IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Base storico-culturale della Divina Commedia

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Dante-Alighieri

Dante-Alighieri

di Salvatore Abbruscato

La Divina Commedia non è un trattato di filosofia o di teologia, è un’opera di grande ispirazione cristiana scritta da Dante che fu il poeta più cristiano di tutto l’occidente; egli visse un travaglio interiore prima di raggiungere la fede, come egli stesso ci dice nei primi versi dell’Inferno “Nel mezzo del cammin  di nostra vita/” e nell’incontro con Beatrice nel paradiso terrestre dove confessa i suoi peccati; quando scrisse il suo poema egli già possedeva con ardore la fede, credeva in Dio, e in tutte le verità divine; la sua fede era piena, aveva profonde radici come egli stesso ci dice nel canto XXIV del Par. “Ond’io: Sì ho,sì lucida e sì tonda/ che nel suo conio nulla mi s’inforsa”

Conosceva la filosofia e la teologia, , la matematica, la fisica, l’astronomia e tante altre discipline; è stato introdotto a studiare la filosofia dopo avere letto la “ Consolatio Philosophiae” del filosofo Boezio per vincere lo stato di smarrimento in cui si trovò dopo la morte di Beatrice; lesse le opere di Aristotile, di San Tommaso D’Aquino, di Sant’Agostino, di Anselmo D’aosta, Dionigi l’Areopagita, Alberto Magno, Averroé, Pietro Lombardo, Sigieri di Bramante,Isidoro di Siviglia, Platone e di tanti altri. Conosceva la Bibbia e tutti i testi sacri. Così forte delle sue conoscenze filosofiche , teologiche e bibliche, trattò tutti i temi del cristianesimo, i misteri della fede, come l’incarnazione, la redenzione, la resurrezione, la trinità, la creazione; dedicò interi canti alle tre virtù teologali,fede,  speranza,  carità. Vi sono tutti i valori del cristianesimo, primo di tutti l’amore, “ che muove il sole e l’altre stelle” , la pietà, il perdono, il pentimento, l’umiltà, la povertà e le beatitudini che sono rappresentate nelle sette cornici del Purgatorio. Descrisse la storia della chiesa,condannando il trasferimento della sede papale ad Avignone, pronunziò numerose invettive contro la corruzione del clero, dei papi, in particolare contro Bonifacio VIII, che fu il suo acerrimo nemico, la causa del suo esilio, e della sua disfatta politica.

Leggere la Divina Commedia è come leggere la Bibbia e i vangeli e le altre scritture sacre; in tanti luoghi del poema sono disseminati qua e là riferimenti ed echi di tali testi sacri; Vi troviamo inni, laudi, preghiere, canti, melodie; le vite dei santi; quando giunge in Paradiso Dante può vedere coi suoi occhi i beati, e i santi e i padri della Chiesa, il trionfo di Cristo, della Madonna, degli Angeli, e infine vede Dio, uno e trino, il sommo bene, l’ultima salute, la meta finale del suo cammino.” Nella profonda e chiara sussistenza/ dell’alto lume parvemi tre giri/ di tre colori e d’una contenenza” Possiamo dire con commozione  che  il Poema è la glorificazione, l’esaltazione, la magnificazione del cristianesimo.

In tutta l’opera ci sono riferimenti alle sacre scritture e ai padri della Chiesa; così per far qualche esempio i primi versi dell’Inferno richiamano le parole di Isaia” in dimidio dierum meorum”, quelle di Alberto Magno e di Tommaso D’Aquino “ dies annorum nostrorum..septuaginta anni”  e di S. Agostino nelle sue Confessioni “immensa silva plena insidiarum et periculorum”. La selva è “ tant’è amara che poco è più morte”” così come disse l’Ecclesiaste VII,27 “Inveni amariorem morte”.

La Divina Commedia  è  la visione dell’altro mondo, il quale non è una finzione o una astrazione ma è allegoria e specchio di questo mondo quale deve essere secondo i dettami della filosofia e della morale, il mondo della pace, della giustizia, il regno di Dio ( vedi De Sanctis).Il pensiero comune della letteratura medievale, era l’uomo peccatore; nelle leggende, nella letteratura popolare e in quella dotta, nelle prediche, nelle devozioni, nelle rappresentazioni sacre,  dominava  il mistero dell’anima che, uscita dalle mani di Dio pura, in terra si corrompe e deve combattere contro il demonio e contro le tentazioni della carne, che viene mortificata con la pratica del cilicio e delle fustigazioni; l’anima, priva della ragione e della grazia, cade nella miseria, ottenebrata dal peccato; deve percorrere un cammino di purgazione e di penitenza per raggiungere la sua salvezza che è data dalla contemplazione di Dio.

