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Il Salento dopo la Xylella: idee, valori del territorio, progetti possibili. Seconda parte

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Ulivi attaccati dalla Xylella

Ulivi attaccati dalla Xylella

di Enrico Conte

“Dobbiamo abituarci all’idea che ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica” (Ernest Hemingway).

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Iniziamo dalla fine. “Dalle potature che assomigliano a violente amputazioni”.

E’ nel mese di settembre del 2020 che partono le operazioni di eradicazione degli ulivi colpiti dalla Xylella, anno di approvazione, da parte del governo nazionale, del “Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia”. In tutto si calcolano 22 milioni di alberi, tra i quali quelli monumentali, risalenti a centinaia e migliaia di anni fa. “Una pagina unica e drammatica del Salento, che con questo albero ha stretto un legame simbiotico che travalica i confini dell’agricoltura e del paesaggio e penetra nelle profondità antropologiche, culturali, spirituali. Un grande mutamento che sta passando in sordina, in un silenzio distaccato”. Parole, queste, di Stefano Martella, nel suo “La morte dei giganti”, da mettere insieme a quelle altrettanto toccanti di Daniele Rielli, de “Il fuoco invisibile”, e alle immagini del Docufilm, “Il tempo dei giganti”, diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte, e che costituiscono il punto di partenza per queste riflessioni, per una conversazione con alcune figure di estrazione professionale diversa.

Partecipano

Daniela Cavallo, Architetta, Consigliera IN/Arch.Triveneto

Paolo Greco, Sindaco di Caprarica

Chiara Paladini, Università di Lucerna e imprenditrice olivicola

La Xylella, un evento di portata epocale, una tragedia storica, un taglio, una frattura, un trauma, sol che non la si voglia minimizzare per il timore di sembrare retorici, che porta a incidere il sentimento collettivo e l’immaginario comune. Un fenomeno socio-economico in grado di influenzare il sentirsi parte di un territorio e di cambiare l’antropologia di una comunità.

L’ulivo è un elemento identitario il cui disseccamento ha colpito non solo quegli agricoltori che ne facevano il centro della propria attività economica, ma anche l’immaginario di un popolo che si riconosce in quel tronco, che è come se sapesse di poter contare sulla  vita ultracentenaria di una pianta che è  un testimone muto, un simbolo poetico perchè quasi eterno, un’ancora di salvezza per generazioni. Chi non possiede un ulivo in carne ed ossa  magari  lo conserva in un dipinto, in un disegno a china, in uno schizzo, frutto di una ripresa en plein air… di un padre del ‘900… con il figlio al seguito. Tutto dimenticato?

Chiara Paladini

Non è tutto dimenticato. Ne sono prova tutte le celebrazioni artistiche che da più parti sono state e vengono tutt’ora dedicate all’ulivo. Il Salento ha realmente vissuto un lutto, che non si può minimizzare. È giusto che si sia preso il suo tempo per piangere la morte di quello che era il suo simbolo identitario. Ora però è il momento di andare avanti e pensare all’economia del territorio, che vuol dire pensare alle persone, alle aziende in ginocchio e ai posti di lavoro persi. È già successo: verso la fine del ‘700 fu l’Ogliarola Leccese a subire pesanti perdite, mentre la Cellina di Nardò risultò essere più resistente. I contadini decisero di sopperire con questa cultivar e riuscirono a venirne fuori. Cosimo Moschettini, agronomo di fama nativo di Martano, individuò le cause nella Brusca, una malattia parassitaria dell’olivo, che distruggeva interi raccolti nel Salento. È già successo, succederà ancora. Fa parte del gioco. Soprattutto ora, con la globalizzazione. Ovviamente, sarebbe auspicabile qualche controllo in più sulle importazioni di specie animali e vegetali, per provare a evitare casi come quello della Xylella. Ma non so se sarebbe sufficiente.

Daniela Cavallo

Silenzio, Vuoto, Assenza.

Il Silenzio del vento che non incontra più le foglie e i rami degli ulivi, che muoveva come capelli di questa terra, di questi eroi centenari, quel vento che raccoglieva e raccontava le voci di tutti gli antenati oggi muti.

Vuoto profondo che lascia l’estirpare un albero d’ulivo secolare, un vuoto esterno ed interno alla terra, un buco profondo che non ha sostituti della stessa portata perché è come avere estirpato il passato, il rizoma della terra.

Assenza, quella di una visione d’insieme, di un progetto che sia sistema, e prima ancora opportuna riflessione per ricostruire la percezione e l’immagine di questa terra, ridandole un’identità che non necessariamente sia nostalgica ma vera, coerente.

