IL PENSIERO MEDITERRANEO

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A Reggio Calabria, il più bel chilometro d’Italia

Reggio-Calabria-lungomare

Reggio-Calabria-lungomare

Di Mario Giangrande

Celebrato anche da D’Annunzio, il Lungomare Falcomatà è uno dei luoghi più suggestivi d’Italia. Da qui si assiste al “miraggio della fata Morgana” da qui si può godere il profilo della Sicilia, che la sera brilla di luci oltre lo Stretto.

Tra palme nane e aranci amari.    Passeggiando sul lungomare si incontrano , nel recinto delle antiche mura greche, specie botaniche insolite, la Washingtonia filifera d’origine americana, alta 25 metri, l’Erytrina crista galli dell’Argentina con i fiori a cresta di gallo, l’arancio amaro o Citrus aurantium. Ma ci sono anche palme delle Canarie che danno frutti e palme nane, da cui un tempo gli artigiani di Reggio  prendevano le fibre per fare le corde.

Il fatto straordinario è che non ci troviamo in una foresta pluviale ma nell’oasi botanica a cielo aperto che fa da spartitraffico  al lungomare di Reggio Calabria. Tra questi  alberi salgariani uno si aspetterebbe di vedere volare le scimmie, invece passano vigili senza cuore che appendono multe ai tergicristallo. Manca solo il frutto acerbo del bergamotto, l’oro verde che cresce rigoglioso un po’ ovunque, aiutato da un microclima ideale, da permettere all’agrume di avere un tasso alcolico perfetto per ricavarne i componenti che servono a fissare i profumi.

Qui sul lungomare, si trova la Stazione sperimentale delle essenze e degli olii agrumari, una delle poche al mondo a occuparsi delle essenze ricavate dagli agrumi e a tutelare le proprietà del bergamotto, endemico del territorio.  I Ficus magnoloides del lungomare, dove ogni sera passeggiano almeno 15mila persone, sembrano arrivare da un mondo incantato e hanno radici aeree così tortuose che solo il cemento del marciapiede impedisce ai loro tentacoli di riversarsi in strada. In una stele commemorativa, il poeta Giovanni Pascoli confessa la sua passione malinconica per la città dello stretto, tre blocchi squadrati ricordano il concittadino Corrado Alvaro che raccontò la Gente di Aspromonte,   un candido     monumento rimanda la figura di Ibico, il poeta nativo di Rhegion che nel VI secolo a.C.  scrisse carmi eroici e poesie d’amore.  

Scendendo le ampie scalinate del luminoso lungomare rimesso a nuovo alcuni anni fa dal sindaco Falcomatà, ci si trova sotto l’obelisco dedicato a re Vittorio Emanuele, ai piedi della dea greca Atena armata di lancia, in quegli spazi delimitati da ringhiere , panchine, lampioni, oltre i quali appare il blu profondo del mare e il profilo scuro della Sicilia, che a volte si staglia come un miraggio.

Quanto al pennacchio dell’Etna, ci vogliono le giornate limpide per vederlo, ma quando succede lo spettacolo diventa incomparabile.  In questo tratto di costa, vi è il molo di Porto Salvo, dove Vittorio Emanuele III sbarcò sul fare della sera del 31 luglio 1900.  Stava navigando nello stretto sullo yacht  Yalta  e, sceso a terra, fu acclamato re d’Italia dalla popolazione in seguito all’assassinio, avvenuto a Monza del padre Umberto I.

Qui, nelle giornate di sole, sotto  il cielo blu del lungomare, è difficile immaginare il maremoto che nel 1908 spazzò via l’intera città. La prima parte di Reggio a sparire fu proprio la fila di case con i pontili commerciali che dava sul mare . Un mondo che fu cancellato in un istante ma la lenta ricostruzione si avviò per volere di Giuseppe Valentino, deputato del regno, uomo retto e giusto, estratto miracolosamente vivo dalle macerie.

Nominato immediatamente assessore ai lavori pubblici, voltò le spalle alle congreghe degli speculatori  e si adoperò con onestà per scavalcare gli  appetiti economici che si erano scatenati, tanto da essere eletto sindaco nel 1916. L’onorevole Valentino ottenne, tra l’altro, l’arretramento di 50 metri  della linea dei palazzi che prima stavano sul mare, contribuendo a impostare quello schema urbanistico che oggi  è alla base dell’aspetto della moderna città. I meravigliosi edifici liberty di Corso Garibaldi, nati dopo la ricostruzione  (Palazzo San Giorgio, sede comunale; il neoclassico teatro Cilea; la chiesa di San Giorgio, severo tempio della vittoria  opera di Camillo Autore, inaugurato nel 1935 dal principe Umberto di Savoia ) sono oggi una sorta di museo architettonico a cielo aperto. Sono stati progettati tra il 1925 e il 1935, da architetti romani, eccetto il vecchio ottocentesco palazzo Nesci.

L’unico a salvarsi dal terremoto insieme al casello Aragonese stante nella parte alta della città. Corso Garibaldi è, in pratica, il dorato salotto di casa dove ogni reggino compie il rito dello struscio serale, preludio di quello che si vedrà scendendo sul lungomare, coi grandi alberi secolari che vegliano su formidabili dimore d’inizio secolo: l’hotel Miramare  dell’architetto Fiaccadoro, palazzo Spinelli, villa Genovesi-Zerbi con gli archi gotici in stile veneziano e poi sopra, in piazza De Nava, la sede del museo della Magna Grecia disegnata da Marcello Piacentini.                                              
Passeggiando per il corso, affollato da moderni negozi e pasticcerie, non ci si rende conto di passare davanti a un anonimo negozio dei bei tempi andati., A. Pastore, aperto nel 1878 come ombrellificio. Qui, tutto è rimasto intatto, i banconi, la ventola degli anni venti e il retrobottega con le foto degli avi. Vicino troviamo il museo della seta, dove Rosetta Sorgona  ha raccolto preziosi costumi e tessuti che ne ripercorrono la storia, con reperti che vanno dalla gelsicoltura alla bachicoltura.   

Sembra quasi di fare un salto nel tempo, tornando agli anni in cui quasi tutte le famiglie di Reggio avevano un laboratorio per l’arte della seta e la città aveva 125 filande. Annessa al museo c’è una piccola scuola con una decina di allieve, dove Rosetta insegna artigianato artistico, moda e design.                                                

Nei primi anni settanta, dopo la guerra di Reggio, le cose migliorarono grazie anche al sindaco Falcomatà, che seppe ricreare una identità collettiva partendo dalla costruzione delle coscienze. “Dobbiamo reinnamorarci di Reggio, diceva, non possiamo vivere in una città che non amiamo. ”E fu così che dopo i terremoti e la disgregazione culturale, Reggio tornò a vivere di nuovo, dimenticando le ferite in un colpo solo. Per chi sa intendere il valore delle cose, ci sono molto momenti di serenità in questa meravigliosa città che guarda sullo stretto e conosce tutti i segreti del vento.    

Mario Giangrande

Touring Club Italiano – Lecce                                


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