Questo cammino dell’anima  si svolge attraverso l’Inferno, nel quale  troviamo la descrizione del peccato in tutte le sue multiformi manifestazioni e le atroci punizioni ad esso collegate , attraverso il Purgatorio dove avviene la penitenza delle anime per diventare degne di salire in Paradiso, ed infine attraverso il Paradiso dove al poeta si svelano tutti i misteri della religione cristiana e può finalmente godere della beatitudine celeste.

Dante allegoricamente è l’anima, la selva oscura rappresenta il peccato, la condizione di depravazione e di miseria dell’uomo; la montagna illuminata dal sole rappresenta la beatitudine, ed il sole rappresenta la conoscenza che è il mezzo perché l’uomo possa discernere la giusta via ed uscire dallo stato di ignoranza rappresentato dalla selva; le tre fiere, la lonza, il leone e la lupa, che gli sbarrano la strada impedendogli di salire il monte, sono i simboli dei vizi umani , lussuria, violenza, frode, cupidigia. Ma l’anima da sola non può raggiungere la salvezza, ha bisogno di essere assistita dalla ragione e dalla teologia.

Il poeta è accompagnato da Virgilio, il grande poeta dell’antichità, che rappresenta la ragione e l’amore e da Beatrice, che rappresenta la teologia, la fede e la grazia ed infine da San Bernardo, spirito contemplante e devoto a Maria, che, per procurare a Dante la visione di Dio, rivolge alla Madonna la magnifica preghiera che costituisce l’incipit del canto XXXIII del Paradiso. ” vergine madre, figlia del tuo figlio/…”

Virgilio gli spiega che non è possibile risalire il monte ma bisogna fare un viaggio diverso, per uscire dalla selva e  raggiungere la salvezza, e gli descrive in sintesi quale sarà l’itinerario.

 Ecco le parole di Virgilio:

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno/che tu mi segui, e io sarò tua guida,/e trarrotti di qui per luogo etterno;/ove udirai le disperate strida,/vedrai li antichi spiriti dolenti,/ch’a la seconda morte ciascun grida/e vederai color che son contenti/nel foco, perché speran di venire,/quando che sia, a le beate genti/A le quai poi se tu vorrai salire,/anima fia a ciò più di me degna:/con lei ti lascerò nel mio partire. Inferno I, 112-123

Il problema dell’umana destinazione e della salvezza dell’anima è trattato da tutte le religioni. La Divina Commedia dà la risposta cristiana a tale problema ed indica la strada che il peccatore deve seguire.

Dante incontra Beatrice
Dante incontra Beatrice

FONTI DELL’ISPIRAZIONE. Dante si rifà ad Aristotele, alla sua Etica, per la divisone delle colpe e delle pene ( vedi canto XI dell’Inferno), libro che egli conosceva alla perfezione così come conosceva il pensiero del filosofo attraverso gli studi dei commenti di Alberto Magno, San Tommaso(1) ed Averroè; si ispira al grande filosofo anche per la teoria dell’amore su cui fonda la ripartizione del Purgatorio ( vedi canto XVII), per la divisione dei cieli e per le tante verità che egli annuncia nel Poema. Si ispira alla Bibbia, ai Padri della Chiesa e San Tommaso e costruisce il suo mondo spirituale ignoto alla cultura antica greca e latina e anche ai letterati del medioevo. San Tommaso D’Aquino è stato apprezzato da Dante per il suo spirito razionale con cui trattava le varie problematiche teologiche ed in particolare per avere fondato la sua sapienza sulla ragione, il suo merito era quello di aver saputo conciliare e raccordare la filosofia aristotelica con la dottrina cristiana: fede e ragione non sono in contrasto tra loro, la ragione deve essere al servizio della fede.

