IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Antonio Chiarello: Salento d’autore

CHIARELLO ANTONIO

CHIARELLO ANTONIO

Di Paolo Vincenti

Antonio Chiarello” classe 1955, vive in un eremo del basso Salento: Ortelle. Adora il sole e la terra. Dipinge e fotografa. Spesso e volentieri ama librarsi in voli pindarici con: poesie, cartoline, fiori, libri, nuvole, brochure, aquiloni, gabbiani, lune, … sogni! Una moglie e due figli lo riportano poi con i piedi per terra”[1]. Così scrive Antonio Chiarello, pittore e fotografo, che vive e lavora nel paese di San Vito e della sagra del maiale: Ortelle. Proprio alla Fera de lu Porcu, che si tiene ogni anno nel suo paese in ottobre, una delle sagre più antiche e conosciute di Terra d’Otranto, egli ha dedicato molte energie, con le sue fotografie, con le sue pitture, con preziosi consigli, e coinvolgendo anche i suoi amici e compagni di viaggio come Antonio Verri, Fernando Bevilacqua, Rina Durante, Agostino Casciaro, Pasquale Pitardi e Antonio Errico. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, Chiarello utilizza, per le sue Pittoriche visioni del Salento, la tecnica dell’acquerello; e l’acqua, elemento primordiale, liquido vitale, è spesso presente nei suoi lavori, come conferma la mostra “di/Segni d’Acqua, sette tavole per un luogo di mare”, tenuta ad Otranto nel giugno del 2001.

Nell’acqua e nella terra si sostanzia il nostro Salento, Terra Madre alla quale Chiarello, figlio devoto, dedica il suo fare artistico, l’idea e tanto tempo, attraverso la sua opera di promozione territoriale portata avanti con tenacia ed impegno fin dal 1987, anno della prima mostra, “Salento immaginifico”, tenuta nel Castello di Otranto. La sua arte chiama a raccolta anche gli altri elementi, del vento, dell’aria e del fuoco. Il Salento d’autore di Antonio Chiarello sono l’infinito blu del mare e le vertiginose scogliere di Santa Cesarea, cui ha dedicato la mostra “Post vedute”, presso l’Albergo Palazzo nel 1991, e il cofanetto fotografico “Santa Cesarea” del 1994; di Castro, cui ha dedicato nel 1992 la mostra “Castro: dieci tavole”, presso l’ex Episcopio della Cattedrale, e il cofanetto fotografico “Castromarina.

Immagini di Antonio Chiarello” del 1995; è il volo dei gabbiani su Otranto, dove ha tenuto nel 1993 la mostra “Lapides sacri. Frammenti di religiosità rupestre”, presso il Museo Diocesano; il Salento d’autore di Chiarello sono i frantoi ipogei e le pitture rupestri dei basiliani, sono Poggiardo e la cripta dei Ss.Stefani di Vaste, cui ha dedicato il cofanetto di acquerelli “Poggiardo di Antonio Chiarello” e dove ha tenuto anche la mostra “Poggiardo: dodici tavole”, presso il Sedile nel 1997; il Salento d’autore di Antonio Chiarello è il mare, “un brivido etereo che riproduce l’immagine spirituale del Cielo”, con i versi di Girolamo Comi in  Cantico del Mare,  e la terra “spaziosità di tombe e d’ombre”, come dice Comi in Cantico del Suolo[2]; è la cripta della Madonna della Grotta di Ortelle, primo incontro della mattina per Chiarello all’uscita dalla sua abitazione ed ultimo della sera prima di rincasare; sono gli  ulivi secolari,  la chiesetta bizantina di San Pietro e il Faro della Palascia di Otranto; il Salento di Chiarello sono le grotte di Porto Badisco, cui ha dedicato nel 1998 la mostra “di/Segni d’Acqua. Sette tavole per Badisco”, presso il Castello aragonese di Otranto; sono le cave di Cursi, dove nel 1993 si è tenuta la seconda parte della mostra “Lapides sacri. Frammenti di religiosità rupestre”, presso il Frantoio ipogeo; e insomma, parafrasando Italo Calvino ne Le città invisibili, il Salento per Chiarello non sono solo “le sette o le settantasette meraviglie” che offre, “ma è la risposta che dà ad ogni tua domanda”[3].

