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Il Parco letterario e del paesaggio “Francesco Jovine” e il grande convegno internazionale dedicato all’Autore

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Francesco Jovine un uomo senza tempo

Francesco Jovine un uomo senza tempo

di Francesco Paolo Tanzj

Una due giorni importante quella ideata, promossa e realizzata dal Parco letterario e del paesaggio “Francesco Jovine” giovedì 20 e venerdì 21 aprile a Guardialfiera ed Agnone per celebrare il maggiore scrittore molisano del novecento.

Ecco allora che il Convegno internazionale Francesco Jovine “Un uomo senza tempo, realizzato dal Parco letterario e del paesaggio “Francesco Jovine” per celebrare l’Autore, uno dei maggiori esponenti del neorealismo italiano, ha coinvolto alcuni tra i maggiori studiosi della sua opera. Toccando così gli aspetti più salienti della sua vita e della sua scrittura, dalla storia molisana e nazionale alla società contadina, dalla scuola alla sua formazione gramsciana, fino all’impegno politico e sociale che lo ha sempre caratterizzato.

Per una consapevole rivisitazione dei suoi scritti e del suo amore per la terra natia, sempre presente nelle vicende dei suoi personaggi, e del suo ruolo di primo piano negli anni sofferti e rivoluzionari al tempo stesso del neorealismo.

Perché Francesco Jovine, pubblicato inizialmente da Einaudi e vincitore del Premio Viareggio nel 1950, merita certamente di essere conosciuto e rivalutato per l’importanza – ancora attuale – dei suoi scritti, a cominciare da Signora Ava e da Le terre del Sacramento, romanzi che affrontano significativamente periodi e temi importanti e cruciali della formazione stessa dell’Italia. Anche se il principale motivo conduttore del suo scrivere consiste nell’appassionata descrizione della realtà contadina molisana: le parole, i gesti, le case, le tradizioni, il duro lavoro dei campi, le sofferenze e le ingiustizie. Il tutto calato in luoghi ben precisi, spesso volutamente riconoscibili. Che vanno però al di là dell’amore per la sua terra natìa, divenendo un messaggio globale di giustizia e libertà

Proviamo a farlo seguendo i percorsi stessi raccontati dall’autore.

Come lo sfortunato viaggio di Don Matteo (in “Signora Ava”) sul suo negligente asino Don Girolamo, giù da Guardialfiera, lungo il fiume Biferno, intorno al Monte Peloso:

“Il tempo pareva volesse benedire il viaggio di Don Matteo. Era spuntato il sole sulla neve. Il cielo, sgombro di nuvole fino ai limiti dell’orizzonte, era cristallino e lieto; la campagna era senza vapori, era appena macchiata dai tronchi degli alberi e dalle mura grigie delle masserie. Ma giù verso la terra di Puglia, oltre Monte Nevoso, non c’erano che rade chiazze di bianco, che il sole ora nascente avrebbe cancellato.

Dopo una scesa piuttosto ripida che conduceva al fiume, c’era un lungo tratto pianeggiante che arrivava fino alle falde di Monte Peloso. Egli decise di camminare ancora: un po’ per riscaldarsi un po’ per il piacere del moto con un tempo così gradevole. Don Girolamo seguiva soffiando dalle froge la sua umida indiscrezione sul collo di Don Matteo, il quale guardava l’orizzonte alla marina dorato dei primi raggi del sole nascente, che montava verso l’alto facendo più profondo e luminoso il cielo; udiva tra le siepi cariche di neve il pigolio gentile dei passeri; da una masseria gli giunse il mansueto belare di pecore: Don Matteo camminava rapido e sorrideva ai suoi pensieri che erano gai e quieti come la mattina…

Erano arrivati alle falde del Monte Peloso, un modesto rilievo tondeggiante coperto querce e cerri e vaste macchie di maggesi. Il Monte Peloso era l’annunzio della Piana di Ischia. Ai suoi piedi si biforcava la strada e formava una tenaglia che andava a chiudersi al lato opposto: una delle branche, la meno agevole, correva lungo il fiume. Era un sentiero sassoso che aveva una siepe di salici che raggiungeva la corrente. Alcuni punti erano a picco sulle acque”.

