IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Seconda e ultima puntata del racconto Barabba e il Cireneo di Vincenzo Fiaschitello

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Il-Cireneo

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Le donne avevano interrotto il loro lavoro e, scese per strada, commentavano quel che il giorno prima era accaduto nel cortile della Fortezza Antonia.

-“Caifa e Hanna, suo genero, diceva una donna, hanno seminato a piene mani l’odio e hanno voluto la morte del giovane di Nazareth”.

-“Io, diceva un’altra con le vesti e le mani ancora bianche di farina, ho il cuore a pezzi e non posso che accusare di viltà i suoi discepoli. Perché lo hanno condotto a Gerusalemme? Dovevano tenerlo lontano dai tanti nemici di questa città. Lo seguivano come un’ombra, ma poi nel momento del pericolo li hai visti? Nessuno accanto a lui. Nemmeno quel tale più anziano che chiamavano Pietro, il pescatore di Cafarnao. Nessuno ad aiutarlo per timore di essere scoperti suoi seguaci e condannati anche loro”.

-“No, diceva un’altra, un discepolo c’era, un giovane di nome Giovanni che seguiva da lontano, accanto ad alcune donne piangenti. E poi è intervenuto un uomo robusto che lo ha aiutato a portare il patibolo. Senza quell’aiuto non sarebbe arrivato vivo sul colle del Golgota”.

Una delle donne che era uscita per ultima chiamò le altre e indicò un tizio steso su un gradino di una scala vicino all’uscio di una casa dall’altro lato della piazza. Si avvicinarono.

-“Dorme, poveretto, si vede che non ha casa!”

-“Ma non vedi che è un tipo distinto, non può essere uno che vive di elemosina”.

-“E’ vero, ha una tunica di buona fattura!”

-“Aspettate, la tunica…guardate quelle macchie rosse. A me sembrano di sangue”.

-“E forse non ti sbagli. Vuoi vedere che è uno di quelli che si è sporcato  di sangue la tunica mentre colpiva Gesù?”

In quel momento, Simone aprì gli occhi, si guardò attorno e, vedendo tutte quelle donne così sbigottite, disse:

-“Non abbiate paura, non sono un vagabondo, ma poco fa sono crollato a terra perché era da molte ore che non dormivo”.

Man mano che Simone narrava le cose straordinarie che gli erano capitate, le donne si tranquillizzavano ed ebbero per lui un profondo rispetto. Ora la sua veste era una reliquia preziosa e la baciavano con devozione.

Il Cireneo, infine, si alzò e, seguito dallo sguardo ammirato delle donne e dai saluti chiassosi dei ragazzi che volevano vederlo da vicino e toccarlo, si diresse verso casa.

Tra sé andava dicendo: “Questa è la mia prima Pasqua d’Amore, grazie al prezzo della vita del Messia, al patibolo di legno che ho portato sulle spalle, che anziché rendermi impuro, ha redento la mia vita”.

Abbassò gli occhi a terra e mormorò: “Signore, mio Dio, riconosco di aver trovato la mia vita dopo essere stato in cammino con te”!

Era già trascorso un mese dalla morte del Nazareno, quando una sera un decurione in servizio nella Fortezza Antonia, facendosi avanti nella penombra, salutò il suo comandante, centurione di grande esperienza, che discuteva animatamente con due vice centurioni che gli mostravano una carta alla luce di una fiaccola tenuta in mano da un assistente.

-“Bestia”, diceva il centurione, “alza la fiaccola, non riesco a leggere. Spostati sulla destra!  Gli ordini sono di fare ogni sforzo per catturare Barabba. Il tribuno ha disposto che tutta la centuria dovrà operare per la sua cattura. Che cosa c’è? Perché vieni a disturbarci in questo momento?

-“Centurione, di là c’è quel vecchietto cencioso che tutti i giorni sta a lato della Porta d’Efraim a chiedere l’elemosina”.

-“E allora? Ci rompi l’anima per un cencioso? Mandalo via, veditela da solo!” lo rimproverò adirato il centurione.

-“Perdonami, centurione se insisto, ma mi sembra che si tratti di una cosa importante. Ha detto che vuole riferirti una notizia su Barabba”.

