IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Prefazione e Introduzione del volume “Francesco Luigi Bianco. Biografia di un musicista gallipolino”

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cover book FRANCESCO LUIGI BIANCO seconda edizione di Laura De Vita e Luigi Solidoro

Dalla Prefazione di Gloria Chiarini (giornalista e pronipote del musicista):

Fa uno strano effetto, bello e sorprendente, ricevere la telefonata di una sconosciuta e scoprire improvvisamente di essere la pronipote di un musicista. Un vero musicista. Un autore le cui composizioni sacre sono ancora oggi utilizzate, a un secolo dalla scrittura, durante le celebrazioni quaresimali di Gallipoli, “città bella” di nome e di fatto che più volte ho visitato negli anni. La sconosciuta – diventata ormai mia carissima amica – è Laura De Vita, cantante lirica e studiosa, giovane donna dai mille talenti e dalla grande energia che un bel giorno ha scelto di impiegare il suo tempo in una indagine lodevole quanto apparentemente improbabile: ricostruire la vita e le opere di un compositore scomparso da un secolo lasciando dietro di sé pochi spartiti e poche notizie. Persino nella sua stessa famiglia.

Il maestro Francesco Luigi Bianco, oggetto delle ricerche e degli studi di Laura De Vita e di suo marito Luigi Solidoro, nonché protagonista di questa bella monografia giunta alla sua seconda edizione, era il mio bisnonno, padre di Camillo e nonno di Francesca Luisa Bianco, mia madre. Un signore elegante e di grande distinzione, la cui immagine mi ha guardato per tutta la vita dal tavolino del salotto, chiusa nella sua raffinata cornice liberty con il vetro profilato in oro. Quando ero piccola lo osservavo curiosa, ammirata dalla sua massa di capelli ricci, tanto simili a quelli di mamma. E poi gli occhialini, lo sguardo dolce e sognante e quella pettinatura curiosa, che sulla fronte si divideva in due boccoli! Un po’ buffo forse, ai miei occhi di bambina, ma così bello e distinto: davvero un gran signore!

In famiglia si diceva che era stato un appassionato di musica, un abilissimo pianista, e che aveva conosciuto sua moglie, la mia bisnonna Clelia, proprio dandole lezioni di piano. Si sapeva anche che aveva composto delle musiche e in casa ce n’era la prova: uno spartito, uno solo, un Notturno per pianoforte dedicato alla regina Margherita di Savoia. Sulla copertina il titolo “Reve d’amour”, il nome del Maestro Bianco scritto in grande e il disegno del giovane volto della regina, con le consuete molteplici file di perle intorno al collo. Mia madre aveva un grande desiderio, sentire che suono avessero le note di quello spartito ricomparso tra i fogli di nonno Camillo dopo la sua morte, nel 1970, trovare qualcuno che sapesse suonarle al pianoforte. Ma l’occasione non c’è stata mai. E lei se n’è andata senza poter esaudire il suo sogno.

Mamma diceva che anche suo padre Camillo era un bravo pianista. Di sicuro amava la lirica. Io lo sentivo spesso intonare qualche brano d’opera, poca roba, interrotta dopo poche frasi. Però aveva tanti dischi, li comprava e li ascoltava per ore, alcuni sono ancora in casa mia. Mai però l’ho sentito suonare il piano. Mai ho visto un pianoforte nelle stanze dei nonni. E mai nessuno mi ha raccontato tutta la storia di Francesco. È come se ad un certo punto la sua vita fosse stata abbandonata all’oblio.

Certo, quando nel 1920 Francesco moriva, i Bianco non erano una famiglia serena. Mio nonno Camillo aveva appena 22 anni ed era da poco uscito da un evento traumatico che lo aveva reso Grande Invalido della Prima Guerra Mondiale [omissis] … Anche il fratello Michele, maggiore di due anni, era tornato menomato dal fronte, con gli arti inferiori parzialmente congelati. Insomma, il passaggio della Grande Guerra si era abbattuto sulla famiglia Bianco con tutta la sua devastazione, rendendo forse più sbiaditi nella memoria dei giovani figli i brevi fasti vissuti insieme ad un padre morto troppo presto.