Il “Come” ha fatto più danni di questo piccolo insetto volatile.Se non ora quando.

Paolo Greco

L’evento è stato molto amplificato sotto il profilo sentimentale e della narrazione di ogni livello, e poco valutato con un aspetto pragmatico. L’elaborazione del lutto ed il processo di convincimento del trovarsi davanti ad una trasformazione epocale ha tolto energie, a tutti livelli e con una serie di concause il cui richiamo oggi serve solo ad allungare le righe dell’intervento ma difficilmente lascia indenne settori e comparti istituzionali, economici e culturali, per valutare in modo razionale il “cosa fare”. Ancora oggi la percezione è di un suono distorto dalle mille umane emozioni, che non facilitano certamente la visione di un sistema collettivo che, per essere efficace, deve essere sostenibile nel senso letterale e non retorico del termine (che quindi non è sinonimo di “mio nonno faceva” ma si sforza di capire come faranno figli, nipoti e generazioni future) e – come tutti i fenomeni – deve viaggiare su gambe solide e qualificate che, ahinoi, mancano!

Una vicenda che ha colpito e distrutto un paesaggio che era diventato il simbolo della Regione Puglia e che richiama la catastrofe dovuta alla tempesta Vaia, evento climatico estremo che, nel 2018, in Triveneto, ha distrutto 14 milioni di alberi, faggi, abeti bianchi e rossi, o la tanto recente quanto dimenticata alluvione della Romagna… Ma il paesaggio, specchio fedele della società che lo produce (Salvatore Settis) non è solo un bel panorama, è la storia che continua a farsi, giorno dopo giorno e, così’ facendo, garantisce un presente e un futuro. Un evento luttuoso, paragonabile all’effetto, anche psicologico, prodotto da una amputazione (Daniele Rielli), per elaborare il quale basteranno piani e iniziative del settore agricolo?

Chiara Paladini

Quando si parla di questa catastrofe che è stata ed è la Xylella è importante distinguere due piani: quello sentimentale e quello socio-economico. Sul piano sentimentale, credo che sia evidente che piani e iniziative del settore agricolo non basteranno a elaborare il lutto. Il valore simbolico dell’ulivo è troppo grande, fa parte del nostro territorio da almeno cinque secoli. Io sto tutt’ora cercando di salvare qualche albero con la pratica dell’innesto. Ma sul piano socio-economico, si tratta in realtà di elaborare una morte seguita ad una lenta agonia, in cui il settore olivicolo versava già da molti anni. L’abbandono in cui si trovavano le nostre campagne già prima dell’arrivo della Xylella (e che ha costituito terreno fertile per la diffusione della batteriosi) si spiega facilmente se consideriamo quanto poco ormai fosse remunerativo svolgere la professione di olivicoltore. Ci sono molti che, pur avendo ereditato uliveti secolari, hanno preferito svolgere attività più remunerative e, nella migliore delle ipotesi, si sono preoccupati di diserbare il terreno, ma non di coltivarlo. Il paesaggio è risultato di un intreccio di cause storiche, economiche, sociali; è, come ricorda Salvatore Settis, “specchio fedele della società che lo produce”. A ben guardare, questa vicenda è l’apice di un processo iniziato tempo fa. Sul piano socio-economico, le politiche agricole saranno fondamentali per elaborare il lutto e far ripartire una storia, quella dell’olivicoltura, che richiederà attori diversi, per età, competenze e propensioni. Questa vicenda potrebbe essere un buon punto di svolta.

Paolo Greco

Il paesaggio non è una pratica agricola, è il frutto – tra le altre cose – delle azioni agricole ed agronomiche. Xylella è stato un terremoto ad effetto prolungato, durante il quale si è detto tutto ed il contrario del tutto ed ancora si continua a fare. Il lutto si elabora rendendo possibile una prospettiva futura che oggi, invece, è vissuta come una profonda iattura per una serie di inspiegabili dettagli normativi e burocratici – come lo spieghi, tra gli altri, che le organizzazioni dei produttori non sono meritevoli di finanziamento perché Xylella ha distrutto la loro capacità produttiva. Come lo spieghi che per far ripartire il terreno occorre ipotecare la casa perché i finanziamenti sui reimpianti richiedono fideiussioni difficili da ottenere se l’azienda agricola è improduttiva. Questi ed altri grattacapi rendono un effetto demoralizzante ancor più della tragedia della Xylella. E senza un effetto di speranza verso il futuro ogni ipotesi di ricostruzione è destinata all’abbandono.