-“Su Barabba? E che ne sa lui?”

E, dopo aver scambiato un’occhiata con i due, ordinò al decurione di farlo entrare, ma di fermarlo sulla soglia. Aveva in passato sperimentato come finti mendicanti fossero pronti ad usare a tradimento il coltello e poi perché sicuramente era sporco e puzzolente.

Il mendicante, un uomo piuttosto anziano e con gli abiti a brandelli, non simulava di avere il braccio storpio come faceva quando chiedeva l’elemosina, salutò e si fermò sulla soglia come gli era stato ordinato.

-“Parla! Dimmi in fretta quel che sai di Barabba!”

-“Centurione, ieri sera mi trovavo come al solito accanto alle colonne della Porta d’Efraim a chiedere l’elemosina, quando ho visto uno zelota che, a pochi passi da me, diceva a un uomo attempato: “So che ti chiami Simone, il mio amico Barabba vorrebbe conoscerti. Gli è stato riferito che un tempo tu lo cercavi per ucciderlo, ma che lo hai perdonato, dopo che sei stato a fianco di Gesù il Nazareno, quando lo conducevano alla crocifissione”. Quei due continuavano a parlare mentre si allontanavano. Io ho capito che si trattava di un discorso importante e per un po’ sono andato dietro senza farmi notare”.

-“Bravo! Continua”, disse il centurione.

-“Purtroppo ho afferrato solo alcune frasi smozzicate, però ho capito che quel tale chiamato Simone accettava di conoscere Barabba”.

-“Bene, mendicante. Hai reso un ottimo servizio”. Chiamò il decurione e gli disse: ”Accompagnalo fuori e dagli mezzo siclo d’argento per ricompensa”.

-“E’ fatta!”, disse ai suoi vice centurioni, “Mandate due milites ben svegli a seguire ogni movimento di questo Simone. Lo ricordo bene: era venuto a protestare con il tribuno perché il decurione della scorta gli aveva imposto di aiutare il falegname di Nazareth a portare il patibolo.

Nei giorni che seguirono, Simone fu costantemente sorvegliato, finché una notte i due milites  videro che Simone uscì di casa, guardingo, e si avviò verso la città bassa. Subito uno dei due corse verso la Fortezza Antonia per segnalare al centurione quella insolita uscita.

In pochi minuti furono allertate due decurie che, al comando dei sottufficiali, seguirono il miles. Era l’indizio giusto. Infatti, nel frattempo l’altro miles, rimasto a vigilare Simone,  riferì che quello si era incontrato con un ebreo, certamente lo zelota, entro una taverna poco distante. Gli ordini impartiti ai due decurioni erano precisi: accertata la veridicità dell’incontro dovevano immediatamente inviare una staffetta per informare il centurione, il quale al comando delle altre otto decurie sarebbe intervenuto.

Dopo poco tempo lo zelota e Simone uscirono dalla taverna e presero la via in direzione di Gerico.

Camminarono al chiarore della luna per più di due ore; percorsero un lungo tratto in salita per un sentiero , finché giunsero nelle vicinanze di un promontorio roccioso. Dall’alto di un terrapieno nascosto dai rovi, una voce intimò l’alt. Lo zelota rispose: Noè! Tre sentinelle, appostate dietro la folta macchia, comparvero all’improvviso come fantasmi: “Ah, sei tu…Hai portato il tuo amico? Bene, vi accompagno dal comandante”.

I soldati romani avevano seguito silenziosamente a una certa distanza i due. Giunti a metà del sentiero della collina, il centurione ordinò ai decurioni di disporsi in modo da circondare tutta la zona.

-“Dobbiamo essere sicuri che in quel rifugio ci sia colui che stiamo cercando”, disse il centurione ai suoi uomini, “intervenite solo quando do il segnale”.

A sua volta, ciascun decurione impartì gli ordini: “Cinque con le lance in spalla e con gli elmi in testa a far da sentinelle, gli altri cinque in attesa del cambio di turno. Mantenere il silenzio!”

