IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Vittorio Bodini diceva che la cartapesta è figlia della noia leccese, nata nelle botteghe dei barbieri. 

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Il cartapestaio Angelo Capoccia modella il volto di una statua

di Giorgio Mantovano

Angelo Capoccia

Il salone, scriveva il poeta, diventava sala chirurgica, atelier d’artista, liceo di mandolino e chitarra, con una costante allusione, anche nell’insegna, alle magie d’Oriente. Poi, con le grandi dimensioni delle varie opere, il mestiere era emigrato dalla sala da barba in più ampi locali e si era fatto finalmente autonomo. 

Erano gli anni settanta e ricordo ancora, come fosse ieri, le tante conversazioni nel suo laboratorio, un vero e proprio tempio della cartapesta. La sua gentilezza ed affabilità erano pari allo straordinario talento.

Parlo di Angelo Capoccia, un autentico Maestro dalle particolari doti creative, capace di ideare e modellare superbe statue in cartapesta, ovunque ammirate ed ambite.

Nato a Lecce il 15 settembre 1909 da Gabriele, famoso cartapestaio formatosi alla scuola di Giuseppe Manzo, e da Giulia Levrè, di origine francese, Angelo sin da bambino ebbe familiarità con quell’arte, frequentando con passione la bottega paterna.

Immerso in un contesto che vedeva la frequente presenza di artisti e scrittori, era orgoglioso di dichiararsi scultore quando creava dal nulla, in creta, bronzo o umile carta straccia, incollata da amido di farina, statue a cui mancava solo la parola.

Insegnò per diversi anni modellatura, decorazione, coloritura e cartapesta presso l’Istituto Statale d’arte ” G. Pellegrino” in Lecce.

Alle sue opere conferiva un’impronta personale, connotata dalla morbidezza delle forme e da un impressionante realismo. Prediligeva il campo della statutaria sacra ed anche le figure dei campagnoli, espressione del costume contadino.

Ebbe bottega prima in via dei Conti di Lecce. Dal 1988 si trasferì definitivamente in via Turati al n.18.

Nei miei campagnola” , diceva, “la focheggiatura non è solo usata per modellare la superficie di carta, procedimento che precede la finitura ad olio di una statua, ma è usata come colore. Adoperando il ferro rovente come un pennello do un colore naturale alla superficie e lo distribuisco secondo le mie intenzioni”.

Nelle sue opere riviveva la tradizione dei grandi Maestri leccesi della cartapesta, come Mauro Manieri (1687 – 1744), Pietro Surgente (1742-1827) detto anche Mesciu Pietru de li Cristi, Antonio Maccagnani (1807-1889), Achille De Lucrezi (1827-1913), Francesco Malecore ( inizi XIX secolo -1893), Giuseppe Manzo (1849-1942), Giovanni Andrea De Pascalis (1862 – 1895) e Luigi Guacci (1871 -1934), per citarne solo alcuni.

I suoi occhi, sempre entusiasti, anche in veneranda età si illuminavano quando intratteneva l’ospite per raccontare una Lecce di altri tempi, quando, grazie a quell’arte celebrata da Maccagnani e De Lucrezi, da Manzo e Guacci, quelle opere perfette erano disputate da alti prelati e da regine e l’esecuzione di una statua poteva durare anche un anno.

Era facile, conversando con il Maestro Angelo Capoccia, perdersi in un tempo andato, in cui il rigore ed il senso della perfezione dominavano la scena nella vita di quegli artisti, capaci di far conoscere i loro lavori ovunque nel mondo.

Non è un caso che le opere di Capoccia siano presenti non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, in Giappone, Brasile, Australia, Francoforte, Malta e altrove.

Ebbe riconoscimenti e premi anche all’estero, a testimonianza dell’originalità indiscussa di quei capolavori. Nel 1994 una sua opera fu donata a Papa Giovanni Paolo II in visita a Lecce.

E’ scomparso nel 2000, lasciando un grande vuoto ed in me il ricordo vivo e nostalgico delle nostre conversazioni.

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