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Ezechiele Leandro dopo Ezechiele Leandro. Ancora problemi interpretativi intorno all’unico primitivo?

Ezechiele-Leandro-santuario-della-pazienza

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Di Antonella Buttazzo

La piena comprensione di un artista dovrebbe delinearsi e sfociare nella propria sfera sensibile, esattamente come scrisse Kandinskij nell’introduzione de Lo spirituale dell’arte: «ogni opera d’arte […] spesso è madre dei nostri sentimenti».

L’artista Ezechiele Leandro

Tutto vero, finché non ci si appella alla necessità di un’altra somiglianza da tener presente, quella delle aspirazioni interiori e degli ideali, cioè, l’assonanza fra i climi culturali di due epoche, poco distanti tra loro, riunite nelle figure dell’autore, dell’opera e dello spettatore.

Ed è qui che si inserisce la figura di Ezechiele Leandro, morto esattamente quarant’anni fa, artista che mirava all’essenziale e rinunciava ai particolari esteriori, anche se nei suoi scritti annotava «un uomo come tutti, escludiamo artista perché non so cosa significa la parola artista».

In un certo senso, il punto di contatto con l’opera, avviene quando essa invade il nostro campo della percezione visiva, e risveglia la nostra anima, ammaliata da un lungo periodo di materialismo e trattiene in sé i trucioli di un disperato deterioramento, che nasce dalla mancanza di una fede, fortemente innestata invece, nell’immaginario artistico di Leandro, interpretato quasi come una fissazione dalla critica e dalla cultura prettamente laica da una parte, profondamente incupita dalla visione ipermistica di fiamme e démoni dall’altra.

L’anima risvegliata, si sente ancora in preda all’incubo della filosofia materialista, che si distingue nettamente da ciò che Leandro definiva ‘’primitivismo’’. Ma cosa indica esattamente tale termine?

In un ambiente legato a specifiche condizioni storiche e geografiche come il Salento (ricordiamo che Leandro nacque a Lequile ma visse gran parte della sua vita a San Cesario di Lecce), risiede la radice dell’aspirazione alla purezza, alla necessità di un linguaggio vergine, all’evasione, ampiamente esaltata dall’artista salentino.

Leandro ricavò dalla propria esperienza sensibile soprattutto la lezione formale. Egli fu scosso principalmente dall’energica forza di sintesi che nella ciclicità della Natura e nell’immaginario della Religiosità predominava su qualsiasi valore plastico: forma primaria, semplificata al massimo, forme assolute prive di capziosità figurative.

L’artista sentì palpitare nel cuore di questi due elementi cardini, le arcane vibrazioni del cosmo e il sentimento funesto dell’esistenza, scandalizzando così, attraverso rappresentazioni ‘’fantasiose’’, «venutegli in sogno la notte e costruite di giorno», lo spettatore, abituato a moduli figurativi nettamente differenti della tradizione europea.

Purtroppo, l’anima contemporanea dello spettatore e l’affinità del pittore sono diametralmente opposte, poiché il loro sguardo volge in due diverse direzioni: futuro-progresso e passato-tradizione.

Sostanzialmente, potremmo dire, senza cadere nel banale o nell’offesa, che l’attività di Ezechiele Leandro non sia stata mai compresa totalmente dai critici di ieri e di oggi, per semplice rifiuto e incapacità di guardare al passato ‘’ritornando bambini”, come spiegava anche Picasso, suo contemporaneo, ovvero avere la capacità di rimanere fanciullescamente incantati guardando il mondo che ci circonda, compreso ciò che siamo stati. Non ci sarebbe di che stupirsi, basta vedere dove siamo giunti finora, con un’anima sedotta dalla tentazione materialista che non ha ceduto a quei sentimenti delicati, sottili, inesprimibili a parole: quali la paura, la gioia, la tristezza… Quindi, quello che ci offre Leandro è una visione di una società incapace di emozionarsi, che nell’opera d’arte non cerca una mera imitazione della Natura e della Religiosità a scopo di rievocazione pratica e spirituale. Un’anima ‘’affamata’’, quella di Ezechiele Leandro che ha riprodotto frammenti di ‘’Natura, Intimità e Religiosità bestiale’’ in ciascuna delle sue opere pittoriche, dei suoi murales, delle sue sculture in cemento e materiale di risulta, che conducono alla sintetica, quasi eroica impresa del Santuario della Pazienza

Ezechiele Leandro – Santuario della pazienza

Qui, visioni naturali, magiche, mostruose e religiose si coniugano in una visione ancestrale estrapolata dalla stessa definizione di ‘’unico primitivo’’ e da un immaginario similare, tradotta nella figura di un uomo che si fa carico del greve fardello dell’umanità, la quale si incaglia tra i peccati, soprattutto quello dell’invidia, considerata come il peggiore dei mali.

L’attuale critica storico-artistica sottolinea come e quanto, la matrice mistica dell’artista sia un complesso percorso che, se non ci si sofferma, agli occhi dell’osservatore, risulta incomprensibile. In tal senso, è necessario, che l’attuale spettatore conduca la propria anima a slegare quei nodi che ci uniscono alla nostra parte più antica, naturalmente primordiale, abbandonandoci alle forme sentimentali cui siamo perennemente esposti. Da qui, si comprende l’origine dell’incompatibilità della comprensione della cifra di Ezechiele Leandro: uno spettatore che non sa porsi limpidamente dinanzi a una sua opera, della quale non cerca l’identità, le origini e non lo coinvolge interamente.

Eppure, la genealogia dell’opera contribuisce al dialogo tra l’osservatore e l’opera stessa: dove, quest’ultima nasce dall’artista in modo misterioso, enigmatico, mistico, acquisendo così, staccandosi dal suo ideatore, una propria personalità, una soggettività indipendente e concreta, una sfaccettatura dell’essere che non trascende da regole fisse scientifiche ma che dovrebbe scuotere l’anima, affinando le emozioni di chi la scruta.

Perciò, l’incrinarsi del rapporto tra anima dello spettatore e opera d’arte, è dato dall’offuscamento da concezioni materialistiche e atee del primo elemento del binomio inscindibile, troppo spesso soffocato dalle aspirazioni di un’arte fine a se stessa, che, non accettando qualcosa di estraneo da sé, preferisce additare come pazzo, in questo caso, Leandro.

Concludendo, possiamo affermare con estrema sicurezza, che Leandro, nella sua eccezionalità spirituale, rappresenta l’artista che misura la bellezza della sua arte attraverso la propria necessità interiore, intima, dettata dal sentire personale della Natura e della Religiosità.

Antonella Buttazzo, storica dell’arte

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