“Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi” dall’8 marzo al 30 giugno, a Torino Palazzo Barolo
![Ito Shinsui (1898-1972)_Kanzashi firmata Shinsui_Sezione Lo spirito dei tempi_bassa](https://www.ilpensieromediterraneo.it/wp-content/uploads/2024/03/Ito-Shinsui-1898-1972_Kanzashi-firmata-Shinsui_Sezione-Lo-spirito-dei-tempi_bassa-e1709641703210.jpg)
Ito Shinsui (1898-1972)_Kanzashi firmata Shinsui_Sezione Lo spirito dei tempi_bassa
di Martina Lettieri
Pigmenti brillanti, atmosfere malinconiche e silenziose, sospese tra il profondo legame con la tradizione e l’avanzare inesorabile del progresso. Questo è lo Shinhanga, che letteralmente significa “la nuova xilografia”. Si tratta del movimento artistico che si diffuse in Giappone dagli anni ’10 del Novecento, a cui per la prima volta in Italia si è deciso di dedicare una mostra.
Dall’8 marzo al 30 giugno, uno scorcio su questo affascinante pezzo della storia dell’arte mondiale verrà offerto al pubblico, nelle sale di Palazzo Barolo a Torino, dalla mostra “Shinhanga. La nuova onda delle stampe giapponesi”, prodotta da Vertigo Syndrome per la cura Paola Scrolavezza.
![](https://www.ilpensieromediterraneo.it/wp-content/uploads/2024/03/Ito-Shinsui-1896-1972_Battledore_ca.-1945-1957-originariamente-stampata-nel-1938_Editore-Watanabe_-538x36-cm_bassa-426x600.jpg)
Per associazione di idee, il titolo fa venire in mente la Grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai, l’opera più famosa della corrente ukiyoe di Sei, Sette e Ottocento, che lo Shinhanga rivoluzionerà e innoverà, creando appunto una “nuova” onda delle stampe.
Le tecniche restano quelle tradizionali e il processo di distribuzione è quello dello hanmoto, cioè l’”atelier”, che già in passato vedeva l’artista occuparsi dell’ideazione e del disegno, per poi affidare all’incisore, al tipografo e all’editore le fasi successive di stampa.
Le novità dello Shinhanga stanno invece nelle tematiche: se in passato le stampe prediligevano località celebri, famose geisha oppure personaggi legati al mondo dei teatri in voga, lo Shinhanga non farà altro, dall’inizio del Novecento, che adattare le xilografie a una modernità che nel bene e nel male avanza inesorabilmente, che crea nuovi interrogativi e paure, ma anche nuove speranze.
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Fino agli anni Quaranta del Novecento, lo Shinhanga resta infatti il riflesso artistico di un periodo storico dinamico e ambivalente, caratterizzato dai fenomeni di trasformazione socio-culturale, ma anche da un generale senso di smarrimento di fronte a un futuro sempre più imminente: da un lato, l’urbanizzazione fa delle città i centri di una cultura sempre più aperta al nuovo pubblico che arriva nelle metropoli dalle periferie, attratto dalle opportunità di ascesa economica e da uno stile di vita moderno, svincolato dai tradizionali codici di comportamento; dall’altro lato, la nostalgia è già presente in una società che sempre di più si sta allontanando da sé stessa per aprire le porte alle influenze e alle prospettive innovative d’oltreoceano.
In un contesto del genere, artisti come Itō Shinsui, Kawase Hasui e Hashiguchi Goyō iniziano a interessarsi a rappresentazioni nuove, a realtà “marginali” che erano assenti nelle produzioni artistiche precedenti. Così, nell’arte compaiono i luoghi della provincia rurale non ancora raggiunti dalla modernità, le scene notturne al chiaro di luna, dove prevalgono i toni più cupi del blu, o ancora le marine al tramonto o illuminate delle lanterne delle barche, fino alle pagode che svettano sui ciliegi in piena fioritura: tutti paesaggi ideali e simbolici. Anche i ritratti femminili, chiamati bijinga, sperimentano innovazioni importanti. I ritratti delle celebrità e i modelli di una femminilità irraggiungibile lasciano il posto alle donne comuni, vere rappresentanti della modernità, che vengono infatti ritratte mentre si acconciano i capelli, si truccano, vivono come tutti, sognando ed emozionandosi.
La mostra torinese procede attraverso un percorso scandito da paesaggi e ritratti, fino ad uno spartiacque nella storia e, quindi, nell’esposizione, che è il terremoto del Kantō. Questa calamità colpisce la capitale nel 1923 e causa più di 100.000 morti, radendo al suolo tutta l’area attorno alla città. Dopo quella tragedia, nasce dalle sue stesse ceneri una nuova Tokyo, ancora più proiettata verso il futuro. E l’arte ne assorbe i ritmi frenetici.
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La produzione degli shinhanga si intensifica, riflette l’atmosfera della realtà in ricostruzione e la racconta in una produzione sempre più eterogenea che ai paesaggi rurali affianca angoli, strade deserte, case dalle cui finestre filtra un’illuminazione densa e artificiale. Le figure umane scompaiono, cedono il posto alla pioggia e alla neve, a quella che sembrerebbe una rappresentazione simbolica dell’eterna lotta tra l’umanità e la natura, che tutte le culture, anche se ciascuna a modo suo, hanno sempre sentito la necessità di raccontare, perché il senso di smarrimento e la solitudine umana di fronte alla fragilità dell’esistenza non ha confini, né geografici, né storici.
Questa immersione nell’arte shinhanga si arricchisce con scatti, video, riviste d’epoca e abiti femminili, per offrire in maniera coinvolgente uno spaccato vivido e intenso del Giappone tra le due guerre, ricreandone l’atmosfera in toto.
Per tutto il periodo di apertura sono in programma molti eventi collaterali, con laboratori, conferenze, presentazioni di libri e altri incontri inerenti al tema dell’esposizione, che si potrà visitare dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 19.00 e sabato e domenica dalle 10.00 alle 20.00.
Martina Lettieri