IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Gocce di penna tra albe e crepuscoli

venditore-ambulante-di-frutta

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di Rocco Boccadamo

Sono arrivato al mondo, una grossa gerla di calendari fa, secondo nato in seno ad un nucleo famigliare numeroso, ossia dire composto di padre, madre e ben sei figli.

Eguale quantificazione, per i rispettivi focolari d’origine dei miei genitori, così che, senza porci niente di mio, mi son trovato contornato da una pattuglia di dieci figure, fra zii e zie d’ambedue i rami, numero raddoppiato, per effetto delle loro unioni matrimoniali, alla considerevole cifra di venti.

E, ancora, sull’immediato gradino di discesa generazionale, si è gradualmente collocata una vie più folta schiera di cugini e cugine, pari, per la precisione, a trentuno unità, in cui io occupo il secondo posto in classifica per anzianità anagrafica.

Tuttavia, non è una novità, anzi è naturalmente risaputo, che alla data di nascita non sempre sono commisurati, in una sorta di sintonia armonica, gli altri eventi importanti della vita, i cui rintocchi e modi rispondono a variabili del tutto indipendenti.

In siffatto quadro di svolgimento esistenziale, in questi giorni se n’è, purtroppo, andato, antesignano fra i trentuno, il cugino Michele, notevolmente più leggero d’anni rispetto a me e, casualmente, inserito in un’attività lavorativa analoga all’ex mia.

Correlati in modo indicativo a Michele, mi scorrono nella mente e davanti agli occhi, molto freschi e nitidi, due avvenimenti.

All’atto della nascita di Michele, frequentavo la terza media. La sera della festicciola per il suo battesimo in casa degli zii Lucia e Peppino, all’amico parroco del tempo don Giuseppe, il quale mi chiedeva notizie circa l’andamento del mio profitto scolastico, io potetti rispondere che proprio quel giorno il professore ci aveva mostrato, in classe, gli ultimi compiti d’italiano corretti (tema sull’Odissea, avente per titolo lo sbarco di Ulisse sull’isola dei Feaci), non senza precisare che, nel consegnarmi il mio elaborato con voto otto, il docente mi aveva gratificato con le parole: “Bravo, hai compiuto un bello sbarco sull’isola di Nausicaa”.

Inoltre, nel Santuario della Madonna del Rosario a Castro Marina, quando, nel 1964, mi sono sposato, presente e officiante il già citato don Giuseppe, insieme con don Salvatore, parroco di Castro, Michele adempiva il ruolo di chierichetto, in cotta bianca, com’è rimasto fissato nelle ormai vetuste riprese fotografiche di quella cerimonia.

Sembrano danzare irrefrenabilmente i corsi delle cose, grandi o piccoli che siano, finanche sotto forma di sequenze minutissime e di primo acchito insignificanti, e, in realtà, non ci lasciano mai indifferenti, catturando di volta in volta eppure senza soluzione di continuità barlumi di nostri sguardi e frammenti d’attenzione e riflessione.

Stamani, un venditore ambulante con camioncino carico di frutta e verdura, in barba al freddo insolito per queste plaghe, andava proponendo ad alta voce e di buona lena, ai passanti, in particolare “tre cassette di scarcioppole (carciofi), scontate a otto euro, anziché a nove euro”.

Mentre, di lì a poco, nell’anticamera dello studio del mio medico di famiglia, una donna si disperava all’indirizzo della segretaria del professionista perché “le aveva scangiatu la lizzetta” (le aveva consegnato una ricetta sbagliata).

Intanto che un altro anziano paziente in attesa, seduto in un angolo avvolto in una giacca a vento con la scritta “Aigle” sui gomiti, si toglieva il copricapo di lana, estraendo contemporaneamente e rapidamente dalla tasca un pettinino e passando quindi a darsi una sistemata a puntino alla bianca capigliatura, muovendo con estrema precisione il piccolo attrezzo dalla parte anteriore delimitante la fronte stempiata verso l’indietro.

Nel medesimo luogo, aspettavano in fila il loro turno un uomo e una donna dall’incarnato spiccatamente bruno e con gli altri tratti somatici tipicamente orientali.

Il curioso narratore si avvicina loro con qualche domanda: sono marito e moglie, provengono dallo Sri Lanka, vivono in Italia da trent’anni, quasi interamente trascorsi a Lecce, si trovano bene, hanno due figli, di cui il primo, universitario e il secondo, frequentante l’Istituto alberghiero, il capofamiglia fa lo stalliere in un centro d’equitazione sulla via per San Pietro in Lama, la donna, invece, è semplicemente casalinga.

In sintesi una bella normale coppia, come tante delle nostre.

Perché si sparge tanta generalizzazione nell’argomentare sulla realtà degli immigrati? Appena sette gradi segna il termometro, l’aria è frizzante e, però, due micetti, a loro modo forse più saggi di noi umani che ci lasciamo perennemente prendere da mille incombenze e impicci, si stanno prendendo il sole beatamente accovacciati e quasi sonnecchiando sul tettuccio di una rossa moderna utilitaria.

Mentre vado completando le presenti righe, volgendomi verso il balcone, ho agio di godermi lo spettacolo del soleggiato pomeriggio leccese, che mi piace abbinare a quello dell’affascinante mare di Castro, catturato con la fotocamera l’altro ieri.


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