Pare che la tradizione dei doni di Natale sia nata nel Salento a Cocùmola
Una favola di Pompeo Maritati
La pandemia in corso in questo primo quarto del XXI secolo lascia ancora, per fortuna, lo spazio alla solita preparazione delle festività che da secoli accompagnano l’ultima decade di dicembre. Si rispolverano i pastori del tradizionale Presepe, si provano le lucette che andranno a adornare l’albero con le sue multicolori palline. C’è anche un vecchio ma sempre funzionante carillon che dona quella giusta atmosfera natalizia con le sue dolci note. Un carillon appartenuto al nonno di mio nonno che pare che anch’egli lo abbia avuto in eredità dai suoi avi. In poche parole, questo scatolotto di legno pare appartenga alla notte dei tempi. Oramai è diventato il simbolo del Natale. Era lì al fianco della grotta da quando ho cominciato a sgambettare, ed è ancora al suo posto nonostante siano trascorsi settant’anni dal mio iniziale approccio alla vita.
Pare, stando a quanto affermava mio nonno, che, quando emetteva le sue note, nel mondo avvenisse per incanto una magia. Si narra che non pochi secoli fa, dall’estremità del lembo della Terra d’Otranto, un fabbro di abili e intelligenti capacità abbia lui inventato, casualmente, il carillon.
Ma la storia che vi racconterò non è legata all’invenzione dello scatolotto musicale, il carillon, ma come questa sua invenzione cambiò il corso della vita. Una storia straordinaria, sconosciuta, forse una leggenda, ma che appartiene a tutte quelle meravigliose quanto fantastiche storie che vorremmo fossero realtà, in quanto ci riscaldano il cuore e contribuiscono a rendere questi giorni più umani e meno avidamente commerciali. L’inventore del Carillon si chiamava Giovanni. Suo padre fabbro anche lui, un umile artigiano del borgo di Cocùmola volle chiamarlo Giovanni in onore a San Giovanni, alla famiglia dei Sangiovanni, e al fatto che nel corso del XVI secolo il borgo di Cocùmola venne elevato a Casale.
Dimenticavo una cosa molto importante, il nostro fabbro Giovanni di Cocùmola, nacque in un caldissimo giovedì del mese di agosto e precisamente il 24 dell’anno 1589. Nacque alle 18 e30 quando il sole cominciava lentamente la sua discesa verso la linea dell’orizzonte. Della sua vita non conosciamo molto, le umili condizioni familiari, non gli consentirono di studiare. Arrivò alla maggiore età ignorante. Non sapeva leggere né scrivere. Era invece molto intelligente apprendendo velocemente il mestiere del padre al punto che i clienti, non poche volte manifestavano di voler essere preferibilmente serviti da lui.
Questa sua bravura non tardò a diffondersi nei paesi limitrofi, anche perché il Casale di Cocùmola era alquanto piccolo ed era composto da 28 “fuochi” (famiglie) che crebbero sino a 59 nel corso nel 1595.
Cocumola faceva parte della Diocesi di Castro che risultava essere uno dei più piccoli casali della Terra d’Otranto insieme a quelli di Vaste e San Cassiano. Successivamente i fuochi decrebbero a 50 nel 1648 e a 30 nel 1669.
Minervino era il centro abitato più popoloso, peraltro vicino al casale di Cocùmola dove più velocemente si diffuse l’abilità artigianale di Giovanni. Minervino cominciò a popolarsi nei primi decenni del 1500; troviamo, infatti, che nel 1532 contava 95 fuochi (famiglie) corrispondenti a circa 475 abitanti. Esso fu feudo della Famiglia Filomarini, duchi di Cutrofiano fino al 1619, anno in cui il feudo fu acquistato per 119.000 lire dai Signori Venturi ai quali venne riconosciuto, poi, il titolo ducale. A proposito di 119.000 lire, mi sovviene che mio nonno nei primi anni 50 acquistò per quella cifra una Fiat 1100.
Nel 1621, proprio il 24 di dicembre, Vigilia di Natale, erano circa le 19 che un omone con una folta barba bianca e un pastrano rosso di ottima fattura, bussò alla porta di Giovanni. Chiedeva aiuto urgente in quanto al suo calesse gli si era rotto un mozzo. Manifestò molta urgenza e promise un’ottima remunerazione, alla quale Giovanni non seppe dire di no.
Prima di iniziare il lavoro di sistemazione del calesse, Giovanni invitò questo occasionale avventore ad aspettare a casa sua, al caldo, in compagnia degli altri commensali, dato che trattavasi della Vigilia di Natale. L’accoglienza fu molto calorosa e il viandante fu sorpreso dal bellissimo presepe realizzato tutto in ferro battuto. Una vera opera d’arte che solo un grande maestro avrebbe potuto realizzare.