Con quali iniziative, pubbliche e private, si sta ricostruendo questa storia? Qualè, se c’è, la cornice regolatoria messa in campo dalla Regione e dai Comuni?

Chiara Paladini

La Regione ha articolato i diversi fondi europei in diversi bandi e indennizzi più o meno specifici per la Xylella, attraverso i GAL e l’AGEA. Con il PSR 2014-2020 per i giovani agricoltori la Regione ha accumulato ritardi imperdonabili. Cinque anni di attesa sono troppi per un territorio che versa nel pieno di un’emergenza fitosanitaria. Forse, qualcosa sarebbe andato in modo diverso, se la macchina non si fosse inceppata proprio in quel momento. In ogni caso, bisogna notare questo: il denominatore comune tra le varie iniziative e i vari bandi sta nei requisiti richiesti per ottenere un buon punteggio nelle graduatorie e avere accesso ai fondi. È importante possedere competenze e titoli, ed essere in grado di strutturare un progetto, in collaborazione con tecnici e agronomi. Piaccia o no, la cornice entro cui si cerca di ricostruire questa storia è quella della professionalizzazione. E, da un certo punto di vista, non è un male.

Paolo Greco

Le competenze sono regionali e nazionali, nel quadro di quelle dell’UE; . Le competenze attuali, a normativa esistente, non bastano! Perché scontano un sistema che non prevede di dover fare i conti con un simile fenomeno. Occorre un’azione speciale, specializzata e specialistica. Occorre il coraggio di dircelo e di guardare al valore collettivo, anche trascurando alcuni interessi individuali. È difficile nell’epoca dell’individualismo e con una collettività che ragiona secondo modelli novecenteschi, ma credo che o si va in questa direzione oppure si rischia di non andare da nessuna parte o – peggio ancora – andare accumulando un ritardo tale da far rimpiangere di essere “andati”, vale a dire di aver avviato le pratiche per lo svellimento ed il reimpianto. Ogni giorno incontro imprese agricole che mi dicono “ma chi me lo fa fare … do il terreno per mettere pannelli fotovoltaici” (altra illusione ottica!).

“Nell’insieme – così descrive il Salento Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia del 1957 – è ancora una terra appartata e statica, in cui la gente è dedita all’agricoltura o sogna l’impiego statale. Ma forse a cagione di questo, il Salento è incantevole. Attraversato il Mezzogiorno, oggi così schiumoso e rumoroso di problemi attuali, si passa per così dire, al di là, in una zona di silenzio, si riprende distanza, si ritrova (ancora per poco) un’esistenza misurata su diverso metro. Non è il mondo di ieri, ma non è ancora il mondo di oggi”… E’ ancora attuale questa descrizione del Salento?

Chiara Paladini

Per certi versi, e in una certa misura, direi di sì. Sul fatto che in certi borghi ci sia ancora una certa lentezza diffusa, che rende questo territorio “appartato e statico” credo ci siano pochi dubbi. Credo anche che vada di pari passo con un certo spirito di rassegnazione che caratterizza questo popolo. E indubbiamente c’è in questo qualcosa di poetico, una certa bellezza, che Guido Piovene esprimeva molto bene e che non a caso è stata al centro delle narrazioni che sono state fatte del Salento negli ultimi anni. Però, appunto, è una delle possibili narrazioni, quella più romantica, che trascura tutti gli aspetti e i problemi che si nascondono (e forse si nascondevano già allora) dietro a questo bel quadro a tinte vintage. Quegli aspetti che un poeta di passaggio non può conoscere e nessun turista attirato da slogan divenuti ormai un po’ retorici potrà mai vedere. Voglio dire che dietro le narrazioni ci sono poi i fatti concreti. E che, per esempio, la gente “dedita all’agricoltura” di cui parlava Piovene nel ’57 non era spinta solo dall’amore per la terra e da una propensione ai ritmi lenti, ma anche e soprattutto dagli ingenti sostegni pubblici previsti dalle norme comunitarie per certi tipi di coltivazione, come per esempio il tabacco. Quando, a partire dal 2000 (e precisamente con la PAC del 2003), gli aiuti comunitari per il settore del tabacco sono stati gradualmente ridotti, fino ad essere azzerati nel 2014, son cambiate “le propensioni” della gente e di tutto il territorio. Ora, a gennaio del 2023, è entrata in vigore la riforma delle politiche agricole comuni, che prevede enormi trasformazioni nella gestione dei fondi comunitari. Da questo seguiranno necessariamente anche enormi trasformazioni del paesaggio.

