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Il PNRR alla prova dei territori

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PNRR-Next-Generation-EU

Di Enrico Conte

Entrati nel secondo anno di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con il suo carico di risorse disponibili (235 miliardi complessivi, tra fondi europei e complementari statali) e di obiettivi da realizzare, si fanno sentire gli echi e le conseguenze indirette della guerra in Ucraina, che cambiano le coordinate del quadro macroeconomico e del loro impatto sociale.

Il Recovery plan, come ormai noto, è un gigantesco dispositivo finanziario, volto a realizzare una molteplicità di interventi, attraverso l’aggregazione di  progetti di investimento e riforme – di sistema e settoriali – in un insieme di pacchetti coerenti di misure, articolate su sei Missioni, la cui finalità dichiarata è di modernizzare l’Italia.

Il Piano intende rilanciare il Paese – in affanno da circa trent’anni, dopo la crisi pandemica da Covid 19, che ha intaccato il tessuto produttivo e sociale – stimolando la transizione ecologica e digitale e favorendo un cambiamento strutturale dell’economia, a partire dal contrasto alle disuguaglianze di genere, generazionali e dei territori.

Il primo anno si è chiuso con 51 obiettivi realizzati, richiesti dalla Commissione UE ai fini della concessione delle prime rate del finanziamento. Altri 100 dovranno essere chiusi entro il 2022, in tutto  500 entro il 2026.

Tra gli interventi preliminari conseguiti nel corso del 2021, si registra la riforma della PA, che si è tradotta in una serie di semplificazioni procedurali e di misure volte a fornire ai soggetti attuatori del Piano (Ministeri, Regioni ed Enti locali) ‘rinforzi’ nella capacità tecnico-amministrativa, dopo gli anni del Patto di Stabilità che hanno impoverito di un quarto il personale sul quale poter contare.

È necessario spendere nei tempi e bene, ripete più volte il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, rimettendo ai soggetti attuatori il compito di trovare il modo di conciliare il profilo quantitativo con quello della qualità dei Bandi, dei criteri che li sottendono e dei progetti da predisporre.

In questo scenario, la crisi internazionale in atto – con il suo inevitabile e doveroso ri-orientamento di risorse e di attenzione dell’opinione pubblica dalla salute alla guerra in Ucraina – rischia di distrarre dalla necessità di riporre grande cura sulle modalità  di utilizzazione delle risorse finanziarie messe in campo.

Il problema – che si pone in generale e tanto più nell’attuale contesto – non è esclusivamente tecnico, ma principalmente politico, perché coinvolge anche quei soggetti che hanno la responsabilità della programmazione, dell’indirizzo e del controllo.

Velare questi momenti e queste importanti fasi dei processi decisionali degli Enti attuatori non giova perchè, da una parte,  alimenta l’illusione che tutto sia di spettanza tecnica (con possibile creazione, nella peggiore delle ipotesi di insuccesso, di un facile capro espiatorio) e, dall’altra, rischia di penalizzare la realizzazione del PNRR. Attuare il Piano significa innanzi tutto porsi in una prospettiva di metodo – sistemica, strutturale e con una visione di lungo periodo – per individuare quello  che occorre per la creazione delle condizioni per lo sviluppo dei territori, a partire dalla realizzazione dei servizi in linea con le finalità del Piano stesso, e che costituiscono la vera cifra che racconta i divari di ogni tipo, siano essi di genere, generazionali o territoriali.

Quello che solo le politiche pubbliche possono fare.

Non va dimenticato peraltro che, con la sola eccezione della  spesa per la ricerca, il PNRR non finanzia la spesa corrente, quella che è comunque necessaria per gestire i servizi, dai Nidi ai Servizi  scolastici e sanitari, alle forniture di beni consumabili, alle spese per il personale in genere,  vero punto debole del Paese se solo si pensi alle difficoltà che hanno sempre incontrato politiche di spending review (una timida riforma è prevista nuovamente dal PNRR) che non si risolvessero in tagli lineari,  senza indicazioni di priorità o con scelte più in linea con le nuove esigenze collettive.