ORDINE DELL’UNIVERSO

Ad Alberto di Colonia detto Alberto Magno(3) deve la teoria dell’ordine delle cose, create da Dio, secondo una gerarchia discendente.( vedi i primi versi del canto I del Par).Questo concetto è manifestato da Beatrice all’inizio del suo primo discorso teologico che fa al suo assistito quando arrivano sulla Luna, il primo cielo del paradiso :” e cominciò< le cose tutte quante/hanno ordine tra loro, e questo è forma/ che l’universo a Dio fa somigliante >Par.canto I, 103-105. Dio è il supremo regista dell’universo essendo il suo creatore, Cosi,’ disse anche San Tommaso “Lo stesso ordine esistente nelle cose da Dio create manifesta l’unità del mondo.” Tutte le “ alte creature” , gli angeli e gli uomini, dotati di intelletto, riconoscono nell’universo l’orma di Dio creatore: “Qui veggion l’alte creature l’orma/ dell’etterno valore, il quale è fine/ al quale è fatta la toccata norma”. La parola “ orma” esprime la somiglianza dell’universo a Dio. Il paradiso è governato dallo stesso ordine. L’universo è caratterizzato dalla gerarchia delle cose che ricevono la presenza di Dio in maniera graduale dall’infimo fino al punto più alto; questa idea, diffusa nel Medioevo,di origine neoplatonica,è espressa da Dante  nell’incipit del Paradiso “ La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove” Le creature si muovono “ nel gran mare dell’essere”secondo le inclinazioni loro innate, verso il bene e tendono verso porti diversi, cioè verso finalità diverse. E non soltanto le creature irrazionali ( come il fuoco,la terra gli animali) ricevono da Dio il loro indirizzo, ma anche le creature intelligenti ( gli uomini e gli angeli).

 IL LIBERO ARBITRIO.

In tutto questo ordine, dove tutto è prestabilito, l’uomo, dotato di libertà, ha il potere di sottrarsi a quell’ordine fatto di pace e di giustizia, di non seguire la via del bene per cui fu creato; così nasce il male.Così da questo corso si diparte/talor la creatura,c’ha podere/ di piegare,così pinta, in altra parte”. Par I, 130-132. Il male è dunque la conseguenza del libero arbitrio, e nel rispetto di questa grande facoltà concessa all’uomo, Dio non può influire sulla  volontà umana. L’uomo è responsabile del male e del bene. Questa è la dottrina del cristianesimo che si oppone al determinismo morale. Questo concetto è sviluppato in tre discorsi tra loro concatenati nel Purg. Canti XVI,XVII,XVIII. Per questo libero arbitrio Eva cedette al serpente e convinse Adamo a fare lo stesso, dando origine al peccato“ La piaga che Maria ricuse ed unse/ quella ch’è tanto bella ai suoi piedi/ è colei che l’aperse e che la punse” Par XXXII,4-6 .L’uomo fu creato buono e con volontà diretta al bene ed a lui Dio assegnò come dimora eterna il paradiso terrestre; ma per sua colpa “ per sua difalta”egli vi dimorò poco e per sua colpa trasformò la gioia, l’innocenza in pianto e in sofferenza. Purg XXVIII 91-96. Il discorso di Dante è perfettamente coerente con la Genesi e con Sant’Agostino, in Civ. Dei XIV 11 “ Fecit..itaque Deus nomine rectum ac per hoc voluntatis bonae”

Affresco: Dante al centro con il libro aperto in una mano, a destra la citta di Firenze, alle stalle la montagna del Purgatorio e a sinistra l'inferno
Domenico Michelini. Affresco La Divina Commedia Illumina Firenze 1465 Foto Jastrow

RUOLO DELLA RAGIONE.

