IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Profumo d’arance amare di Salvatore Leto recensione di Gabriella Paci                                                              

Un libro di -Salvatore -Leto

Un libro di -Salvatore -Leto

E’ un romanzo che, come si evince dal titolo stesso, narra vicende che si incastonano una sull’altra con la dolcezza dell’amore ma anche con l’amarezza delle sconfitte e delle delusioni.

Il frutto che dà il titolo al romanzo ci riporta altresì alla Sicilia, terra incantata dalle straordinarie bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche di territori aspri e brulli, di slanci passionali e sanguigni ma anche di tabù ancestrali: una terra ,dunque ,piena di contraddizioni e proprio per questo, misteriosa e affascinante.

Padre Serafino, uomo del Piemonte ,si trova ad essere uno dei protagonisti di questa storia e a doversi calare nella mentalità dei siciliani ,come lo ammonisce padre Fedele sottolineando quella che dall’unità d’Italia ad oggi, continua ad essere ,per molti aspetti, mentalità differente se non contrapposta.

Leto ci ricorda “Il gattopardo “ il capolavoro di Tomasi di Lampedusa che fa dire a Tancredi nipote del capostipite della famiglia principe di Salina che ,nonostante i cambiamenti epocali apportati dall’avverarsi dell’unità d’Italia, ,tutto rimarrà sostanzialmente immobile nel suo modo di essere, anche se apparentemente tutto sembrerà cambiare.

Eppure qui seppure l’autore ci riporti all’immobilismo delle gerarchie sociali con i padroni di nobile lignaggio che hanno il potere economico e sociale e i servitori, deferenti e sottomessi, in un ambiente dove ognuno deve rispettare il suo posto perché è “nella natura delle cose”, alla fine prevarrà il dolce seppure dopo amarezze e sotterfugi, rendendo giustizia alla verità delle cose, con il superamento delle convenzioni e dell’immobilismo.

Ci si immerge nella narrazione non solo perché vi si ritrova il mondo caro ad autori di oggi da Simonetta Agnello Hornby o Dacia Maraini dove si intrecciano tradizioni e pulsioni amorose con quella passionalità che già fu cara a Giovanni Verga, ma perché lo stile discorsivo e fluido, fa scorrere senza intoppi la trama e incuriosisce il lettore su quale sarà l’esito della vicenda che stupisce con colpi di scena fino alla conclusione.

Un amore spezzato, una giovane e sensuale baronessa, un figlio amato ma incapace a vivere davvero, un giovane e brillante amministratore, una coppia di sacerdoti riescono, con l’apporto di personaggi di secondo piano, a mettere in scena la loro storia che Pirandello avrebbe senza dubbio saputo rendere nella sua complessa psicologia in una piece teatrale.

I personaggi appaiono nella loro sfaccettatura perché si narrano e sono narrati: Ne deriva una narrazione corale dove l’autore, alla maniera di Verga, diventa nascosto e fa in modo che i personaggi prendano vita propria e ci trasportino nel loro mondo, nel loro punto di vista. Il punto di vista è però fondamentalmente quello del narratore in prima persona e cioè di Don Casimiro ,il brillante amministratore . La bella baronessa parla ,ma il suo è un parlare che non rivela mai il suo modo di essere come fanno le sue azioni che tuttavia lei stessa poi tiene celate perché questa è la regola dell’omertà e della convenienza: diventa così da donna eroina, capace di prendere in mano il suo destino e reagire ad una sconcertante verità ,una donna incapace di essere fino in fondo se stessa e riappropriarsi di quella vita che è stata a lungo vittima di un rapporto non autentico fino in fondo. Ma questo non ci stupisce perché la donna in Sicilia è ancora oggi troppo spesso obbligata ad una vita di sudditanza, se non economica ,almeno decisionale e ciò che può fare il marito, non è dato saperlo fino in fondo. Ma Lei, che pare ribellarsi ,si lascia ,da donna libera, ingabbiare di nuovo nelle rete della convenienza tornando così a essere vittima ,seppure di se stessa. Vittima rende anche il figlio Gabriele ,condotto a fare scelte obbligate e , forse, infelici .

La conclusione riporta quella dolcezza, un po’ amara, delle arance di cui si fregia il titolo.

In sintesi, un romanzo che narra con un linguaggio semplice ma che tiene conto del personaggio ,con termini anche dialettali (che rendono più autentico il suo parlare) una storia che l’autore ci dice essere stata sviluppata in sette notti di sogni,… rendendo anche la sua origine misteriosa come la terra in cui si ambienta.

Gabriella Paci


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