Paolo Greco

Incantevole ma finita. Senza un sistema economico o, meglio, più sistemi economici collettivi ed organizzati questo territorio è nella sua più ampia polverizzazione. L’economia ed il sistema collettivo ad esempio dell’olio lampante, del tabacco, ma anche del calzaturiero, del tessile, non è retorica da concerti e mostre fotografiche. È un modello di sviluppo, benessere e crescita che non va reso in poesia ma in una prosa concreta ed attuale.

Di fronte a questo fenomeno il Salento vive una fase di profonda transizione, nel vortice di una trasformazione, invero già iniziata con caratteri di evidenza con i primi anni del terzo millennio e dovuta, principalmente, al turismo di massa che ha reso una terra periferica, mal collegata al resto del Paese, e non sempre in linea con la modernità, al centro di un’attenzione mediatica anche internazionale  per le sue bellezze naturalistiche e i beni culturali, per il barocco e i borghi, per il Festival della Taranta, non ultimo per un modo di porsi “lento” del salentino che, forse proprio per questo suo essere lontano da una certa modernità delle relazioni tra le persone, ha attirato e attira milioni di turisti e, fatto non secondario, di grandi investitori stranieri.

Non è  questo un “brand” che ha un costo, e che deriva, anche,  da una certa inefficienza del settore pubblico e privato, dove sembra prevalere una economia sommersa, molto spesso  basata sullo scambio di prestazioni e che non consente di produrre ricchezza e sviluppo strutturale  misurabile? Il turismo non andrebbe accompagnato da processi di rigenerazione, urbana o rurale che sia, per non lasciare sostanzialmente isolati dal contesto socio economico gli investimenti nel settore,  per promuovere, secondo le logiche delle “periferie competitive”, l’attivazione di risorse pubbliche e private, per far  convergere su obiettivi comuni, e che si sviluppino dal basso, investimenti pubblici e privati in grado di produrre valore sul territorio, non ultimo quelli generati dalla formazione e dalla cultura dei servizi?

Chiara Paladini

Sono assolutamente d’accordo con lei e non ho praticamente niente da aggiungere. Forse solo una considerazione generale: pensare di poter far vivere un territorio solo di turismo vuol dire condannarlo a chiedere l’elemosina ai territori più ricchi. Ben venga il turismo, ma di qualità e come parte di un’economia che deve essere in grado di reggersi da sola, sulle sue gambe, e quindi soprattutto grazie alle attività produttive. I servizi non dovrebbero essere solo un make up estivo, ma dovrebbero esistere e funzionare a prescindere dal turismo.

Paolo Greco

Non esiste luogo al mondo che vive di turismo in cui il turismo ha generato benessere tra gli abitanti del territorio. Il turismo è, per la società in cui si esercita, economia “povera” che si fonda su una manodopera che deve essere “giovane”. Spiace ma questo millantare continuo stordisce come un frinire di cicale è un modo per accompagnare al sonno del territorio se non viene accompagnato da politiche di sviluppo, formazione, welfare che siano pioneristiche. Si era iniziato a fare con l’azione politica di Guglielmo Minervini, ad esempio, oggi si continua con quelle ricette – che erano corrette per un mondo di venti anni fa – condite da un livello burocratico che è paralizzante.

In Sardegna, cinquant’anni fa, è stato creato a tavolino il brand della Costa Smeralda, con architetture in stile finto mediterraneo e con turisti extra lusso diventati, ormai, oggetto morboso di un  turismo per “andare a vedere” il lusso degli  abitanti di un enclave (Porto Cervo). Questo non è accaduto in Salento…

Chiara Paladini

Il turismo che viene promosso qui non è, secondo me, lungimirante, nel senso che non è in grado, purtroppo, di fidelizzare il cliente. Non credo sia un problema di prezzi (chi recentemente si è lamentato dei prezzi in Puglia forse non ha visto quali sono i prezzi nelle altre regioni), ma semmai di una generale mancanza di servizi, che è difficile improvvisare solo per l’estate.

Paolo Greco

Copiare il modello di successo di una casa automobilistica non porta mai particolarmente bene al marchio che opera la “copiatura”. Ogni luogo deve trovare la sua via perché il rischio è di non trovarne alcuna e di scimmiottare altre esperienze, avvenute anche in tempi diversi. Il mondo ha raggiunto una impressionante velocità di cambiamento di abitudini, tendenze, tecnologie con cui occorre fare i conti.