In diversi momenti della narrazione si manifesta  il ruolo della ragione; prima di addentrarsi nell’Inferno Dante esita, non si sente all’altezza di tale compito, non crede di avere i meriti di Enea e di San Paolo“Io non Enea, io non Paolo sono;/ me degno a ciò né io né altri ‘l crede” Nel suo ragionamento, tutto basato sulla ragione, Virgilio informa Dante che egli gode della protezione di tre donne, della Madonna, Santa Lucia e Beatrice; la Madonna è venuta in suo soccorso senza essere richiesta “ la tua benignità non pur soccorre/ a chi dimanda, ma molte fiate/ liberamente al dimandar precorre”(Par XXX 16-17) Santa Lucia è la santa molto venerata dal poeta che ebbe una malattia agli occhi, e Beatrice, messaggera del paradiso, è la donna che conobbe quando ella aveva nove anni e che amò tantissimo. e che possiamo annoverare tra le fonti ispiratrice del poema. La Madonna era molto venerata da Dante che la pregava mattina e sera.  “Il nome del bel fior ch’io sempre invoco/e mane e sera, tutto mi ristrinse/l’animo ad avvisar lo maggior foco”( Par XXIII 88-90). ll suo cammino quindi gode della grazia divina. Virgilio interviene sempre ad alimentare la volontà e ad incoraggiare il suo assistito; davanti la porta dell’Inferno Dante ha paura avendo letto quelle terribili parole “ Per me si va nella città dolente” Virgilio lo rimprovera con aspre parole e lo esorta a continuare il viaggio.

“Qui convien lasciare ogni sospetto/ ogne viltà convien che qui sia morta./ Noi siam venuti al loco ov’i t’ho detto/che tu vedrai le genti dolorose/c’hanno perduto il ben dell’intelletto”

La ragione quindi deve essere costantemente presente e vigilante. Ma la ragione è anche amore, così Virgilio si mostra sempre premuroso, affettuoso, come un padre,non gli fa mancare tutte le spiegazioni e informazioni che necessitano lungo il viaggio. Dante lo chiama con tanti appellativi che mettono in evidenza questo nobilissimo sentimento : lo chiama duca, signore, dolcissimo padre, più che padre, somma sapienza, maestro, il suo autore, lume ed onore di tutti gli altri poeti.

I LIMITI DELLA RAGIONE.

Dante afferma un’altra grande verità, la ragione non può da sola conoscere la verità assoluta,l’essenza divina, il modo di essere di Dio; l’uomo deve accontentarsi di avere la conoscenza del mondo esterno così com’è e non può percorrere la infinita via di DIO; se l’uomo avesse potuto conoscere tutto, cioè le supreme verità, non ci sarebbe stato il peccato originale, e conseguentemente non sarebbe stato necessario che Maria partorisse Gesù, la seconda persona della Trinità; e non sarebbe stato necessario che Gesù morisse sulla croce; i grandi filosofi come Aristotile e Platone, e tanti altri pensatori, sono vissuti per tutta la vita coltivando il desiderio di conoscere Dio sicut est, nella sua essenza,ma questo desiderio è rimasto inappagato, “senza frutto “, come per tanti altri sapienti dell’antichità, tra cui lo stesso Virgilio.( Purgatorio canto III, 34-45)

“ Matto è chi spera che nostra ragione/possa trascorrere la infinita via,/ che tiene una sustanza in tre persone./State contenti, umana gente, al quia/ché, se possuto aveste veder tutto,/ mestier non era partorir Maria;/e disiar vedeste sanza frutto/tai che sarebbe loro disio quetato,/ ch’etternalmente è dato lor per lutto:/io dico d’Aristotile e di Plato/ e di molt’altri>; e qui chinò la fronte,/e più non disse e rimase turbato.”

Nessuno può percorrere la via infinita che segue Dio nel suo operare. I grandi filosofi e teologi hanno compiuto lo sforzo massimo ma esso è stato insufficiente  di fronte all’insondabile e infinito problema. Lo stesso concetto è stato espresso da San Tommaso in Summa contra gent I, III“ Le cose sensibili non possono condurre il nostro intelletto fino al punto che in esse si veda della divina sostanza ciò che essa è..L’intelletto è tuttavia condotto da esse ad una riflessione sul divino in modo che conosca di Dio il fatto che egli è.”Aristotile disse “ infinitum non est pertransibile” ( Physica III,IV 204°)

Qui Dante cita i due nomi più grandi della sapienza e della filosofia greca; Aristotile proponeva una filosofia dell’essere partendo dalle cose sensibili per giungere all’idea metafisica, Platone partiva dalle idee reali esistenti fuori dalla nostra mente per giungere alla spiegazione della vera scienza.

FEDE E RAGIONE.