Neppure le condizioni economiche erano più così floride. Michele nell’aprile del 1920 si era trasferito a Napoli come primo violino nell’Orchestra del Conservatorio “San Pietro a Majella”, e qui si era sposato il 30 ottobre, una settimana prima della morte del padre, avvenuta il 6 novembre. Camillo era invece rimasto a Gallipoli, nella casa di via Muzio, insieme alla madre Clelia, alla nonna Chiara, madre di Francesco Luigi, e alla moglie Vera d’Elia, sposata il 31 dicembre del 1921 dopo un fidanzamento iniziato quando erano ancora ragazzini; coetanei e dirimpettai, si corteggiavano sbirciandosi dalle finestre di casa. Nonna Vera lo ascoltava affascinata quando suonava il pianoforte: era lì anche il 29 ottobre del 1914, quando improvvisamente vide l’anziana donna Chiara, che stava cantando accompagnata al pianoforte dal nipote sedicenne, stramazzare al suolo colpita da un infarto. Un matrimonio lungo e felice, quello di Camillo e Vera. Nel marzo del 1924 sarebbe nata mia madre e nel febbraio del 1930 sua sorella Maria Teresa. Fu a quel punto che mio nonno dovette cercarsi un lavoro: sarà proprio l’impiego al Banco di Napoli a portare, nel 1936, la famiglia Bianco – D’Elia a vivere a Firenze, la mia città.

Di quei primi anni da sposina a Gallipoli mia nonna ricordava sempre i bei momenti passati al Circolo, il pomeriggio giocando a carte, la sera partecipando alle cene e alle feste da ballo. Un luogo dove donna Vera brillava con la sua gentile bellezza. Si tratta probabilmente dello stesso Circolo che, con qualche emozione, ho ritrovato descritto in questo volume, con gli eleganti mobili, le 150 fiamme di candela e i suoi otto grandissimi specchi. Nella monografia si parla di questo ambiente a proposito di una festa data da Michele Perrin, mecenate delle arti e amato sindaco di Gallipoli. Nonché zio di Francesco Luigi Bianco, come annotano le cronache dell’epoca e come dichiara lo stesso Maestro in una dedica.

Perrin! Con questo nome si entra nel mistero delle origini della famiglia e delle sue fortune. In casa è sempre stato conservato con orgoglio un documento firmato a Parigi il 20 gennaio 1810 che attesta il congedo dall’Esercito Napoleonico, dopo un servizio durato 3 anni, 2 mesi e 13 giorni, di un certo Jacques Perrin, nato a Versoy, nel Cantone di Ginevra, il 5 agosto 1786. Come fuciliere della Guardia Imperiale, risulta ferito il 22 maggio 1809 “d’un coup de feu a la cuisse droite”: si tratta di un fatto probabilmente avvenuto durante la battaglia di Aspern-Essling combattuta proprio il 21 e 22 maggio sulle rive del Danubio dall’Armata d’Alemagna, citata nel documento. In origine i fogli del congedo erano due, il secondo era firmato dallo stesso Napoleone: mia madre ricordava sempre con rimpianto come questo foglio fosse stato regalato da nonno Camillo a un conoscente che lo stava ammirando per quell’autografo così prezioso. Uno di quei gesti da gran signore non rari nella vita di mio nonno.

La storia che circolava in famiglia, ripetuta da tutti, vedeva questo Jacques Perrin partire per la Puglia dopo il congedo dall’Armée, lasciando a Ginevra la moglie e portando invece con sé il figlio Michel ancora piccolo. Arrivato a Gallipoli, Perrin avrebbe fatto fortuna con il commercio dell’olio e si sarebbe innamorato di Sara Mamone, una ragazza del posto di umili origini, senza poterla sposare per via del suo precedente matrimonio. Da questa unione sarebbero nate due figlie gemelle, Chiara e Clementina, che una volta cresciute avrebbero sposato due fratelli della famiglia Bianco, portando in dote grandi ricchezze che compensavano la pecca di un’origine illegittima. Il fratello maggiore, Michel Perrin, morto senza figli, le avrebbe adorate per tutta la vita, lasciandole a sua volta eredi di un vastissimo patrimonio.  