                                          (Signora Ava, Einaudi, Torino 1990, Pag. 98 -100

Gli scenari, allora, i luoghi, i personaggi che caratterizzano l’opera letteraria di Francesco Jovine sono il motivo pulsante dell’esistenza stessa di questo Parco.

Jovine riesce a fondere magistralmente il carattere dei personaggi con i richiami dell’ambiente e del clima dando l’idea fisica di quello che vuole rappresentare.

Come quando parla della terra e dei contadini, che “rappresentano il nucleo sostanziale della sua ispirazione e riflessione – come scrive Francesco D’Episcopo, uno dei critici letterari maggiormente impegnati, a tutt’oggi, nello studio dell’opera joviniana – sul Molise e sul Mezzogiorno. Le due rivoluzioni mancate danno il senso di una rabbia, destinata a divenire progressivamente coscienza critica e ideologica. Cafoni e galantuomini si contendono le terre, ed il contrasto si protrarrà tra violenze e reazioni, sino allo sbocco nell’ambigua valvola dell’emigrazione, segnata anch’essa dalla voglia di strappare la terra sognata dalle mani dei proprietari”.

Come si può leggere dalle ultime, tragicamente appassionate pagine de “Le terre del Sacramento”, quando i contadini affamati decidono di impossessarsi dei campi a loro vanamente promessi ed infine negati:

“All’alba si sparsero per i campi. Erano arrivati anche una cinquantina di contadini di Pietrafolca che Luca aveva fatti avvertire durante la notte. Il cielo aveva nuvole alte che andavano rapidamente verso il sud. Il solicello di novembre faceva fumigare blandamente la terra. Gli uomini spargevano il seme attingendolo dalle sacche annodate alla cintola;le donne sarchiavano con minuto, rapido zappettio per seppellire i chicchi.

Luca girava per i campi e gli uomini dicevano –  buongiorno – ; le donne esclamavano – e’ Luca – , e gli facevano un sorriso”.

                                   (Le terre del Sacramento, Einaudi, Torino 1974, Pag.245)

Lo stesso paesaggio, ma umori opposti. E personaggi assai diversi.

Non più la quasi gioiosa descrizione delle prime nevi in una bella giornata di sole, ma nuvole alte, e la terra fumigante che sembra annunciare il dolore e la morte.

Non più l’umoristico e volutamente banale prete di campagna, ma la figura sofferta e coraggiosa di Luca Marano, capo di una rivolta destinata a fallire.

E così via. Uomini e donne, paesi e campagne, a volte immaginate, a volte descritte con un realismo quasi fotografico, fatto apposta per incuriosirci e spingerci a andare.

E le tradizioni, gli usi e costumi, la case, il cibo.

Quasi un’epopea. Che sarebbe lungo e arduo descrivere sia pur minutamente in poche righe. Meglio rimandare alla lettura diretta dell’autore stesso. E al “viaggio sentimentale”, alla visita diretta dei luoghi dell’ispirazione.

Ma in “Viaggio nel Molise”, altra sua opera fondamentale, Jovine si addentra anche in profonde ed acute riflessioni storico-sociali sulla realtà contadina molisana e meridionale – vero leit-motif della sua opera – da sempre teatro di ingiustizie e sopraffazioni, come si legge appunto nell’ultimo capitolo, intitolato “La società meridionale”.

“… Il cafone sapeva che tra i due padroni, il duca o il marchese che abitavano a Napoli o a Palermo e che conoscevano appena l’ubicazione delle loro terre, e l’avvocato, il notaio, l’usuraio locale che avevano tutto l’impeto e l’avidità di una classe nuova in progresso, che lesinava invece di sperperare, che conosceva il valore del denaro che era la sua unica arma di dominio, preferiva il duca e il marchese.

