, guidati dal re Saul contro i filistei, un guerriero valoroso di umili origini, diventato re per volere divino. Ormai diventato anziano, Saul è abbandonato da Dio ed è tormentato dalla vecchiaia e dalla sua ansia di potere, di dominio assoluto, sospetta addirittura che Davide, marito della figlia Micol, aspiri a prendere il suo posto da re.
Davide era il nuovo prescelto da Dio, però non aveva alcuna intenzione di prendere il potere di Saul, anche se quest’ultimo pensava ciò. In preda al delirio, Saul manda in esilio il genero con accuse ingiuste, poi dopo si riappacifica con lui, ma nonostante tutto rinasce questa angoscia che lo spinge ad ordinarne l’omicidio. Davide è costretto quindi a partire. Saul, accecato dalla rabbia, uccide il sacerdote Achimelech che egli ritiene simpatizzi per Davide, chiede la distruzione di tutto ed in preda alla follia si rende conto dell’uomo che è diventato e nella battaglia contro i filistei cerca di trovare la morte. Quando i filistei attaccano il campo degli ebrei, l’esercito di Saul era ormai stanco e molti membri vennero uccisi. Saul ordina al ministro Abner di portare in salvo la figlia Micol ed infine si uccide trafiggendosi con la propria spada.
“Saul”: analisi
Saul è il vero, assoluto protagonista della vicenda. Alfieri stesso nella Vita afferma di questo personaggio quello come a lui più caro, in quanto uomo che vive da un lato impeti eroici e desideri di vendetta, mentre dall’altro prova un profondo desiderio di pace e quiete: “bramo in pace far guerra, in guerra pace”.
Il pessimismo alfieriano nasce dalla constatazione dei limiti dell’uomo, sottoposto a forze lui superiori.
Saul è l’uomo che ha a che fare con Dio, ma non è il Dio dei cristiani, ma Dio in quanto simbolo di una potenza che, comunque sia, schiaccia l’uomo. Il re che per sua definizione è oppressore e tiranno, a sua volta è egli stesso oppresso e vittima di questa forza sovrumana (dio).
La morte solitaria di Saul, uomo vinto ma non piegato, testimonia il conflitto tra la grandezza dell’uomo e questa forza misteriosa, qui chiamata Dio, ma chiamata anche in altre maniere, e manifesta l’inesorabile tirannide che si oppone agli sforzi titanici dell’uomo. Questi temi già affrontati da Alieri, verranno poi ripresi ed esplicitati in Foscolo, Leopardi e Manzoni.
Saul rappresenta una figura di eroe del tutto nuova, originalissima nell’ambito della tradizione tragica antica e moderna: non è il classico eroe nella sua forza e nella sua fermezza, ma un eroe intimamente lacerato e perplesso.
Nell’alfieriano Saul si proietta l’inquietudine preromantica di questa stagione culturale, l’inquietudine ribelle del poeta, in opposizione all’atmosfera stagnante e soffocante dell’Europa dell’assolutismo, di un ancien régime ormai in decomposizione, ed in antitesi al secolo dei Lumi.
Si noti come il vero conflitto di Saul non è quindi uno scontro con la potenza trascendente di Dio, ma è tutto dentro di lui; quello che Saul chiama Dio non è che una funzione del suo animo, una parte di lui, il terribile senso di colpa, scaturito dalla sua smisurata volontà di potenza, che lo porta a travolgere e a calpestare senza pietà ogni ostacolo che gli si para innanzi, a far soffrire i figli e ad allontanarli da sé, a scacciare David ed a seminare morte e distruzione. La forza dominatrice ed orgogliosa si trasforma in un senso angoscioso e smarrito di insufficienza, di impotenza, di precarietà, di sfiducia. Il Saul segna la fine dell’individualismo eroico e titanico, la scoperta dei limiti della condizione umana.
Il conflitto interiore del Saul
Per questo il conflitto tragico, che tradizionalmente opponeva l’eroe a forze esterne, qui si interiorizza: la tragedia si svolge tutta entro la psiche dell’eroe. È questa una nozione del tragico profondamente nuova, moderna: il conflitto che nasce dallo scontro di forze che si agitano nel profondo, in cui si urtano forze contrastanti, smania di affermazione titanica e senso di colpa, tensione eroica e senso angoscioso della propria miseria, volontà di potenza e spinte autodistruttive, amore e odio, barbarica ferocia e tenera pietà, impulsi omicidi e ansia di purezza e di pace. Il Saul è l’interpretazione di una crisi di identità, di una scissione dell’Io.
Questo fondo oscuro affiora alla coscienza soprattutto nella mirabile prima scena del secondo atto, in cui il vecchio re, appena comparso in scena, in un momento di abbandono confida ad Abner la sua vita orribile, il suo male di esistere, il continuo oscillare tra stati d’animo opposti, l’impazienza e l’inquietudine senza nome che sempre lo tormentano, il senso di impotenza, le ossessioni, le manie, i sospetti continui, gli incubi.