Fin qui la leggenda familiare. Come si potrà leggere più avanti nelle pagine di questo libro, la verità portata alla luce dagli autori dopo lunghe ricerche risulta essere diversa.

Alcuni punti fermi comunque esistono. Della nascita del futuro sindaco Michele Perrin non v’è traccia a Gallipoli, come se fosse comparso in città all’improvviso; solo il ricordo di un amico lo dice nato nel 1827 e definisce Gallipoli “sua tanto diletta città natale”. Ma, stranamente, non ci sono conferme anagrafiche. E una Rosaria (Sara?) Mamone è esistita davvero, era la sorella di un povero pescatore, Michelangelo Mamone, che all’anagrafe risulta marito di Maria Presicce e padre di due figlie: Clementina, nata nel 1826, e Chiara, nata nel 1828 e sposata a Pasquale Antonio Bianco, di professione scribente. Chiara e Pasquale altro non sono che i genitori di Giacomo Giuseppe e di Francesco Luigi Bianco… [omissis] Una storia molto intricata, destinata ad avere ulteriori sviluppi, ma che in ogni caso lega indissolubilmente il soldato francese Jacques Perrin alla famiglia Mamone-Bianco … [omissis]

A questi documenti si aggiunge poi la questione economica. Di certo la famiglia di Pasquale Bianco aveva un patrimonio non indifferente e uno stile di vita poco compatibile con la professione di uno “scribente” a sua volta figlio di un “agrimensore”. Un patrimonio che ha mantenuto agiatamente anche i due figli della coppia e che è arrivato fino ai cinque nipoti, consumato e disperso poco per volta. Come ho già scritto, solo nel 1930 mio nonno Camillo dovette trovarsi un impiego per vivere. Fu anche conseguenza di un investimento sbagliato, l’apertura di un’attività commerciale (credo di strumenti musicali) che fallì in poco tempo. Ma del senso degli affari di mio nonno si capisce tutto ripensando all’autografo di Napoleone … [omissis]

Una grande parte del patrimonio Bianco era comunque già stata consumata da Francesco nella sua attività di compositore e di direttore sia della Banda che della Filarmonica cittadina, quest’ultima riorganizzata dallo zio Perrin. Se ne coglie un cenno nella lettera manoscritta che conclude il volume, firmata il 22 dicembre 1942 da Clelia Fracasso Bianco, già a Roma, e diretta allo storico Ettore Vernole che aveva chiesto lumi sull’attività del marito in vista di una pubblicazione. Clelia risponde in ritardo, preoccupata per il figlio Michele di cui non ha notizie da Napoli (morirà nel ’44 sotto i bombardamenti con la moglie e le due figlie: un’altra guerra che si accanisce sulla famiglia Bianco!), lamenta un infortunio subìto (un tram che l’ha investita) e per le informazioni sull’attività di musicista del marito indica i nomi di vecchi amici a cui rivolgersi, anche se poi dà qualche notizia utile, ricordando gli studi al Conservatorio di Napoli e riassumendo tutta l’attività di prolifico compositore del Maestro elencando i generi trattati (praticamente tutti). Ma quello che colpisce sono due frasi. La prima in cui scrive che Francesco curò la direzione di un complesso bandistico acquistando a sue spese tutti gli strumenti e “altro occorrente”. L’altra, ancora più chiara, dice così: “Sacrificò molto del suo denaro per amore dell’arte ed ebbe molte disillusioni.”