Il viaggio nella sua terra lo ha portato a tenere varie mostre, come: “Ortelle: Luci e Colori”, nel 1989 nel suo paese natale; “Visioni di Sanarica”, nel 1990, nella Casa Canonica di Sanarica; “Olea Eurpoaea, dedicato all’ulivo”, all’Euro Art Expo di Verona, nel 1991, ecc. Il procedimento fotografico utilizzato dal nostro autore è un post-vedutismo che viene definito “scrittura con la luce” da Donato Valli, che coglie la confluenza dell’esperienza estetica di Chiarello in quella letteraria di Girolamo Comi, poeta molto amato dal Nostro. Donato Valli, nota critica, in Antonio Chiarello, “Castro”, cofanetto fotografico, 1992. Dice il Pittore Pitta Santi all’Uomo dei curli che “alle soglie del terzo millennio, nella Madonna de a Crutta, si accorse di essere figlio di Bisanzio, e allora si mise a pittar Santi e Madonne, memore di un’infanzia spesa giocando in un eremo abitato da silenzi muffe e licheni. Continuò a cercare in quel suo pittar Santi il Segno primigenio.

Con questi Frammenti di Religiosità Rupestre volle partecipare a tutti un unico messaggio: Salviamo gli ultimi resti!”: Questo scrive Antonio Chiarello nel Catalogo della mostra del 1993 Lapides sacri. Frammenti di religiosità rupestre, con presentazione di Marina Pizzarelli. Nel 1996, Chiarello tiene la mostra “S’era pittore jeu…, ode in sette tele per un cuore messapo”, a Muro Leccese; nel 1998,  è la volta di “di/Segni D’acqua –dodici tavole per Santa Cesarea”,  mentre nel 1999 tiene a Larissa (Grecia) la mostra “Finibus Terrae, Acquaforte per Rassegna grafica. Dice Antonio Errico: “Dove la terra e il mare hanno per confine solo la vertiginosità di uno strapiombo; dove i colori dell’aria e dell’acqua sono la magia di una confusione; dove dalle torri di guardia l’immaginazione può scorgere ancora flotte turchesche verso l’orizzonte, è lì che Antonio Chiarello scruta con lo sguardo, è lì il punto in cui cerca i colori. Dove il Salento ha la fisionomia del mito, dove ogni cosa muore e risorge nello stesso istante, dove le leggende non sono mai finite, in quei posti dove vibra una voce strana e strabiliante, che viene da una fantasia e una suggestione, in quei posti Antonio Chiarello trova i motivi per le sue narrazioni di colori”[4].

Nel 2005, Chiarello ha realizzato la mostra devozionale “Sant’Antonio, giglio giocondo”, che è partita da Spongano ed ha avuto un grosso successo. Si tratta di una mostra onomastica che ha voluto dedicare prima di tutto a se stesso, in occasione dei suoi cinquant’anni, e poi a tutti coloro che si chiamano Antonio. Con la voce recitante di Agostino Casciaro e la musica dei Menamenamò che eseguono inni popolari dedicati a Sant’Antonio, santo molto popolare in tutto il Salento, questo progetto- ex voto raccoglie tredici carte devozionali, che l’autore vuole far portare in giro per la provincia di Lecce in tutti i paesi dove vi sia il protettorato o almeno una devozione per Sant’Antonio. Da diversi anni, inoltre, l’artista realizza un calendario d’autore per le Terme di Santa Cesarea. Sue opere sono in molte collezioni private e pubbliche.

Ma Chiarello ha ancora in mente tanti progetti da realizzare. Continuerà a raccontare l’anima autentica del Salento, i suoi dolmen, i suoi menhir e, seguendo le sue stesse parole, “i suoi paesaggi abitati da fichi, oleandri, carrubi, dal geco e dalla tarantola, capperi, fichi d’India, vite e gran selve d’olivi. Immensi, millenari, biblici Olivi. E tutt’intorno cullati dal liquido primordiale: il Mare. Un mare di leggende, un mare di paure, un mare di speranze… Bassi agglomerati di calce sotto un immenso cielo, dove l’uomo dialoga ancora con la terra ascoltandone il sibilo lungo di millenaria cultura. Tutto questo e tanto altro ancora è la Terra D’Otranto, dove finisce la terra e lievitano leggeri i Sogni[5].

PAOLO VINCENTI

Pubblicato, col titolo Antonio Chiarello. Di sole e d’azzurro, in “Il Tacco d’Italia”, novembre 2006.


[1] Antonio Chiarello, Al mio mare… brochure, s.d.

[2] Versi riportati da Antonio Chiarello nel cofanetto “Castro”, del 1992.

[3] Riportato da Antonio Chiarello nel cofanetto “Otranto”, 2002.

[4] Antonio Errico, La pittura di Antonio Chiarello. All’origine del tempo e del colore, in «Qui Salento», Lecce, agosto 2006, p.32.

[5] Antonio Chiarello, cartolina Finibusterrae.


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