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Origini della superstizione del gatto nero

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Gatto nero

Gatto nero

le curiosità di Zornas

La superstizione del gatto nero è un fenomeno affascinante che ha attraversato secoli e culture, mutando significati e influenze nel corso del tempo. Questa credenza ha le sue radici nell’antico Egitto, dove i gatti erano tenuti in grande considerazione, associati alla dea Bastet e considerati portatori di fortuna. Tuttavia, con il Medioevo in Europa, la narrazione attorno ai gatti neri subì una drastica trasformazione. In questo periodo, dominato da paure religiose e superstizioni, i gatti neri iniziarono ad essere associati alla stregoneria e al male. Si riteneva che potessero essere trasformazioni delle streghe o i loro famigli, assistenti demoniaci inviati per compiere azioni maligne. Questa associazione negativa si rafforzò con la caccia alle streghe, durante la quale sia le streghe che i gatti neri venivano spesso perseguitati e uccisi.

La figura del gatto nero come portatore di sfortuna venne cementata ulteriormente da varie leggende e racconti del folklore europeo, che narravano di incontri con questi felini durante la notte, considerati presagi di eventi nefasti. La loro presenza in storie e leggende contribuì a consolidare la loro immagine come simboli di male e sventura. Queste credenze si diffusero e si evolsero nel tempo, influenzando la letteratura, il folklore e le tradizioni di diverse culture. Ad esempio, nella cultura marinara, i gatti neri erano invece considerati portatori di buona fortuna, specialmente se a bordo di navi.

Con il passare dei secoli, l’iconografia dei gatti neri divenne particolarmente prominente durante la festività di Halloween, dove sono diventati simboli iconici associati al mistero e al soprannaturale. Nonostante le origini antiche delle superstizioni sui gatti neri, la loro percezione sta lentamente cambiando, grazie alla maggiore consapevolezza e alle campagne volte a sfatare i miti che li circondano, permettendo così a questi eleganti felini di essere apprezzati per la loro vera natura. La storia della superstizione del gatto nero è quindi un’esemplificazione di come le credenze e le narrazioni culturali possano plasmare profondamente la percezione degli animali nella società, riflettendo i cambiamenti nei valori, nelle paure e nelle aspirazioni umane attraverso i secoli.

La storia della superstizione del gatto nero si intreccia con la storia umana, riflettendo le complesse relazioni tra uomini e animali, nonché le varie interpretazioni culturali del bene e del male.

Nell’Antico Egitto, i gatti erano tenuti in alta considerazione e spesso associati a divinità come Bastet, la dea della casa, del fuoco domestico, della fertilità e della nascita. Bastet era raffigurata come una donna con la testa di un leone o di un gatto e simboleggiava la protezione e la maternità. I gatti, compresi quelli neri, erano considerati sacri e la loro uccisione era severamente punita.

Con l’avvento del Medioevo in Europa, la percezione dei gatti neri subì un drastico cambiamento. La paura dell’ignoto, combinata con l’ascesa del Cristianesimo e la diminuzione del politeismo, portò a una demonizzazione di ciò che una volta era sacro. I gatti neri, con il loro aspetto notturno e i loro comportamenti enigmatici, divennero simboli di sfortuna, stregoneria e associazioni oscure.

Durante il periodo della caccia alle streghe, soprattutto tra il XV e il XVII secolo, i gatti neri furono ulteriormente demonizzati e spesso associati alle streghe come loro famigli o compagni. Si credeva che le streghe potessero trasformarsi in gatti neri o che questi animali fossero doni dal diavolo stesso. Questa associazione portò a un aumento della superstizione e, in alcuni casi, alla persecuzione sia delle streghe presunte sia dei gatti neri.

Queste origini della superstizione del gatto nero dimostrano come le credenze e le paure culturali possano influenzare profondamente la percezione degli animali. Nei secoli successivi, queste narrazioni si sono evolute e diffuse, integrandosi in varie tradizioni e leggende in tutto il mondo.


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