1. Una Pubblica Amministrazione di qualità

Tra i primi passi compiuti per consentire la gestione dei fondi del PNRR, la riforma della PA ha occupato un posto centrale.

C’è, tuttavia, da chiedersi se le numerose leggi che nel corso del 2021 hanno interessato le PA – prevedendo una molteplicità di misure volte a semplificare le procedure o a rinforzare le strutture tecniche sotto il profilo quantitativo, dando la possibilità di assumere a tempo determinato, di attingere al fondo per la progettazione o di fare riferimento al ruolo consulenziale della Cassa DD.PP. – stiano conseguendo l’obiettivo prefissato.

Le opportunità messe in campo e a disposizione degli Enti attuatori,  se vissute non come investimento sul capitale umano, corrono, infatti, il rischio di lasciare irrisolto, da un lato, il nodo della competenza, delle capacità e della formazione del personale velocemente reclutato – la cui preparazione multidisciplinare richiesta dall’intreccio delle Missioni del Piano dovrebbe essere auspicabilmente assicurata, in chiave di sussidiarietà verticale, dal Governo centrale e dalle Scuole di alta amministrazione –  dall’altro, il tema delle inefficienze o delle mere inerzie dei soggetti attuatori, che la normativa sulla governance ha affrontato solo sul versante tecnico-procedurale, attraverso interventi ministeriali sostitutivi, nel caso in cui l’inadempienza metta a repentaglio i finanziamenti europei.

La complessa struttura di governance predisposta dal Governo per garantire che i soldi vengano utilizzati nei tempi stabiliti, lascia sullo sfondo, e in ombra, quanto potrebbe accadere (sta già accadendo) sui territori problematici, trasformando quel 40% delle risorse del Piano (80 miliardi) destinate al Mezzogiorno in una mera illusione.

Entrando nel vivo dei temi trattati dal PNRR e degli interventi previsti per contrastare i divari e le diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali, occorrerà allora uno sguardo molto attento su quanto accadrà quando verranno pubblicati i dati sui finanziamenti per realizzare Nidi d’infanzia, che  dovrebbero servire per  recuperare il ritardo accumulato dal grado di copertura delle domande: una media nazionale del 14% (Lisbona 2010 indicava l’obiettivo del 33%) e con differenze molto significative tra Nord, Centro e Sud.

Analoga criticità si coglie sul versante della sanità che, sulla carta, presenta i caratteri di una compiuta riforma già scritta nel PNRR, e che attende di essere integrata con scelte regionali che incrocino precedenti piani e strategie sui servizi sanitari pubblici e privati – convenzionati presenti sui territori: si pensi alle Case e agli Ospedali di Comunità, o alle Centrali Operative Territoriali per le cure domiciliari e di telemedicina, alla Medicina di base. Tutte riforme che richiedono, accanto alle strutture materiali da realizzare attraverso interventi di esecuzione di lavori pubblici e  all’interno delle quali collocare i Dipartimenti socio-sanitari, una necessaria e significativa spesa per migliorare il servizio offerto e, quindi, per infermieri di famiglia, operatori socio sanitari, medici di base -spesa, questa, che dovrà concorrere con  quella ordinaria, già in sofferenza, per sopperire alle carenze dei Pronto Soccorso,  alle liste d’attesa o al turismo sanitario.

Questi impieghi necessari e utili per la comunità riusciranno a superare, usando le recenti parole di Ernesto Galli della Loggia e di Aldo Schiavone, la prova della ‘rete di interessi, di clientele e di circuiti trasversali’, alimentati da quelli che a volte risultano disinvolti stili di governo regionale?