I primi cinque si allontanarono di qualche passo, mentre gli altri si tolsero l’elmo, conficcarono a terra le lance e si accovacciarono accanto a una roccia. Si guardavano tra loro e già qualcuno mormorava, non sopportando di stare in silenzio. Uno dei più anziani, incoraggiato dall’aspetto tranquillo del decurione, si alzò e con un filo di voce gli rivolse la parola: “Scusami decurione, ma io non capisco quel che è successo. Solo pochi giorni fa questo assassino di Barabba era in prigione e Pilato lo ha fatto liberare. Ora siamo costretti a passare un’intera notte in bianco per catturarlo”.

-“Fai silenzio e torna al tuo posto. Hai i capelli bianchi, ma non ti intendi di politica!”

-“Che cosa è la politica? E’ forse il potere che ti consente di fare tutto e il contrario di tutto, perché poi alla fine ti ritrovi ad avere sempre ragione?”

-“Zitto, ignorante! Te lo spiego in poche parole. Il nostro Prefetto Pilato ha dovuto accontentare quei cani di ebrei. Tra il falegname di Nazareth e Barabba ha dovuto dare in pasto il primo, quello che chiamavano Gesù, perché lo ritenevano molto più pericoloso dell’altro. Gesù godeva di un seguito enorme, Barabba invece poteva contare su un piccolo gruppo di fanatici del partito zelota. Comunque la sua decisione non è piaciuta a Tiberio, il nostro imperatore. E ora, per ingraziarselo e evitare ancora le denunce degli ebrei, fa di tutto per catturare questo Barabba.”

Intanto il centurione osservava continuamente i lumi accesi in quella grotta. Pensava che finché restavano accesi era segno che lì dentro si vegliava e quindi era meglio aspettare ancora, prima di intervenire.

Dentro quel rifugio, Simone aveva fatto conoscenza con Barabba e aveva appreso fatti che smentivano del tutto quel che finora sapeva.

Barabba si sedette di fronte a Simone. Era un uomo di mezza età, di corporatura robusta, ma non molto alto. Aveva una barba incolta e una cicatrice sulla guancia destra. Gli occhi gli scintillavano alla luce della fiaccola.

-“Comincio col dirti che io non sono l’assassino di tuo padre. Ho punito severamente quel balordo che lo ha fatto per derubarlo e che si diceva mio seguace. Io, finora non ho ucciso nessuno e spero di non farlo mai. Mi hanno accusato un giorno quando, scoppiata una sommossa, i romani hanno trovato dei cadaveri e tutti hanno fatto ricadere la colpa su di me. Ho rubato, questo sì, ma per la causa per la quale lotto. Il partito zelota mi appoggia perché la Palestina sia liberata dalla oppressione dei romani. Io voglio la libertà per il popolo ebreo; sono un combattente!”

-“Perché il popolo ha scelto di liberare te invece che Gesù?”

-“Dinanzi a due Messia, Gesù di Nazareth e Gesù Barabba ( devi sapere che anche il mio nome è Gesù!), il Sinedrio ha temuto di perdere il potere e la sacra autorità, più a causa del Messia spirituale che del Messia combattente, per cui non ha avuto dubbi. Caifa e Hanna hanno preferito eliminare quello che rappresentava il pericolo più immediato. I conti con l’altro Messia l’avrebbero fatti più tardi, visto che non aveva un grande seguito. Il partito degli zeloti che intende cacciar via i romani con le armi è ancora troppo esiguo. Quei due che hanno crocifisso con il Nazareno non erano dei ladroni, ma nostri seguaci, Gesta e Disma, zeloti che avevano condiviso le nostre idee.”

Simone aveva ascoltato le parole di Barabba con molta attenzione. Ora il personaggio che aveva davanti gli si mostrava sotto una luce del tutto diversa. Un velo di tristezza si era posato sul volto di Barabba. Rimasero per un istante a fissarsi negli occhi, poi Barabba si alzò e disse ai suoi che era giunto il momento di andare a riposare e che Simone poteva restare lì con loro fino al sorgere del sole.

Gli uomini di Barabba spensero i lumi. Un cane latrò in lontananza; da qualche minuto le nuvole avevano nascosto la luna.