Ma a quale modello di sviluppo fa riferimento il Salento? Il tema della rigenerazione trattato nelle pratiche di governo e di amministrazione, lo è per lo più come “trasformazione materiale” di uno spazio, come riqualificazione di edifici, di un’area, di parti del territorio fisico. Quando, piuttosto, richiederebbe un approccio al tessuto urbano, o rurale che sia, che  metta insieme profili economici e sociali, giuridici, destinazioni urbanistiche, effetti reali, impatti nell’immediato e duraturi. Che non si limiti a registrare la crisi del settore primario conclamata con la Xylella o quella della manifattura, ma accompagni lo sviluppo partendo dalla promozione di momenti di consapevolezza.

Paolo Greco

Il Salento non è un luogo fuori dalla realtà del mondo circostante. Ed il futuro guarda a tecnologie e collegamenti. Il Salento ha una posizione ad Est, che andrebbe valorizzata non solo quando ci si ricorda di far passare i gasdotti ma anche, ad esempio, se dovessimo parlare di reti internet ultraveloci o delle navigazioni da diporto e turistiche ad idrogeno.

Una periferia che costruisca un disegno condiviso, un piano basato su relazioni di valore per realizzare una visione di sviluppo con la collaborazione tra pubbliche amministrazioni, università e ricerca, imprenditorialità diffusa, finanza locale, quali componenti essenziali di un percorso di rigenerazione. “Non cercare metodi già pronti che si adattino a ciascuna occasione”, ci ricorda Grotowsky, invitandoci a pensare e a promuovere attraverso progetti, un modo nuovo di vivere nell’ambiente e nel paesaggio……..

Paolo Greco

Copiare il modello di successo di una casa automobilistica non porta mai particolarmente bene al marchio che opera la “copiatura”. Ogni luogo deve trovare la sua via perché il rischio è di non trovarne alcuna e di scimmiottare altre esperienze, avvenute anche in tempi diversi. Il mondo ha raggiunto una impressionante velocità di cambiamento di abitudini, tendenze, tecnologie con cui occorre fare i conti.

Quali sono gli strumenti utilizzabili per migliorare quelle parti di territorio così’ compromesse dagli abusi edilizi, dall’assenza di pianificazione, da carenti servizi di urbanizzazione e che continuano a compromettere la qualità del paesaggio?                                                                                                                      

Paolo Greco

La violazione antropica del litorale è un tratto comune a tante realtà, le azioni di riqualificazione sono spesso impossibili. Occorre puntare sul mercato, se un luogo ha un mercato immobiliare sarà abbellito. La crisi del mercato immobiliare del Salento ha l’effetto lungo di una riqualificazione che non è una azione costante nel tempo e, quindi, dopo certe soglie diventa rudere da dover gestire.

Conclusioni

Tutto ciò è accaduto a cento anni dalla legge n.778 dell’11 giugno del 1920 con la quale, su iniziativa di Benedetto Croce, e con la mobilitazione di intellettuali e studiosi di molteplici discipline, si introdusse la tutela delle “bellezze naturali” e degli “immobili di particolare interesse storico”, poi confluite infine, con la riforma costituzionale del 2022, nelle nozioni di paesaggio, ambiente, biodiversità… nell’interesse delle future generazioni (art 9).

Si può aggiungere, infine, che l’endiadi “agricoltura e foreste” rappresentava materia di competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni fino al 2001 quando, con la riforma del Titolo V della Costituzione, la regolazione sul tema agricoltura è divenuta frutto di un complesso intreccio tra competenze primarie dell’UE (che, dal 1962, ha considerato le politiche agricole il cuore della sua azione), competenze statali e “residuali” regionali, perché formalmente non nominate nel testo costituzionale.

Forse è anche questo complicato groviglio di competenze che non aiuta a individuare il protagonista istituzionale del recupero ambientale e paesaggistico del territorio salentino.

Tra politiche agricole comuni (adesso PAC 2023-2027), compiti dello Stato, per ambiente e mappature dei terreni, piani statali e regionali di settore e Piano paesaggistico territoriale regionale, (da aggiornare per consentire gli espianti degli ulivi centenari), sarebbe forse gradito un ruolo più attivo, e chiarificatore, del legislatore regionale in ragione di una posizione di naturale vicinanza ai territori colpiti dal batterio, di una chiamata in sussidiarietà e, non ultimo, per la necessità di agire per il coordinamento ultra provinciale delle politiche locali.

Lecce 10 settembre 2023

Enrico Conte

Redazione di Trieste

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