Il cafone pensava anche che il possesso della terra da parte del nobile era legittimo in quanto di lontana origine irraggiungibile alla memoria, una sorte di privilegio mitico come quello del re e della santa romana chiesa. L’assalto dato invece dal borghese alla terra si svolgeva sotto i suoi occhi. L’avvocato, il medico provenivano come lui da famiglia contadina, il mutamento di classe risaliva quasi sempre a due o tre generazioni.

Da qui nasceva, agli occhi dei contadini, la palese ingiustizia: il possesso della terra in mano a quelli che non la coltivavano più, e che l’avevano abbandonata e che ne diventavano

proprietari ai suoi danni”. 

                                          (Viaggio nel Molise, Ed. Marinelli, Isernia 1976, pag. 118 -119)

Ma, come dicevamo, Jovine, pur parlando dei suoi luoghi dell’anima, si inserisce in un animoso e sofferto contesto nazionale, dal brigantaggio successivo all’unità nazionale (Signora Ava) alle ingiustizie sociali dell’epoca fascista (Le terre del Sacramento).

Di tutto ciò si è parlato durante le due giornate del Convegno che ha visto la presenza dei massimi studiosi dell’Autore, tra cui anche il belga Jean Pierre Pisetta, a dimostrazione del grande interesse – nazionale e internazionale – dell’opera di Francesco Jovine, nell’intento condiviso di pubblicare un volume degli Atti del convegno da mettere così a disposizione del pubblico e contemporaneamente sollecitare l’introduzione della sua opera nei programmi di letteratura italiana in tutte le scuole.

Come afferma infatti lo studioso e critico letterario Angelo Piemontese, “Francesco Jovine è uno dei protagonisti dei due dei movimenti più rilevanti della narrativa italiana della prima metà del ‘900: il ritorno al realismo degli Anni Trenta-Quaranta e il Neorealismo, che è esploso dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Sono momenti intimamente connessi, seppure distinti a livello di poetica. I due grandi romanzi dello Scrittore molisano, infatti, appaiono proprio in queste due fasi: Signora Avanel 1942 e Le terre del Sacramento nel 1950, inframezzati dai due racconti di Tutti i miei peccati pubblicati nel 1948”. Non solo, ma l’interesse di critici di importanza nazionale, come Carlo Salinari, Giuliano Manacorda, Romano Luperini e soprattutto Carlo Muscetta e Cesare Pavese, non fa che dimostrare l’importanza del nostro. Con Cesare Pavese poi, Jovine avrà un rapporto intenso e cordiale, dimostrato dalla corrispondenza tra i due di cui citiamo un passaggio:

     A Francesco Jovine, Roma.

                                                                        Torino, 17febbraio 1948

    Caro Jovine,

mi è molto piaciuto il suo racconto1 che mi pare inizi per lei un nuovo genere. Il dramma di coscienza e l’esperienza cittadina sono rivissuti con grande vigore, e ne risulta anche una polemica efficacia che suggella eticamente il discorso. Anche Natalia Ginzburg ha letto, e ne è entusiasta.

    Appoggiamo senz’altro il volume e attendiamo Uno che si salva.

Credo di poterle garantire altresì che Einaudi leggerà con la migliore delle disposizioni Le terre del Sacramento, per cui le faccio intanto i miei auguri.

    Cordialmente,

                                 Cesare Pavese

Tanto basta a riconoscere il valore della figura dello scrittore molisano, che è stato esaminato e descritto in ogni particolare nel convegno a lui dedicato, che rappresenta un momento fondamentale degli studi sul passaggio tra il realismo e il neorealismo novecentesco nelle sue componenti stilistico-narrative, sociali e paesaggistiche ancora oggi attuali e particolarmente significative.

E l’importanza dell’impegno profuso dal Parco letterario e del paesaggio “Francesco Jovine” e dei Parchi letterari nazionali, fondamentale punto di riferimento per una conoscenza sempre più approfondita – e geograficamente distribuita – della letteratura italiana contemporanea.

                                                                Francesco Paolo Tanzj

                          Vice presidente del Parco letterario e del paesaggio “Francesco Jovine”

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