Il momento era propizio. Fu dato il segnale convenuto e subito un centinaio di soldati romani circondarono il rifugio di Barabba, entrarono con le lance abbassate. Qualcuno accese le fiaccole, gli altri bloccarono a terra i miliziani di Barabba e poi si precipitarono su di lui, che non parve fare alcuna resistenza.

Il centurione elogiò i suoi soldati e ordinò di trascinare fuori Barabba. Gli posero sulle spalle un’asse e a questa legarono le braccia. Poi lo condussero via lungo la discesa e iniziarono il cammino per rientrare a Gerusalemme. Vi giunsero che il sole spuntava dietro la collina e illuminava il Tempio e le quattro torri della Fortezza Antonia.

Un gallo cantò! I primi passanti che andavano al lavoro guardavano quel prigioniero e i soldati romani che in doppia fila seguivano in assetto di guerra. Qualcuno riconobbe il prigioniero e presto la voce della cattura di Barabba si sparse per la città.

Barabba fu portato in una cella sicura nei sotterranei della fortezza e incatenato.

Pilato, accompagnato dal centurione che aveva condotto con successo la missione, volle incontrarlo.

-“Come vedi, illustre malfattore e nemico di Roma, sei tornato nelle nostre mani”.

-“Salute a te, Prefetto. hai fatto bene a lavarti le mani dinanzi al popolo, erano sporche di sangue. Mi hai attribuito delitti che non ho commesso”.

-“Tu sei un sobillatore, promotore di sommosse e…”

-“Io sono un lottatore, uno che si rivolta contro coloro che vogliono opprimere il popolo. Io sono un liberatore, uno che non smetterà mai di lottare per la libertà”.

-“I fanatici come te non meritano di vivere!”

Dette queste parole, Pilato girò le spalle e fece segno alle guardie di chiudere la porta. Scendendo le scale, disse al centurione :”Questa sera mandami Nepio, gli voglio affidare un incarico importante”.

Verso la mezzanotte, un uomo scese nei sotterranei. Due guardie gli si fecero incontro con le lance. Riconosciutolo, lo accompagnarono fino alla cella di Barabba.

-“Si è addormentato  da più di un’ora”, disse la guardia e silenziosamente aprì la porta della cella.

La mattina seguente, il centurione portò a Pilato la notizia che Barabba era stato trovato morto, strangolato.

Ora che anche questo secondo Messia era stato eliminato, Pilato pensava di aver acquisito  benemerenze presso il Sinedrio e soprattutto  agli occhi di Tiberio. Il suo esasperato orgoglio, la sua indole vendicativa e incline all’odio, la sua natura corrotta e sanguinaria, gli ispirarono una lettera indirizzata a Tiberio, nella quale a suo vantaggio descriveva gli avvenimenti delle ultime settimane e concludeva che al presente il suo governo garantiva la pace in Giudea, dopo la crocifissione di un galileo, predicatore sedizioso e invasato, e la cattura di un ribelle di nome Barabba, già giustiziato. Ma a Roma, Pilato non godeva più di alcun appoggio politico. Seiano, il suo migliore amico che gli aveva procurato una decina di anni prima la carica di prefetto, era stato destituito dalla sua altissima carica e condannato a morte per tradimento. Rinchiuso nel carcere Mamertino, fu giustiziato insieme ad altri suoi amici e l’intera sua famiglia, compresa la bellissima figlia Giunilla, la cui sorte commosse il popolo di Roma. Infatti, poiché era ancora vergine e per legge non poteva subire la condanna a morte, venne stuprata dallo stesso boia che poi le tagliò la testa.

L’imperatore Tiberio manifestava, dunque, tutto il suo livore verso chiunque fosse stato legato anche solo di amicizia con il traditore Seiano. Pilato, molto preoccupato, tentò fino all’ultimo di sfuggire all’ira di Tiberio, ma invano. Il governatore della Siria Lucio Vitellio lo sostituì con il prefetto Marcello. e gli ordinò di partire subito per Roma, dove doveva giustificare l’operato della sua amministrazione dinanzi all’imperatore.

Dopo la partenza del marito, Claudia Procula ricevette la visita di un inviato del governatore.

