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“Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi” dall’8 marzo al 30 giugno, a Torino Palazzo Barolo

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Ito Shinsui (1898-1972)_Kanzashi firmata Shinsui_Sezione Lo spirito dei tempi_bassa

Ito Shinsui (1898-1972)_Kanzashi firmata Shinsui_Sezione Lo spirito dei tempi_bassa

di Martina Lettieri

Pigmenti brillanti, atmosfere malinconiche e silenziose, sospese tra il profondo legame con la tradizione e l’avanzare inesorabile del progresso. Questo è lo Shinhanga, che letteralmente significa “la nuova xilografia”. Si tratta del movimento artistico che si diffuse in Giappone dagli anni ’10 del Novecento, a cui per la prima volta in Italia si è deciso di dedicare una mostra.

Dall’8 marzo al 30 giugno, uno scorcio su questo affascinante pezzo della storia dell’arte mondiale verrà offerto al pubblico, nelle sale di Palazzo Barolo a Torino, dalla mostra “Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi”, prodotta da Vertigo Syndrome per la cura Paola Scrolavezza.

Per associazione di idee, il titolo fa venire in mente la Grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai, l’opera più famosa della corrente ukiyoe di Sei, Sette e Ottocento, che lo Shinhanga rivoluzionerà e innoverà, creando appunto una “nuova” onda delle stampe.

Le tecniche restano quelle tradizionali e il processo di distribuzione è quello dello hanmoto, cioè l’”atelier”, che già in passato vedeva l’artista occuparsi dell’ideazione e del disegno, per poi affidare all’incisore, al tipografo e all’editore le fasi successive di stampa.

Le novità dello Shinhanga stanno invece nelle tematiche: se in passato le stampe prediligevano località celebri, famose geisha oppure personaggi legati al mondo dei teatri in voga, lo Shinhanga non farà altro, dall’inizio del Novecento, che adattare le xilografie a una modernità che nel bene e nel male avanza inesorabilmente, che crea nuovi interrogativi e paure, ma anche nuove speranze.

Fino agli anni Quaranta del Novecento, lo Shinhanga resta infatti il riflesso artistico di un periodo storico dinamico e ambivalente, caratterizzato dai fenomeni di trasformazione socio-culturale, ma anche da un generale senso di smarrimento di fronte a un futuro sempre più imminente: da un lato, l’urbanizzazione fa delle città i centri di una cultura sempre più aperta al nuovo pubblico che arriva nelle metropoli dalle periferie, attratto dalle opportunità di ascesa economica e da uno stile di vita moderno, svincolato dai tradizionali codici di comportamento; dall’altro lato, la nostalgia è già presente in una società che sempre di più si sta allontanando da sé stessa per aprire le porte alle influenze e alle prospettive innovative d’oltreoceano.

In un contesto del genere, artisti come Itō Shinsui, Kawase Hasui e Hashiguchi Goyō iniziano a interessarsi a rappresentazioni nuove, a realtà “marginali” che erano assenti nelle produzioni artistiche precedenti. Così, nell’arte compaiono i luoghi della provincia rurale non ancora raggiunti dalla modernità, le scene notturne al chiaro di luna, dove prevalgono i toni più cupi del blu, o ancora le marine al tramonto o illuminate delle lanterne delle barche, fino alle pagode che svettano sui ciliegi in piena fioritura: tutti paesaggi ideali e simbolici. Anche i ritratti femminili, chiamati bijinga, sperimentano innovazioni importanti. I ritratti delle celebrità e i modelli di una femminilità irraggiungibile lasciano il posto alle donne comuni, vere rappresentanti della modernità, che vengono infatti ritratte mentre si acconciano i capelli, si truccano, vivono come tutti, sognando ed emozionandosi.

La mostra torinese procede attraverso un percorso scandito da paesaggi e ritratti, fino ad uno spartiacque nella storia e, quindi, nell’esposizione, che è il terremoto del Kantō. Questa calamità colpisce la capitale nel 1923 e causa più di 100.000 morti, radendo al suolo tutta l’area attorno alla città. Dopo quella tragedia, nasce dalle sue stesse ceneri una nuova Tokyo, ancora più proiettata verso il futuro. E l’arte ne assorbe i ritmi frenetici.

La produzione degli shinhanga si intensifica, riflette l’atmosfera della realtà in ricostruzione e la racconta in una produzione sempre più eterogenea che ai paesaggi rurali affianca angoli, strade deserte, case dalle cui finestre filtra un’illuminazione densa e artificiale. Le figure umane scompaiono, cedono il posto alla pioggia e alla neve, a quella che sembrerebbe una rappresentazione simbolica dell’eterna lotta tra l’umanità e la natura, che tutte le culture, anche se ciascuna a modo suo, hanno sempre sentito la necessità di raccontare, perché il senso di smarrimento e la solitudine umana di fronte alla fragilità dell’esistenza non ha confini, né geografici, né storici.

Questa immersione nell’arte shinhanga si arricchisce con scatti, video, riviste d’epoca e abiti femminili, per offrire in maniera coinvolgente uno spaccato vivido e intenso del Giappone tra le due guerre, ricreandone l’atmosfera in toto.

Per tutto il periodo di apertura sono in programma molti eventi collaterali, con laboratori, conferenze, presentazioni di libri e altri incontri inerenti al tema dell’esposizione, che si potrà visitare dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 19.00 e sabato e domenica dalle 10.00 alle 20.00.

Martina Lettieri


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