Sigieri di Brabante,(5) maestro alla facoltà delle Arti di Parigi, sosteneva  l’autonomia della filosofia dalla teologia, cioè tra ciò che è dimostrabile razionalmente e ciò che non lo è;  era un fedele interprete di Aristotile che egli considerava come il massimo difensore della ragione, delle naturali capacità dell’intelletto, ma riteneva anche che, in caso di disaccordo tra  la ragione e la fede, questa aveva il sopravvento. Dante si mosse su tale scia e riconosceva la distinzione tra la ragione e la fede, tra ordine naturale e ordine soprannaturale. Coerentemente  a questa concezione sosteneva la separazione del potere temporale da quello spirituale e l’indipendenza dell’impero dal papato, per cui si è molto battuto. Certamente Dante non condivideva alcuni punti della filosofia di Sigieri e degli averroisti latini: l’eternità del mondo(che significa negazione della creazione)( vedi Par XXIX 13-30), il determinismo astrale (che significa assenza di libero arbitrio)(vedi Purg XVI 67-81), la teoria  dell’intelletto disgiunto dall’anima (che significa negare l’immortalità dell’anima individuale)(vedi Purg XXV 61-66). Alberto Magno, apparteneva a quella corrente di pensiero che sosteneva la distinzione tra filosofia e teologia,nella sua Metafisica afferma “le dottrine teologiche non si accordano con quelle della filosofia, quanto ai principi, perché si fondano sulla rivelazione e sulla divina ispirazione, e non sulla ragione; di esse dunque non possiamo discutere in filosofia”. Sono i “principi” di teologia e filosofia che sono diversi, e così gli ambiti di discussione da essi definiti: la rivelazione costituisce infatti la fonte della riflessione teologica, mentre la natura in tutte le sue articolazioni è la fonte e il campo di applicazione della filosofia.

LA FEDE DI DANTE.

Dante aveva la fede, piena ed incondizionata, limpida, senza dubbi, e lo manifesta  fin dall’inizio del suo poema: nel canto I dell’Inferno Virgilio, riferendosi a Dio, dice “ che quell’imperator che lassù regna” e nel canto III leggiamo sulla sommità della porta il riferimento alla Trinità “ fecemi la divina potestate/ la somma sapienza e il primo amore”,

  Nel canto XXIV Dante scrive esclusivamente della fede; riprende il concetto di San Tommaso secondo cui la fede è il fondamento di tutte le virtù ed è per la fede che conosciamo Dio. La definizione che egli dà “fede è sustanza di cose sperate/ e argomento de le non parventi”    la ricava dalla lettera agli Ebrei di San Paolo est autem fides sperandorum substantia rerum,argumentum non parentum” Il concetto che esprimono queste parole è questo: la fede dà sostanza, cioè rende reali le cose che noi speriamo, che sono l’esistenza di Dio e l’eternità,e tutti gli altri misteri, ed è anche la prova( argomentum) di quello che noi non vediamo. Solo la fede dunque e non la ragione ci rivela le cose divine ( le profonde cose), verità che la mente umana con le sue sole forze può solo sperare. ( rerum sperandorum) Dichiara che la verità della fede gli è stata data dall’Antico e Nuovo Testamento che sono la rivelazione di Dio e ogni altra dimostrazione razionale in confronto è debole; in altre parole significa che la fede è nata in Dante dalla sacra Scrittura, dalla rivelazione e non dai ragionamenti filosofici alimentati da Aristotile che sosteneva l’esistenza di un Dio unico e motore dell’universo. Continua nella sua affermazione citando i libri sacri della scrittura: di Mosè,( i cinque libri del Pentateuco) dei Profeti e i Salmi( testi poetici, storici  sapienziali), che costituiscono il corpus del Vecchio Testamento, i quattro vangeli e gli scritti degli apostoli( Atti, Epistole, Apocalisse), che costituiscono il corpus del Nuovo testamento. Le prove fisiche e metafisiche di cui parla sono le cinque prove razionali dell’esistenza di Dio,(6)elaborate da San Tommaso che, a sua volta, si è basato sui testi aristotelici. Il momento più sublime è la professione che egli fa della fede.” Io credo in un Dio, solo ed eterno che muove tutto il cielo, non mosso, con amore e con desiderio; e questo mio credere non si basa su prove fisiche e metafisiche, ma mi viene data dalla verità che piove dalle opere di Mosè, dei Profeti e dai Salmi, dai Vangeli e da i vostri scritti dopo che lo Spirito Santo vi fece santi; e credo in tre persone eterne e queste credo una sostanza si una e sì trina che possiamo chiamarla al singolare e al plurale.”Par XXIV 130-141.

