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Le avventure di Carlo Magno e i Paladini di Francia all’Opera dei Pupi di Marsala

Opera dei Pupi di Marsala

Opera dei Pupi di Marsala

di Giovanni Teresi

Ogni vicenda narrata è un sogno a occhi aperti che catapulta gli spettatori ai tempi di gesta eroiche e fughe d’amore: al Teatro Opera dei Pupi di Marsala è andata in scena l’Opera dei Pupi di Angelo Sicilia, con Le avventurose imprese dei paladini di Francia contro i mori di Spagna.

Protagonisti assoluti sono stati pupi siciliani dell’Officinadel Maestro e registaAngelo Sicilia. Grazie a loro hanno preso vita i famosi episodi che vedono protagonisti Gano, Rinaldo, Orlando, Angelica e Astolfo.

Nella Sicilia della metà dell’Ottocento esplode, con un che di prodigioso,  il Teatro dei Pupi, con le sue caratteristiche particolari che lo rendono unico e inconfondibile.   Questo tipo di teatro è uno degli eredi del racconto orale che parte fin dalla Bibbia e da Omero, per attraversare i secoli, in particolare quelli medievali, dove fiorisce con il teatro giullaresco.

Protagonisti sono i Pupi, che non hanno fili come le marionette: i pupari li muovono con delle aste , al ritmo degli scudi e delle spade, sullo sfondo di scenari ingenui e colorati. L’Opera dei Pupi, come poi viene chiamata, ci racconta le gesta di Carlo Magno e dei suoi Paladini di Francia, primo tra tutti Orlando, traendo spunto dal ciclo carolingio e dai poemi dell’ Ariosto.

Ma è lecito domandarsi: che ci fanno i Paladini di Francia in Sicilia e perché le loro storie sono tanto amate e rappresentate? Si ritiene che l’epopea carolingia sia arrivata in Sicilia con i Normanni, nel sec. XII.   All’inizio sono  soprattutto i cantastorie a tramandare il ricordo di un’ epica cavalleresca in cui si combatte per alti ideali, come la fede religiosa, la patria, l’onore.

A partire dal sec. XIX il racconto popolare utilizza il pupo, rivestendolo però di fogge che si rifanno alla iconografia cinquecentesca. Gli eroi rappresentati, i Paladini appunto, esaltano i valori morali di cui sono campioni e per i quali sono disposti a lottare e morire. 

Questi  temi hanno un grande successo sopratutto nell’Ottocento, grazie alla cultura romantico-risorgimentale, e fanno sì che i personaggi dei Paladini siano vissuti dal popolo tra il mito e la storia vera. Le loro battaglie mettono tra l’altro in scena il confronto tra la civiltà europea ed islamica, del cui urto la Sicilia è stata teatro per lunghi periodi storici. 

Per secoli i Pupi siciliani, abilmente animati da generazioni di pupari, costituiscono l’unica fonte di istruzione e una delle poche occasioni di svago e di divertimento per le classi più umili, per il popolo poco istruito o analfabeta, anche se in seguito sono apprezzati anche dalla borghesia.           Essi costituiscono anche un segno di contraddizione e di resistenza rispetto alla logica della rassegnazione e del peggio, che è di tanta cultura e letteratura di ‘vinti’. I pupari raccontano le loro storie improvvisando e recitando. Raccontano come si raccontava una volta, quando il narratore parlava in un cerchio di occhi sgranati e credeva anche lui nella sua favola. I pupari raccontano storie di ribelli. Raccontano la favola di quelli che si battono contro un potere prepotente e incomprensibile e in qualche modo riescono a vincere. Una favola. Una favola siciliana.       

  Tra storia e leggenda

Secondo la tradizione storiografica, il teatro delle marionette era già noto in Spagna intorno al ‘500, è stato introdotto in Francia nel XVII sec. e diffuso in Sicilia dalla città di Napoli nei primi decenni dell’800. Nell’isola, esso acquisisce rapidamente caratteristiche specifiche, che lo rendono molto diverso dalla generica arte delle marionette. I pupi siciliani sono infatti rivestiti con elaborate armature di metallo ed il filo direzionale della mano destra viene sostituito da un’asta di ferro, più adatta a far compiere alla marionetta movimenti diretti e precisi, specialmente durante i combattimenti e i duelli.

I personaggi della tradizione sono tutti impersonati da pupi costruiti con molta cura da artigiani specializzati hanno uno “scheletro” interno di legno ed sono interamente rivestiti di armature lucenti e stoffe preziose. Essi hanno dimensioni e peso più ridotti nel palermitano (circa 80 cm e 13 Kg) e maggiori nel territorio di Catania (circa 1,30 m e 30 Kg).

Per mezzo di particolari trucchi scenici, le rappresentazioni acquistano una spiccata spettacolarità: immaginiamo l’effetto su grandi e piccini di un inaspettato fiotto di sangue dai pupi feriti o morenti, o di elaborati effetti, che riproducono fontane dalle quali zampilla sangue o città in fiamme!

I personaggi dell’Opra sono subito riconoscibili dallo spettatore per mezzo di costumi enfatizzati e voci caratterizzanti. Un re, infatti, è sempre vestito di un abito particolarmente ricco e sfarzoso e riconoscibile per la corona, che, se sormontata dalla croce, indica il titolo di imperatore di Carlo Magno; insomma, ogni pupo ha dei tratti distintivi, che permettono al pubblico di riconoscerlo e seguire la storia con più facilità. I cavalieri cristiani indossano un’armatura completa, arricchita da gonnellino e mantello, ed hanno voce e volto quasi sempre gentili; i guerrieri saraceni sono invece subito riconoscibili dal tipico turbante, dalle mezzelune sulle armature e dagli inquietanti baffoni. Non mancano le donne guerriere, che portano armature con seni sbalzati, e l’ineffabile Angelica, croce e delizia dei prodi paladini; infine, i Maganzesi, traditori cristiani, sono facilmente riconoscibili per il volto torvo, gli abiti neri e le macabre insegne sull’armatura.

Con tali caratteristiche, a partire da Palermo e Catania, l’Opera dei Pupi si diffonde in Sicilia a tal punto che quasi tutte le città dell’isola vantano compagnie di pupari locali.

Ma i gusti del pubblico cambiano: durante gli anni Cinquanta del Novecento, Orlando e i suoi compagni devono affrontare nemici più temibili del più accanito saraceno: il cinema, la televisione e quell’omologazione culturale che è il rovescio della medaglia della diffusione dei mass media.

Per mancanza di spettatori e di interesse verso la loro arte, molti pupari abbandonano l’antico mestiere. Non tutti, però: qualche famiglia appassionata sfida il capriccio delle mode e conserva la secolare maestria dei pupari. Mimmo Cuticchio, figlio d’arte, porta ancora avanti questa tradizione con caparbietà e con occhio attento alle nuove opportunità.

Nel 2008 l’Opera dei pupi viene iscritta dall’UNESCO nella lista rappresentativa del Patrimonio Culturale  Immateriale.

Giovanni Teresi

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