IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Okinawa a 77 anni di distanza (seconda guerra mondiale)

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USMarinesraiseflagonIwoJima

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di Eliano Bellanova

Joe Rosenthal – U.S. Marines raising the flag on Iwo Jima, 1945.

La tattica statunitense di avvicinamento (salto della rana) al territorio metropolitano giapponese (intrapresa con successo dopo le vittorie nipponiche nel Pacifico, che avevano consentito all’Impero del Sol Levante di mettere in pericolo tutti possedimenti europei e americani e di lambire la costa australiana) è coronata da successo.

Il primo territorio giapponese a essere investito dall’attacco statunitense è Okinawa.

Dal 26 marzo al 20 giugno 1945 si combatte una battaglia senza esclusione di colpi.

Lo sbarco vero e proprio ha luogo il 1° aprile ed è coronato da successo.

Il Comando Supremo nipponico aveva dato ordine di resistere fino all’esaurimento delle forze, per cui gli scontri sono sanguinosissimi con perdite rilevanti da una parte e dall’altra.

I rifornimenti americani partono dagli undici  porti di Seattle, sulla costa nord-occidentale degli States, e raggiungono Pearl Harbour, Leyte ed Espiritu Santo.

Le forze aeree, di gran lunga prevalenti su quelle giapponesi, si rivelano decisive. A partenza dalle Marianne, dalle Filippine e dalla Cina, raggiungono il teatro operativo incontrando scarsa resistenza.

Tuttavia i giapponesi difendono con il rituale fanatismo il suolo patrio, sicché i combattimenti si protraggono nel tempo.

La forza d’urto americana è costituita dalla 10a Armata, al comando del Generale Bruckner. Consta di 185 mila uomini, fra marines e forze di terra. La flotta da sbarco consta, invece, di 1.213 unità.

Per quaranta giorni nella zona sud i combattimenti stazionano con alterna fortuna, finché gli americani sfondano definitivamente.

Le perdite di parte americana ammontano a 41 mila uomini fra morti e feriti, mentre 5.000 soccombono per gli attacchi kamikaze.

Le perdite nipponiche raggiungono i 112 mila uomini.

Perde la vita anche il Generale statunitense Simon Bolivar Bruckner (18 giugno), mentre i comandanti giapponesi, Tenente Generale Ushijima e il capo di stato maggiore Cho, il 21 giugno fanno karakiri per sfuggire alla cattura nemica.

Nella circostanza la più grande corazzata del mondo, la giapponese Yamato (intitolata all’antico nome dell’Impero) il 6 aprile, muove dallo Stretto di Bungo per essere il successivo giorno 8 nei pressi di Okinawa al fine di dare man forte con i suoi grossi calibri. Priva di copertura aerea (i velivoli avevano dovuto far ritorno alle basi perché a corto di carburante) è attaccata con bombe e siluri.

Malgrado la sua robusta struttura (dichiarata per 45 mila tonnellate, consta invece di  oltre 60 mila) non resiste agli attacchi aerei e affonda  con quasi tutti gli uomini dell’equipaggio: dei 3.500 imbarcati, se ne salvano infatti solo 140. Per affondarla ci erano voluti 12 siluri e un numero imprecisato di bombe. Per giunta, se fosse stata ben condotta, forse si sarebbe potuta salvare.

Era il 7 giugno 1945…

La guerra in Europa era cessata l’8 maggio, mentre il Giappone continuerà a combattere fino al 1° settembre, allorquando si arrenderà in seguito ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki (6 – 9 agosto).

Eliano Bellanova

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