Ecco, se Clelia rinnova le lodi, l’amore e il rispetto per il marito descrivendolo come “lavoratore instancabile tutto dedito alla sua arte e alla sua famiglia”, nelle sue parole si legge chiaramente che questa arte non ha ricompensato, come invece sarebbe stato giusto, tutta questa dedizione. Fra le righe si percepisce una specie di disillusione e quasi una voglia di dimenticare. Forse anche per questo già nel 1941 Clelia aveva abbandonato Gallipoli per Roma, lasciando dietro di sé mobili e memorie e gettando via al momento del trasloco tutti gli spartiti che sicuramente erano ancora in casa. Forse per questo il ricordo tramandato nella famiglia è rimasto legato alla maestria di pianista di Francesco più che a quella di compositore. Come se il Maestro fosse un dilettante, sia pure di talento, che per rincorrere la sua arte aveva dilapidato il patrimonio ereditato lasciando la famiglia in ristrettezze.

Se in casa era rimasta una qual forma di amarezza, dal punto di vista professionale, invece, un’altra chiave di lettura di questo oblio la si potrebbe rintracciare nell’indole stessa di Francesco: leggendo i trafiletti pubblicati sulla stampa dell’epoca, abilmente ricomposti dagli autori di questo volume, si nota come in essi compaia spesso, riferita al compositore, la parola “modestia” affiancata alla parola “valentia”. Un uomo semplice, schivo e studioso, dunque, dalle mani magiche e dalla vena creativa prolifica e sapiente. Più interessato a cimentarsi nell’arte della composizione (anche gratuitamente) che in quelle della competizione con altri artisti e della promozione di sé stesso. Nel 1892, dopo il successo dell’opera lirica Sara, la trovatella, lo stesso critico del giornale Spartaco esorta il Maestro: “…esponga il suo lavoro nel mare magno della pubblicità, tentandone una dignitosa vendita con qualche onesto editore”. Un incitamento senza risultato: Sara non sarà mai pubblicata! Sappiamo solo che nel 1896 lo spartito si trovava in Polonia “presso un editore col quale pendono trattative per l’acquisto”. Lo stesso articolo del ’96, una nuova scoperta di Laura De Vita che si può leggere alla fine del libro, dà del Maestro questa descrizione: “Vive quasi solitario in un mondo tutto suo, tutto intellettuale, tutto armonioso, tutto fantastico, pieno di dolci visioni, d’immagini soavi e di mistici sogni”.

Ora, grazie alle ricerche e alla passione di Laura e Luigi, che hanno inseguito instancabilmente quello che ai loro occhi doveva sembrare quasi un fantasma, ecco questo preziosissimo libro, che ricostruisce buona parte della vita e della carriera del mio bisnonno, riempiendo un preciso albero genealogico, dandoci un ritratto dell’uomo e dell’artista che fu e rintracciando persino spartiti che sembravano perduti. Per la mia famiglia, in particolare per me e per le mie cugine Katia e Alessandra Manca, un regalo enorme e davvero inaspettato, che ci riempie d’orgoglio e ci permette di ascoltare finalmente alcune musiche del nostro avo, pubblicate su YouTube da Laura e dal marito, il pianista Luigi Solidoro. A un secolo dalla morte, il Maestro Francesco Luigi Bianco può dunque riprendere il suo posto fra i compositori che a cavallo fra Ottocento e Novecento resero onore alla cultura e all’arte del Salento portandole in tutta Italia e non solo. La fama della sua Sara giunse anche all’estero e numerose composizioni furono edite non solo a Gallipoli ma anche dalle migliori case editrici di Napoli e di Firenze, fino alla Rossiniana di Pesaro e alla Ricordi di Milano.

Personalmente, mi emozionano in particolare le tracce che riconducono l’attività di Francesco fino a Firenze, stabilendo un legame imperscrutabile con la mia città: qui Laura e Luigi hanno ritrovato in una Libreria Antiquaria la composizione che ha dato il via a tutte le loro ricerche. Qui, infine, aveva sede lo Scaramuccia, l’importante giornale fiorentino che premiò con un diploma d’onore il Notturno “Reve d’amour” dedicato alla regina Margherita. Proprio l’unico spartito rimasto in seno alla famiglia e che conservo – è chiaro – religiosamente…

Grazie, carissimi Laura e Luigi!