Il concetto di Dio, motore di tutto l’universo, assoluto,è l’incipit solenne del primo canto del Paradiso “ la gloria di colui che tutto move” e la chiusura dell’ultimo canto “ ma già volgeva il mio disio e il velle/ sì come rota  ch’igualmente è mossa,/l’amor che move il sole e l’altre stelle”

Incarnazione  di Cristo ,redenzione del genere umano e resurrezione.

Questo altissimo mistero della fede viene trattato dal poeta nel canto VII del Paradiso. Il mondo cristiano si è sempre posta la domanda: perché Dio per redimere il genere umano ha scelto il modo così tragico doloroso della crocifissione di suo figlio, fattosi uomo per tale scopo?Non poteva, avvalendosi della sua immensa misericordia, concedere all’umanità il suo perdono e con tale atto redimerlo? Dante nel dare la risposta si rifà alla soluzione data al problema dal grande teologo Sant Anselmo d’Aosta(7) nel suo trattato “ Cur Deus homo?” che fu seguita da San Tommaso e Sant’ Agostino.Il peccato originale ha costituito una infinita, smisurata  offesa alla creatura di Dio, fatta a sua immagine, pura e destinata all’immortalità e per potere riscattare tale offesa fu necessaria una riparazione anch’essa infinita e smisurata che solo Dio poteva dare, e non l’uomo le cui forze e facoltà sono limitate. L’incarnazione nel seno della Vergine Maria per cui Dio si è fatto uomo, pur mantenendo la sua natura divina, fu resa possibile per l’immenso amore di Dio verso gli uomini: questo concetto dell’amore infinito di Dio che presiede all’incarnazione e alla redenzione, su cui Dante basa tutto il ragionamento, è stato professato dai teologi. Solo in conseguenza della incarnazione e della redenzione dovuta alla sua morte, il corpo umano, che con il peccato originale aveva perso il dono dell’immortalità che era immanente alla sua natura, in quanto creatura di Dio,acquistò la possibilità di risorgere alla fine dei tempi e di riacquistare così la immortalità.

Il tema dell’incarnazione viene rappresentato nella visione di Dio dove Dante vede l’effige dell’uomo riflessa, con lo stesso colore, in uno dei tre cerchi che erano la  visione triniaria.

Quella circolazione che sì concetta/pareva in te come lume reflesso,/ da li occhi miei alquanto circumspetta/dentro di sé del suo colore stesso,/mi parve pinta de la nostra effige/ per che il mio viso in lei tutto eraa messo” XXXIII 127-132

Quel cerchio da me così inteso dentro di te mi appariva come una luce riflessa e guardando attentamente mi parve di vedere dentro di esso, con lo stesso colore, dipinta la nostra immagine umana. 

Il tema della resurrezione viene più volte enunciato in tutto il poema; nel canto VI 94-99 dell’Inferno quando Ciacco ritorna nella fanghiglia Virgilio sentenzia così “ E ‘l duca disse a me < Più non si desta/di qua dal suon de l’angelica tromba,/quando verrà la nimica podesta:/ciascun rivedrà la trista tomba,/ripiglierà sua carne e sua figura,/udirà quel ch’in etterno rimbomba>;nel cerchio sesto , dove sono puniti gli eretici, prima dell’incontro con Farinata, alla domanda di Dante se i dannati sepolti dentro le tombe infuocate potessero essere visti, essendo i coperchi tutti levati, Virgilio rispose:” e quelli a me < Tutti saran serrati/quando di Iosafàt qui torneranno/coi corpi che là su hanno lasciati>.Nel cerchio IV degli avari e prodighi ritorna sullo stessa tema “ questi risorgeranno dal sepulcro/col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi”