2. Sussidiarietà verticale e discussione pubblica

In questo contesto pieno di insidie e di lacune potrebbe rivestire un importante ruolo una discussione pubblica, continua e approfondita, sul significato delle iniziative progettuali messe in campo per partecipare ai Bandi. Potrebbe compensare per un verso, l’asimmetria informativa che si registra spesso tra Amministratori e cittadini, e, per un altro, contribuire alla crescita della consapevolezza pubblica – proprio quella che negli ultimi anni è entrata in sofferenza per la crisi dei corpi intermedi e della stessa “rappresentanza”, svuotata da anni di leggi elettorali che hanno consentito che la discussione e il ragionamento collettivo basato sulla circolazione delle convinzioni (Gianrico  Carofiglio) venissero sostituiti dal personalismo degli eletti, quando non da campagne di informazione non basate su dati di fatto (si pensi a quanto accaduto per la realizzazione di importanti infrastrutture di interesse nazionale, TAV e  TAP o potrebbe ripetersi per gli impianti eolici a mare).

Condividere allora con le comunità di riferimento gli obiettivi del Piano per passare, come sostiene Gianfranco Viesti, dalla pura dimensione della modernizzazione e dell’efficienza messa in campo dal PNRR ad un processo di graduale rimozione di vincoli e limiti strutturali per una  “crescita” che sia principalmente civica e di benessere  perchè basata, innanzi tutto, sulla consapevolezza collettiva.

La recente modifica dell’art 9 della Carta Costituzionale, che vede l’esplicita introduzione, tra i principi fondamentali, della tutela dell’ambiente accanto alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione, consente di rilanciare una lettura aggiornata dell’art. 3 Cost., dove si prevede che sia compito della Repubblica, in tutte le sue articolazioni (art 114 Cost. Comuni, Province, Regioni e Stato), “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione politico, economica e sociale del Paese”. La “partecipazione”, in questo nuovo contesto, può assumere i contorni di un inedito mezzo per alimentare l’adesione dei cittadini alle finalità del PNRR.

Non solo, allora, la realizzazione di opere e servizi nel tempi stabiliti dal PNRR, ma la predisposizione di policy che tocchino il territorio, i suoi  bisogni e i suoi limiti, la cui mancata conoscenza e comprensione lascia il territorio stesso nella trappola dello sviluppo.

Le Regioni, dal canto loro,  alle prese con la vera e propria riforma del servizio sanitario – già contenuta nei documenti approvati da Bruxelles nel 2021 con la prevista attivazione dei nuovi servizi (tra i quali le citate Case di comunità) – potrebbero rispolverare le consultazioni con i cittadini contemplate dalla seconda riforma sanitaria del 1992 (art. 24 della legge 502), pensate per garantire la responsabilizzazione dei soggetti interessati, con ciò informando, discutendo, confrontando soluzioni diverse, per far maturare convinzioni pubbliche, dar conto di quello che si vuole fare e “spendere” già in fase di progettazione e produrre un cambiamento negli stili di amministrazione (lo prevede anche una recente Raccomandazione della Commissione UE) che faccia uscire dall’autoreferenzialità.

3. Green Deal, efficienza negli edifici e comunità energetiche

C’è infine un tema che rischia di essere collocato in un cono d’ombra, ed è quello della transizione energetica. Il tema è richiesto, ancor prima del PNRR, dagli Accordi di Parigi, dal Green Deal europeo e dagli Accordi di Glasgow del 2021, che pongono

l’obiettivo della decarbonizzazione (emissioni nette zero al 2050) e quello di una diminuzione del 55% delle immissioni climalteranti entro il 2030, per poter contenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi.

