Il mio amico Parroco
di Rocco Boccadamo
A Marittima, quando contavo dodici o tredici anni, ci fu un avvenimento notevole per l’intera comunità: il cambio del parroco.
A guidare la nostra parrocchia di S. Vitale Martire, da una località più grande situata nelle vicinanze dove svolgeva il compito di vice parroco, arrivò don Giuseppe Puce, una persona ancora giovane e piena d’energie, che subentrò a un altro sacerdote, avente il medesimo nome di battesimo, ma dotato di un temperamento in certo senso opposto, vale a dire oltremodo mite e tranquillo.
Già la domenica dell’ingresso nella nuova sede, don Giuseppe Puce si distinse e colpì l’affollata platea con un’omelia pervasa di forti accenti e vibrati proclami e ricca di richiami ai valori fondamentali, cui, secondo l’oratore, bisognava improntare non solo la pratica strettamente religiosa ma anche i rapporti di civile convivenza.
Nel volgere di pochi giorni, il nuovo parroco mi adocchiò nel gruppo di ragazzi che erano soliti frequentare le funzioni e l’oratorio e non ci volle molto perché arrivasse a conoscermi a fondo: lui dimostrava di “considerarmi” e di apprezzarmi, io, in tal modo stimolato, iniziai a essergli vicino, dedicandogli una parte del mio tempo libero dalla scuola e dai compiti.
Allora, erano ancora molto vive determinate abitudini risalenti a tempi antichi, ad esempio il rispetto dell’astinenza dai normali pasti e/o dal consumo delle carni in alcuni giorni dell’anno, fra cui il 7 dicembre, vigilia della festa dell’Immacolata.
Don Giuseppe Puce, durante la permanenza nella sede precedente, in occasione di detta ricorrenza, aveva sempre rispettato, per il pasto frugale di mezzogiorno, una ricetta tipica salentina, tramandatasi di generazione in generazione: “puccia” alle olive e tonno sott’olio.
Purtroppo, arrivato a Marittima, si trovò spiazzato, giacché l’unico negozio di generi alimentari era sprovvisto di tonno in scatola.
E, così, il mattino del suo primo 7 dicembre, incontrandomi, mi confidò il rammarico di non poter conservare la tradizionale abitudine; al che, io, mi sentii mosso da un subitaneo impulso e pensai bene di offrirmi di compiere un salto in bici nella località dove risiedeva prima, onde acquistare per suo conto i due etti di tonno all’olio d’oliva, cui gli dispiaceva di dover rinunciare.
Don Giuseppe, ovviamente, accettò con un sorriso la mia disponibilità e mi diede i soldi occorrenti: nel giro di un’ora – un’ora e mezzo, il viaggio e la commissione furono compiuti. Il mio amico parroco mi espresse molta gratitudine e mi ricompensò donandomi cinque o dieci lire.
Il rito della trasferta in bicicletta per l’acquisto di un po’ di tonno la vigilia dell’Immacolata ebbe a rinnovarsi per alcuni anni; poi, con l’arrivo del prodotto anche nella rivendita di Marittima, non si rivelò più necessario e quindi cessò.
Non si esaurirono mai, invece, la mia amicizia e la vicinanza, pure da adulto, nei confronti di don Giuseppe Puce, il quale, quasi sessant’anni fa, ha difatti celebrato il mio matrimonio e ha in seguito conosciuto i miei tre figli.
Sopra, una piccola storia del passato.
Adesso, minuscole cronache attuali.
Nell’appena trascorsa vigilia dell’Immacolata, il mio pasto di mezzogiorno è consistito esclusivamente in una “puccia” con le olive e in filetti di tonno sott’olio.
Nei giorni scorsi, ho casualmente incontrato e conosciuto per la prima volta una nipote di don Giuseppe, figlia di suo fratello Antonio, col quale, nonostante avesse un po’ di anni in più, intrattenevo un bel rapporto di frequentazione e amicizia.