Dall’Introduzione alla seconda edizione, di Laura De Vita:

La monografia sul compositore Francesco Luigi Bianco, stampata presso la tipografia CMYK di Alezio nell’aprile 2019 grazie al fondamentale contributo dell’Associazione Gallipoli Nostra, presieduta da Elio Pindinelli, e di altre piccole realtà aziendali locali sensibili al tema della salvaguardia della cultura e delle tradizioni, e poi distribuita gratuitamente ad un pubblico quasi esclusivamente gallipolino, da un punto di vista cronologico costituisce la mia prima esperienza di ricerca storico-musicale e il lettore potrà agevolmente notarlo già dalla lettura dell’introduzione alla prima edizione, dove un genuino entusiasmo traspare in modo evidente. Posso affermare con convinzione che la monografia Francesco Luigi Bianco (1859 – 1920). Biografia di un musicista gallipolino nel 160° anniversario della nascita sia stata, per me ma anche per mio marito, coautore della stessa, un’esperienza intensa e indimenticabile, che non solo ha gettato le basi di tutta la nostra ricerca successiva, definendo in maniera chiara e inequivocabile quello che sarebbe stato il nostro percorso scrittorio, ma ha funto da esempio e da stimolo anche ad altri musicisti appassionati di storia locale. Posso affermare inoltre di aver imparato che la tenacia e la costanza ripagano sempre tutti gli sforzi fatti. E infatti, consapevole che l’attività di ricerca non ha mai una fine e che troppi erano gli interrogativi lasciati senza risposta nella nostra prima pubblicazione, ho continuato imperterrita a ricercare notizie biografiche, a spulciare archivi alla ricerca di opere musicali e a continuare, in autonomia, la ricostruzione dell’albero genealogico della famiglia Bianco e, nel mese di ottobre 2019, riuscivo finalmente a risalire al nome e cognome di uno dei diretti discendenti del compositore che tanto mi aveva affascinata: la signora Gloria Chiarini di Firenze.

Ancora oggi, a distanza di tre anni, è vivissima in me la sensazione di profonda gratitudine provata quando ho constatato che la data di nascita indicata nel documento proveniente dall’Archivio Storico del Comune di Firenze coincideva con quella che una veloce ricerca on-line mi aveva restituito e che, tra l’altro, indicava la signora Chiarini come una professionista iscritta all’albo dei giornalisti di Firenze. Grazie a tutte queste notizie, risalire al recapito telefonico della pronipote del maestro è stato estremamente facile.  

Il nostro primo colloquio telefonico si è svolto nella più completa confidenza e familiarità, come se ci conoscessimo da una vita, ed è stato l’inizio di una lunga corrispondenza che ha finalmente fatto luce su alcuni aspetti della ricerca che erano rimasti senza esito. Gloria mi ha infatti dato la possibilità di attingere informazioni preziosissime dalle memorie scritte da sua madre, Francesca Luisa Bianco, figlia di Camillo e quindi nipote diretta del compositore, oltre a fornirmi tutta una serie di fotografie che mi hanno permesso di dare un volto ad altri componenti della famiglia fino ad oggi sconosciuti.

Di lì a poco, alcuni privati, tra cui anche il signor Armando Perrone, appassionato collezionista delle memorie storico-artistiche della città di Gallipoli e già protagonista del fortunato ritrovamento di ben ventuno composizioni del M° Ercole Panico, oggetto di altra nostra pubblicazione, fornivano a mio marito, Luigi Solidoro, alcuni spartiti del M° Francesco Luigi Bianco, sia a stampa che manoscritti. Alcune di queste composizioni venivano eseguite nel corso di eventi facenti parte del Festival per il Centenario di Francesco Luigi Bianco, rassegna culturale organizzata nel corso del 2020 dall’Associazione Filarmonica Città di Gallipoli presieduta da Luciano Alemanno, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Gallipoli in persona del suo Sindaco Stefano Minerva e con il Patrocinio dell’Assessore all’Industria Turistica e Culturale, Gestione e Valorizzazione dei Beni Culturali della Regione Puglia (disp. n. SP6/0000015/2020) [1].

