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Angoscia e paradosso nel pensiero di Franz Kafka con riferimento a “Il Processo” a cura di sandra Vita Guddo

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Il processo di Franz Kafka

Il processo di Franz Kafka

Nel celebre trattato filosofico “AUT-AUT” (1843) di Soren Kierkegaard viene introdotto, per la prima volta in modo sistematico, il concetto di disperazione e di angoscia: il primo riguarda il rapporto che l’uomo ha con sé stesso; l’angoscia, invece, riguarda il rapporto dell’uomo con il mondo.

Ebbene, ne “Il Processo” l’opera più celebre di Franz Kafka (1883-1924) entrambi sono presenti ma certamente è il concetto di angoscia a costituire il filo conduttore della sua narrazione. Come mette ben in evidenza il filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno (1903-1969) “Il Processo” costituisce “quel grimaldello essenziale attraverso cui era stata scardinata la porta che separava il lettore e narratore: un dispositivo grazie al quale la distanza estetica viene annullata e ogni prospettiva di approccio al romanzo viene rivoltata”.

Ma dietro quella porta scardinata cosa poteva trovare il lettore?

 L’angoscia più assoluta cioè l’abisso del nulla!

Non a torto il traduttore del capolavoro kafkiano dal tedesco all’italiano

aveva affermato che tradurre un libro non è come leggerlo perché si stabilisce con la narrazione un rapporto simbiotico, quasi intimo, che ha lasciato in lui una netta sensazione: afferma infatti che, dopo la traduzione del capolavoro kafkiano, Egli si è sentito come colui che esce da una malattia. Talmente forte è la disperazione del signor Kappa, protagonista del romanzo, nei confronti di sé stesso che mostra uno scetticismo dell’Io ancora più profondo dell’Io analizzato da Sigmund Freud.

Allo stesso modo l’angoscia che pervade il signor Kappa nei confronti della società che lo circonda è totale e opprimente al punto da capovolgere il rapporto Causa- Effetto.
Nel contesto dell’opera kafkiana, ciò sta a significare che mentre, normalmente, la pena è l’effetto della colpa nel senso che se noi commettiamo un furto (causa o colpa) ci aspettiamo come effetto consequenziale una pena! Invece nella visione di Kafka tutto viene rovesciato: infatti, il signor K. subisce un processo ed una pena senza conoscere la causa e senza averne colpa! Da questa situazione assurda e paradossale scaturisce quell’angoscia che supera i confini esistenziali individuali per divenire, infine, universale e connaturata al destino che accomuna l’intero genere umano. Ciò in quanto vivere è già una colpa!

L’assurdo e il paradosso sono pertanto la chiave di lettura delle opere di Kafka e come chiarisce  T. Adorno il romanzo diventa “l’iperbole onirica e immaginaria della società totalitaria che nella scrittura di Kafka coincide con la famiglia e l’ufficio, come mondo dell’obbedienza, del meccanicismo, dell’astrattezza”.

Il linguaggio utilizzato da Kafka mantiene però una dimensione assolutamente realistica e oggettiva che contrasta con il carattere immaginario del contenuto, come abbiamo già avuto modo di analizzare nel nostro commento critico al racconto “La Metamorfosi (gennaio 2023) in cui si fa preciso riferimento al realismo magico.

Va tuttavia precisato che Kafka non muove direttamente la critica sociologica e politica alla società tardo-capitalista né alla società totalitaria, anche perché il totalitarismo feroce e disumano di Adolf Hitler (1889-1945) non si era ancora affermato e radicato nella società middle-europea.

L’incipit de “Il Processo” è abbastanza simile all’incipit del racconto sopra citato: Il signor Kappa come Gregor Samsa, una mattina come tante altre. si sveglia pronto per far colazione e recarsi in banca dove lavora da parecchio tempo ma viene bloccato e arrestato senza colpa: “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K.  perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato” (…) “Che razza di uomini erano? Di che parlavano? A quale autorità facevano capo?” (cap.1°)

Un altro oscuro elemento serpeggia nelle pagine del romanzo quella inquietante sensazione di essere continuamente sorvegliati e perseguitati da sconosciuti che ci spiano come nel primo capitolo in cui il protagonista si accorge che dalla finestra difronte un’anziana signora” lo osservava con una curiosità del tutto insolita”.

Al momento del suo arresto cosi come, al momento dell’esecuzione finale, K. si accorge che da una finestra che si era spalancata all’improvvisoUn uomo, che per via della distanza e dell’altezza pareva debole e sottile, si sporse con impeto davanti tenendo le braccia ancora più in fuori. Chi era?”.  E’ evidente che Kafka anticipa il personaggio del GRANDE FRATELLO , presente nel capolavoro di George Orwell “1984” , pubblicato nel 1949, in cui si ipotizza il fatto che ogni individuo è tenuto costantemente sotto controllo in una società gerarchica di tipo totalitario, alimentando il dramma angoscioso della persecuzione. Dramma che Kafka vive intensamente per i motivi già esplicati nella nostro commento alla Metamorfosi.

Infine, tornando al romanzo, il protagonista matura il senso di colpa al punto da cooperare con i suoi aguzzini per facilitare l’esecuzione capitale:

“Gli uomini posarono K. a terra, lo appoggiarono alla pietra e vi adagiarono la sua testa sopra. Nonostante tutti gli sforzi che facevano e nonostante la cooperazione che K. dimostrava verso di loro, la sua posizione restò molto innaturale e inverosimile. (…)” dov’era il giudice che non aveva mai visto? Dov’era l’alto tribunale fino al quale non era mai arrivato? Alzò le mani allargando le dita. Ma alla gola di K. si strinsero le mani di uno degli individui, mentre l’altro gli infilava il coltello nel cuore rigirandolo poi due volte. Con gli occhi che si spegnevano K. vide ancora come gli uomini, vicini al suo viso, poggiati guancia a guancia, osservavano la conclusione, “Come un cane!” disse, era come se la vergogna gli dovesse sopravvivere. (cap. conclusivo).

Tra l’incipit e l’epilogo del romanzo si snoda un tortuoso labirinto di fatti che non portano a nulla, si incontrano una serie di personaggi incapaci di aiutare veramente il processato, una serie di incontri inconcludenti se non a rafforzare il senso di colpa di K. il quale accetterà il suo destino senza ribellarsi, pur avendo le capacità e la cultura per agire in suo favore e per la sua salvezza.

Probabilmente, anzi siamo più che convinti che per Kafka non vale la pena vivere!

                                                               Sandra Vita Guddo

Febbraio 2023

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