-“Signora, il governatore ti ordina di preparare il tuo bagaglio e di raggiungerlo a Cesarea. In strada sono pronti due carri e la lettiga”.

Quando giunse a Cesarea, dopo un viaggio disagevole, fu immediatamente condotta al porto e imbarcata su una nave in partenza per Roma.

Il cielo era limpido e all’orizzonte si confondeva con l’azzurro del mare. In una giornata di piatta calma, Claudia Procula dava l’addio alla Palestina. I marinai a terra avevano sciolto le cime, mentre a bordo i rematori cominciavano a vogare con forza per allontanarsi dal porto. La nave puntò la prua verso l’occidente, solo al largo i rematori ebbero un po’ di sollievo, quando un vento favorevole gonfiò le vele.

Claudia Procula piangeva in silenzio, negli occhi aveva l’immagine di Gesù flagellato, dinanzi al popolo che gridava: “Crocifiggilo…crocifiggilo!”

Questi avvenimenti avevano diffuso timore e tristezza nella comunità cristiana che di giorno in giorno si faceva più consapevole e numerosa. Si andavano delineando le gerarchie all’interno dei gruppi di cristiani che si radunavano presso le case di ebrei convertiti benestanti.

Fu deciso che Sara e Rufo con la madre, già battezzati, potessero raggiungere Roma e portare ai fratelli cristiani della città la testimonianza della vita e dei miracoli di Gesù di Nazareth.

Simone e il figlio Alessandro ricevettero il battesimo al tempo in cui Paolo di Tarso cominciò a far valere la tesi in favore dei Gentili e cioè che il sacrificio di Cristo era per tutti, circoncisi e non circoncisi.

Quando Simone seppe che Paolo, scrivendo ai romani, aveva ricordato affettuosamente la moglie e il figlio Rufo (2), si ritirò a lungo in preghiera e sentì che era giunto il suo giorno.

-“Padre, vedo che un sorriso ha sfiorato le tue labbra. Ti senti meglio? Forse la morte è ancora lontana.”

-“No, figliolo. Mi dà gioia la visione dei verdi pascoli del cielo, la visione del Pastore che va innanzi al suo gregge infinito. Ed io sto con Lui, secondo la sua promessa nel giorno in cui gli fui accanto”.

-“Padre, la tua tunica insanguinata?”

-“Tienila nascosta ancora un po’. Poi la donerai a Paolo di Tarso”.

Alessandro, che gli fu vicino fino all’ultimo, gli sussurrò: “Padre, le tue ossa non si disperderanno; riposerai per sempre nel nostro sepolcro”(3).

Paolo ricevette la tunica di Simone il giorno della sua partenza per Roma.

-“La custodirò con venerazione”, disse Paolo, ringraziando. ”La indosserò per la prima volta quando entrerò nella città e incontrerò la comunità che mi attende, perché possa vedere e toccare la tunica bagnata dalle ferite del nostro Signore”.

Indossava quella tunica Paolo, ormai vecchio, quando una mattina presto i soldati romani andarono da lui alle Tre fontane per arrestarlo, dopo il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana.

  • E’ il braccio orizzontale della croce. E’ certo  che Gesù non ha portato la croce così come raffigurato  nella tradizione pittorica, ma l’asse orizzontale. Il palo verticale si trovava già piantato sul luogo della crocifissione. Anche in tal modo il legno doveva pesare non meno di 150 libbre, equivalenti a circa 50 kg che nelle condizioni in cui di solito si trovava il condannato flagellato doveva costituire un peso enorme, considerato per di più il tragitto in salita.
  • “Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia” .(San Paolo: Lettera ai romani 16: 1-27)
  • Nel 1941 nella valle del Cedron, presso Gerusalemme, fu scoperta una camera scavata nella roccia contenente dieci ossari (1° sec. d.c.), riconducibili alla famiglia di Simone di Cirene. Sulla pietra si trovano incisi i nomi di Sara, Alessandro e Simone.

Da Vincenzo Fiaschitello: La costola di Adamo e Racconti vari, Avola, Libreria Editrice Urso, 2018  pp.19-36

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