Nell’incontro con Catone Virgilio disseTu ‘l sai,ché non ti fu per lei amara/in Utica la morte, ove lasciasti/la vesta ch’al gran dì sarà sì chiaraIl momento più alto del tema della resurrezione lo troviamo nel canto XXX del Purg nella terzina 13-15 “ Quali i beati al novissimo bando/ surgerann presti ognun di sua caverna,/ la rivestita voce alleluiando”. San Giovanni ( Par XXV 124-126) spiega a Dante che il suo corpo è in terra e vi resterà fino al giorno del giudizio universale “ In terra è terra il mio corpo, e saragli/ tanto con gli altri, che ‘l numero nostro/con l’etterno proposito s’agguagli” Ed infine nel cielo del sole il tema della resurrezione riceve la massima celebrazione in poche terzine di grande valore poetico. Par XIV 43-57 Un beato annuncia : “Quando la nostra carne gloriosa ci rivestirà, la nostra persona sarà più perfetta perché completa di anima e di corpo, sarà più gradita , e la luce che riceve da Dio sarà più splendente e crescerà la visione, crescerà l’ardore interno del cuore che si alimenta in quello splendore; come il carbone acceso supera la fiamma per il suo ardore incandescente,tuttavia  esso rimane visibile anche se ci abbaglia, allo stesso modo lo splendore che ci avvolge sarà vinto dallo splendore della carne che ora la terra ricopre.” Questo significa che lo splendore della carne vince quelle dell’anima stessa;e questo è possibile perché qui si tratta dei beati che in Paradiso  sono pieni di splendore e con al resurrezione lo aumentano; questa idea è solo di Dante, non appartiene alla teologia della resurrezione.“Come la carne gloriosa e santa/fia rivestita, la nostra persona/più grata fia per esser tutta quanta;/perché s’accrescerà ciò che ne dona/di gratuito lume il sommo bene,/lume ch’a lui  veder ne condiziona.

LA CREAZIONE.

Questo è un altro grande tema trattato da Dante nel canto XXIX del Paradiso. Seguendo le argomentazioni di Sant’Agostino afferma che prima dell’atto della creazione non vi fu né un prima né un poi e che il prima e il poi cominciarono dopo l’atto della creazione; viene così confutata la tesi degli aristotelici e degli averrositi secondo i quali la creazione é coeterna a Dio“ Né prima quasi torpente si giacque;/ che né prima né poscia procedette/ lo discorrere di Dio sovra queste acque” XXIX, 19-21

 E Sant’Agostino disse nelle sue Confessioni “ si autem ante coelum et terram nullum erat tempus,cur queritur quod tunc faciebas? Non enim erat tunc, cum non erat tempus”

La creazione fu un atto di amore, un atto gratuito, non fu per procurare un vantaggio, un aumento di bene al creatore; ciò  non era possibile essendo egli il bene infinito. Dio volle che il suo splendore generasse altro splendore, che si manifestasse nelle sue creature, dotate di volontà e intelligenza che avessero consapevolezza della loro stessa esistenza e potessero così dire “ Subsisto” io esisto “ Volle che il suo eterno amore si diffondesse in altri amori, in esseri che amassero. L’atto creativo viene descritto “ lo discorerre di Dio sovra quest’acque”  XXIX 20. Questo verso richiama alla nostra mente la frase biblica “ et spiritus Dei ferebatur super acquas”. Cieli, angeli e materia prima, furono create con uno stesso atto,come tre frecce che escono contemporaneamente dallo stesso arco.“ Forma e materia, congiunte e purette,/usciro ad esser che non avia fallo,/come d’arco tricordo tre saette”XXIX 22-24. Con questa affermazione Dante respinge la tesi di San Girolamo secondo cui gli angeli furono creati molti secoli prima della materia prima e dei cieli, e cita come fonte di questa convinzione la Sacra Scrittura ( la Genesi e l’Ecclesiaste) , pensiero condiviso da San  Tommaso :” Hoc non esset verum si aliquid creasset ante ea. Ergo Angeli non sunt ante naturam corpoream creati”

L’impianto teologico e l’ispirazione divina su cui si basa tutta la Divina Commedia, in modo rilevante il Paradiso, ricevono negli ultimi versi del canto finale una mirabile e sublime chiusura che è la glorificazione dell’amore, suscitato da  Dio, che muove l’intero universo verso il suo creatore; e Dante, anche lui, , è mosso dallo stesso amore e la sua volontà e il suo desiderio girano come ruotano i cieli allo stesso modo della ruota che gira in modo costante. Egli si sente parte dell’intero universo dominato dall’amore verso Dio ,inebriato, al sommo  della felicità divina.

 “ ma già volgeva il mio disìo e ‘l velle,/sì come rota ch’igualmente è mossa/l’amor che move il sole e l’altre stelle” XXXIII 143-145

                                            Salvatore Abbruscato

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