Una delle notizie inedite sulla famiglia Bianco forniteci da Gloria che più aveva colpito la nostra attenzione era l’ascendenza di Michele Perrin, zio di Francesco Luigi Bianco e amato Sindaco di Gallipoli dal 1876 al 1879: il padre, tal Jacques Perrin, era giunto nella cittadina jonica dalla città di Versoix (odierna Svizzera, cantone francese di Ginevra) in una data imprecisata ma certamente dopo il 1809; era un ex ufficiale dell’esercito napoleonico e la sua figura racchiudeva molti misteri, tra cui quello di una enorme ricchezza in denaro e un amore illegittimo. A questo punto, quel che premeva scoprire era dove e quando fosse nato Michele Perrin e il motivo per cui il musicista gallipolino oggetto di questa biografia lo definisse “zio”.

Già nel 2019, in occasione della prima edizione di questo lavoro, avevamo provato a indagare la vita del Perrin, ma senza risultato. Stando alle parole del poeta Luigi Forcignanò, Michele Perrin era nato a Gallipoli nel 1827, eppure non vi era traccia della sua nascita negli archivi anagrafici gallipolini, nemmeno negli anni precedenti e in quelli successivi. Michele Perrin appariva sbucato dal nulla, né tantomeno sembrava aver sposato una delle numerose zie paterne di Francesco Luigi Bianco. Inoltre avevamo scoperto con certezza che la zia materna, Clementina Mamone, era morta nubile nel 1910, sfatando così la credenza popolare secondo cui il Perrin aveva sposato la sorella della mamma del musicista. Le ricerche condotte dall’ufficiale d’anagrafe del Comune di Gallipoli sotto questo specifico aspetto erano state inconcludenti e così ci eravamo limitati a narrare nel volume le molte opere pubbliche realizzate dal Perrin durante il suo sindacato e a descrivere la sua passione per la musica, senza toccare la questione delle sue origini e la sua vita privata.

Confesso che le notizie date dalla dott.ssa Chiarini circa la paternità di Michele Perrin hanno reso la questione ancor più ingarbugliata. La leggenda familiare narrava infatti di un bimbo nato all’estero e portato in Italia dal padre e questa notizia non ha fatto altro che confondere le carte in tavola e gettare del fumo sulla verità che, in realtà, era molto più semplice di quanto noi tutti potessimo immaginare. Una verità rimasta ben celata fino all’agosto del 2022 quando mi sono recata personalmente presso l’Archivio Storico di Gallipoli per consultare i fogli di famiglia e i registri della popolazione della prima metà dell’Ottocento, scoprendo finalmente le origini del famoso “zio” di Francesco Luigi Bianco.

Alla luce delle numerose scoperte sia biografiche che musicali e soprattutto dinanzi all’opportunità di rendere i risultati della ricerca maggiormente fruibili ad un pubblico più vasto e non esclusivamente locale, una pubblicazione aggiornata della monografia appariva assolutamente necessaria. Pertanto, questa seconda edizione, realizzata per la grande distribuzione, intende valicare i confini del territorio salentino, portando la figura di Francesco Luigi Bianco, esponente del Romanticismo ottocentesco, a conoscenza di tutti i cultori della storia musicale italiana e agli appassionati delle tradizioni musicali del Salento.


[1] Gli eventi del citato Festival si sono svolti presso la Biblioteca Comunale di Gallipoli nelle seguenti date: la conferenza-concerto “Frammenti di memoria” il 22 febbraio 2020; il concerto “Lirica in una sera d’estate” il 29 agosto 2020; la presentazione del volume “Ercole Panico (1835-1891). La Vita e le opere di un brillante e geniale musicista dell’800 gallipolino“, il 13 settembre 2020. L’ultimo evento, ossia l’incontro-intervista con la giornalista Gloria Chiarini, previsto per il 6 novembre 2020, giorno della commemorazione del centenario della morte del musicista, non si è potuto svolgere a causa del riacutizzarsi della pandemia di Covid19 che, tra l’altro, ha imposto regole molto restrittive agli spostamenti su tutto il territorio nazionale, oltre alla chiusura dei luoghi di cultura come i musei e le biblioteche.

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