Tra un buon piatto di legumi, del buon vino e delle piacevoli chiacchierate, scoccò la mezzanotte, mentre Giovanni, era ancora nella sua bottega intento a rimettere in efficienza il calesse. Il padre di Giovanni, allo scoccare della mezzanotte, chiese di fare del silenzio. Prese il vecchio carillon, lo caricò e le sue note inondarono la stanza. Nessuno proferiva una parola. Le sue note, dolci e accattivanti resero l’atmosfera straordinariamente romantica. Ognuno dei presenti rivolse il suo pensiero ai trascorsi della propria vita, ai ricordi più cari. Dopo di che si abbracciarono l’un con l’atro, estendendo quest’atto di fraternità anche all’occasionale ospite, che restò piacevolmente sorpreso.
In quel mentre Giovanni rientra dal suo laboratorio comunicando di aver messo a posto il calesse. Il viandante fu invitato a restare per la notte, ma lui preferì ripartire. Ringraziò tutti i presenti, in particolare Giovanni, al quale, oltre a raddoppiarli il compenso, lo invitò a raggiungerlo presso il suo castello in Finlandia, in quanto stava da tempo cercando di realizzare un suo grande sogno e che aveva bisogno di un bravo fabbro, a condizione che portasse con sé il carillon. Un particolare di quella serata, che fu ispiratore per quanto diremo in seguito, fu che il camino proprio quella sera prenatalizia, non era funzionante.
Il nostro viandante, felice di aver potuto riprendere la sua strada ma soprattutto colpito e stupefatto per l’ospitalità dei familiari di Giovanni, sentì un cuor suo di dover dimostrare meglio questa sua riconoscenza. Sul calesse aveva con sé dei doni per degli amici che avrebbe dovuto incontrare il giorno di Natale.
Ritornò a casa di Giovanni dove però, oramai tutti stavano dormendo, peraltro spronati dal buono e non poco vino bevuto. Non volle disturbarli ed essendosi ricordato che il camino non funzionava, salito sul tetto, attraverso la canna del camino, fece cadere alcuni doni. Dopo di che riprese la sua strada.
Il mattino dopo fu grande la sorpresa di Giovanni e dei suoi familiari nel vedere questi inaspettati doni e tutti fecero una grande festa.
La cosa divenne di dominio pubblico. Piacque a tutto il borgo e si estese nei borghi e nei casali vicini. L’enorme felicità provata nel trovare un dono inaspettato nel giorno di Natale fece venire nella testa di Giovanni la felice e straordinaria idea di regalare qualcosa di inaspettato, il giorno di Natale, alle persone più care, in particolare ai bambini, doni da calare da giù dal tetto, attraverso le canne dei camini.
Dopo dieci anni, quando l’idea dei regali a Natale si era un po’ diffusa nel circondario, ecco che alla vigilia, il 24 di dicembre del 1631 riappare alla porta della casa di Giovanni il viandante di dieci anni prima, il cui vero era nome era Francesco.
Ci fu una grande festa e prima di ripartire, Francesco, propose a Giovanni di seguirlo in Finlandia, nel suo grande castello per realizzare il suo grande disegno. Giovanni, che per aver accettato la proposta aveva intascato un bel gruzzoletto che lasciò alla sua famiglia, partì dimenticandosi di portare con sé il suo carillon. Giovanni non fece più ritorno a Cocùmola e nel tempo l’idea di farsi dei regali a Natale si perdette, probabilmente dovuta più alla scarsità dei mezzi economici a disposizione in tutta quell’area della Terra d’Otranto in quei tempi.
Arrivato in Finlandia Giovanni divenne amico fraterno di Francesco e insieme lavorarono per realizzare l’ingegnosa idea di donare a tutti i bimbi del mondo un giocattolo. Non era una cosa da poco, in quanto la straordinarietà dell’idea era quella di mettere in atto un sistema che consentisse, nel giro di sole poche ore, di consegnare un dono a tutti i bambini del mondo, un dono che peraltro veniva preventivamente scelto dai bambini stessi, aveva di che fantasioso. Una cosa inimmaginabile, irrealizzabile, aldilà di ogni più fervida fantasia. Ebbene, Francesco che alcuni successivamente vollero chiamare Babbo Natale, grazie a Giovanni e alla provvidenziale visita al borgo di Cocùmula, ubicato nel profondo sud della Terra d’Otranto, misero in piedi la più bella favola del mondo, dove a prevalere è la solidarietà e la fantasia, ma soprattutto la voglia di voler credere sempre e comunque che esiste un tempo migliore e che dobbiamo cercarlo e realizzarlo anche aldilà delle favole.
Del carillon di Giovanni si son perse le tracce ma sognare che possa essere quello che mi lasciò mio nonno, non costa nulla e per fortuna, per adesso, non è stato ancora tassato dal fisco.
È anche questa una storiella di Natale, non ci sono prove o documenti che ne attestino la veridicità, ma è anche altrettanto vero che nessuno potrà mai affermare che Babbo Natale nel corso del XVI secolo non sia venuto qui da noi, nel nostro meraviglioso Salento.