Nel frattempo, nei primi giorni della guerra in Ucraina, il 28 febbraio 2022, è stato presentato il secondo volume del rapporto IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) sul quale così si esprime Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite:  “ho visto molti rapporti scientifici  in vita mia, ma nessuno come questo. E’ una mappa della sofferenza umana, un’accusa schiacciante al fallimento della leadership climatica. Con fatti su fatti questo rapporto rivela come le persone e il pianeta sono stati colpiti dal cambiamento climatico. Quasi la metà dell’umanità vive nelle zone di pericolo (…) molti sistemi sono al punto di non ritorno. L’inquinamento da carbonio incontrollato sta costringendo i più vulnerabili del mondo a una marcia obbligata verso l’autodistruzione (…) partendo dagli impegni attuali le emissioni globali sono destinate ad aumentare di quasi il 14% entro il 2030. Questo – ancora Guterres – significa catastrofe (…) ogni frazione di grado conta e ogni voce può fare la differenza (dal sito: climalteranti.it).

In questo scenario, reso ancora più complesso dalla crisi energetica da approvvigionamento del gas dalla Russia, la decarbonizzazione – con il graduale abbandono di carbone, petrolio e gas,e il passaggio a fonti rinnovabili (eolico e solare) – diventa una strada ancora più in salita e in relazione alla quale può svolgere un ruolo non secondario la spinta dal basso dei territori.

Gli Enti pubblici, già chiamati invero dal 2010 a migliorare dal punto di vista energetico, e ogni anno, il 3% delle superfici utili dei propri edifici, potrebbero svolgere – ora spinti dalla grave crisi in corso – un ruolo di “agente del cambiamento”, contribuendo, attraverso interventi strutturali, al cambio degli stili di vita e svolgendo un ruolo proattivo in collaborazione con i centri di ricerca e le università, la cui terza missione, quella che lega ricerca applicata al territorio, andrebbe tanto più rilanciata.

Si pensi ai dottorati comunali, già finanziati dal Codice Appalti e Concessioni, ora ripresi dal PNRR nell’ambito della Missione ricerca e sviluppo e da utilizzare per diffondere i “contratti di rendimento energetico” o le Comunità energetiche rinnovabili (CER), previste nella Direttiva UE 2018/2001 sull’uso delle energie da fonti rinnovabili (tradotta nella recente legge 199/2021). Regioni e Comuni potrebbero, pertanto, svolgere un ruolo di promozione, di pianificazione e di coordinamento, dal momento che si calcola (fonti Greenpeace,  Legambiente e WWF) che queste formule di produzione e consumo di energia potrebbero comportare una riduzione dei costi per cittadini, imprese e settore pubblico in una misura media di circa il  20%, con una scelta di indirizzo che potrebbe dare nuova e incisiva luce alle pratiche di sussidiarietà orizzontale.

È una constatazione amara il dover prendere atto che proprio quando anche il sistema delle Banche iniziava a muoversi sul terreno della sostenibilità ambientale assumendo i criteri ESG (di natura non finanziaria, che misurano l’impatto ambientale, il rispetto dei valori sociali e gli aspetti di buona gestione) per la valutazione degli investimenti, il mondo ha dovuto fermarsi per occuparsi della guerra in Ucraina.

Saranno ragionevolmente i grandi e medi soggetti attuatori( Regioni e Comuni più attrezzati), in quanto dotati delle competenze storicamente presenti e comunque necessarie, i primi  protagonisti del PNRR sul territorio, accanto a RFI per le infrastrutture ferroviarie, a Infratel per la banda ultra larga, a Enel per le energie rinnovabili o alle imprese  che sapranno mettere insieme la ricerca e lo sviluppo degli accordi di innovazione, e sarà un bene se saranno generatori di nuovi vitali modelli paradigmatici da emulare: con Roberto Esposito, “se una vita senza Istituzioni è come una forza priva di forma, anche una Istituzione senza vita è come una pura forma priva di forza”.

Enrico Conte

ex Direttore Dipartimento lavori pubblici e project financing

Comune di Trieste

Docente del Corso Next Generation PA e PNRR Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Scienze giuridiche

Lecce-Trieste 25 marzo 2022

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