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William Atkins, Tre isole. Storie di mare, esilio e dissidenza, Iperborea S.r.l. 2025, pag. 334, traduzione dall’inglese di Luca Fusari

Marisa Cecchetti

Seconda metà dell’ottocento, in Nuova Caledonia, a Sant’Elena e nell’isola di Sachalin arrivano tre esuli, rispettivamente dalla Francia, dalla colonia britannica dello Zululand e dall’Ucraina, tre personaggi in lotta contro i governi e le ingiustizie, da tenere lontani dalla madrepatria: che cosa poteva esserci di meglio delle colonie penali dove inviarli? l’esilio per incivilire le vittime, disinfettare le metropoli, portare nuovi abitanti e forza lavoro alle colonie.

William Atkins torna sulle tre isole per cercare le tracce degli esiliati, un progetto nato dopo avere visto un ammasso di giubbotti salvagente sulle coste della Turchia, una montagna di zaini nel deserto dell’Arizona, segni di fughe disperate senza alcuna sicurezza. Costante nelle pagine di Atkins è il ricordo di Ovidio, esiliato da Augusto sul mar Nero: la perdita della patria fu per lui come una prima morte.

In Nuova Caledonia, dopo essere stata in un campo di detenzione, viene mandata Louise Michel nel 1876, sulla fregata a vela Virginie, centoventi giorni di viaggio tra cielo e mare. Nata nell’alta Marna, era cresciuta libera tra boschi e animali, estremamente sensibile alle ingiustizie sociali. Come insegnante di una scuola che vuole aperta a bambini di ogni condizione, ripete loro che è sacrilegio pregare per l’imperatore; dopo la caduta di Napoleone III non esita a far parte della Comune di Parigi e a combattere sulle barricate contro il governo di Thiers, quando Parigi vede scorrere fiumi di sangue.

Il pensiero della distanza crea la sensazione di un vuoto senza confini, ma per fortuna Luoise trovò conforto nella bellezza della Foresta dell’Ovest, sulla punta della penisola di Ducos dove era stata confinata, nello studio della lingua e delle tradizioni degli indigeni kanaki, nella solidarietà con i ribelli antifrancesi, “plus canaque quel es canaques”, sempre pronta a rifiutare trattamenti migliori, se non estesi agli altri comunardi. Il ritorno in Francia dopo l’amnistia ai deportés del 1880 non trova una Louise mitigata, anzi, è ancora più convinta di cambiare il governo: lei passerà il resto della vita tra conferenze, giornalismo, assemblee anarchiche, tra momenti di prigione e di libertà, senza accettare sconti di pena, sempre dalla parte dei disgraziati, sempre insegnando ai bambini a non odiarsi: “Ho girato per l’Europa in lungo e in largo a dire che non riconosco le frontiere -scrive -, che tutta l’umanità ha diritto di attingere al patrimonio dell’umanità”.

A Dinuzulu l’esilio a Sant’Elena fu decretato dopo un processo del novembre 1888: nato nello Zululand la cui capitale oNdini era stata distrutta dai britannici, ricostruita e distrutta di nuovo per scontri interni tra tribù, fu vittima della colonizzazione britannica che con l’esilio voleva cancellarne il potere, quindi accusato di ribellione, pubblica violenza e omicidio. Al suo ritorno nel 1898 trova lo Zululand sbriciolato in tribù in lotta tra loro, distrutti quasi tutti i capi di bestiame che ne costituivano la ricchezza, lui ridotto a servo e delegato del governo inglese, in mezzo a lotte interne e aggressioni. Forse sarebbe stato meglio a Sant’Elena, spersa nell’Atlantico ben oltre il Capo di Buona Speranza, dove era arrivato sulla nave a vapore Angliau, “esiliato dalla sua stessa vita”, fortunatamente con un seguito di tredici persone, tra cui due compagne e due zii con famiglia. Sull’isola abituata a esiliati ben noti – è lì la tomba vuota di Napoleone dopo che i suoi resti sono stati rimpatriati nel 1840 – ma anche sepoltura di migliaia di “africani liberati”, lui vive con dignità, consapevole del proprio ruolo di re, in un rapporto amichevole con gli abitanti, senza nostalgia, ma  preoccupato per il suo bestiame e sofferente per essere chiuso tra cielo e mare. Ne fa ritorno con una famiglia allargata, comprensiva dei figli avuti sull’isola, molto cambiato, “più scaltro, più scettico, più convinto dei suoi diritti, più fiero […] ma lo Zululand in cui lui stava tornando non era più la terra che aveva lasciato”.

Il terzo esiliato di cui Atkins cerca le tracce a Sachalin è Lev Šternberg, ebreo ucraino di Žytomyr, classe 1861, lettore di Proudhon e Marx, studente all’università di Pietroburgo,  che cerca la fine dello zarismo e delle sue violenze, che aderisce a Narodnaja Volja – Volontà del popolo – viene arrestato, imprigionato a Odessa, poi condannato a dieci anni di esilio a Sachalin per  “riabilitazione”: due mesi di viaggio nel 1888,  sulla nave a vapore Pietroburgo verso l’isola a nord del Giappone dove arrivavano ventimila condannati ogni anno, di cui Cechov aveva parlato come “destinazione finale di chi non muore impiccato o fucilato”. Terra di una numerosa etnia indigena di nivchi o ghiliachi, dal nord paludoso e nebbioso durante la rasputica, il “periodo senza strade” quando si sciolgono le nevi, dove Lev è confinato; terra popolata di orsi, allora “dalle acque cattive”, ora zona petrolifera.

In quella che lui definisce “una tomba solitaria e abbandonata nella taiga deserta” prima di ciò che gli sembrava la fine del mondo, lo salva dalla alienazione la possibilità fare ricerche sulla popolazione, di descrivere i labirintici sistemi familiari indigeni, tanto da diventare un importante riferimento come etnografo. Dopo il suo ritorno, una nuova spedizione di ricerca che gli sarà affidata quando ormai si viaggiava in Transiberiana, lo riporterà nei luoghi dei ricordi: è allora che il dolore esplode più forte, quando deve ammettere che quei luoghi che cercava di rimuovere esistevano davvero!

Irriducibile evoluzionista, strenuo difensore della cultura ebraica come motore dell’umanità, scriveva: “grazie a essa il concetto che il genere umano sia uno soltanto e che sia destinato a diventare una fratellanza, si è imposto nella mente e nel cuore delle persone civilizzate”. Ai suoi studenti ricordava di “non imporre la vostra cultura alle persone che studiate” e trattarne la società “con amore e attenzione, a prescindere dal grado di sviluppo della sua cultura”.

Che cosa direbbe Lev Šternberg, se vivesse oggi?  Un percorso particolareggiato nella vita di tre personaggi che lasciano messaggi su cui riflettere, tutti esempi di coerenza e di coraggio, persone che hanno conosciuto il dolore, le ingiustizie, le violenze, lo spargimento di sangue, elementi che hanno sempre caratterizzato la Storia e che caratterizzano i tempi in cui viviamo, in un mondo lacerato dall’odio, dalle rivendicazioni aggressive, dalle guerre che mietono vittime di cui si rischia di perdere il conto. Con lo stupore sgomento davanti a nuove forme di esilio che stanno diventando di moda.


Libro Tre Isole