IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

2/3: I tre paradossi di un mondo che la maggior parte dell’umanità ritiene infelice (in tre puntate)

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di Pompeo Maritati

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Secondo paradosso:

“All’aumentare della velocità di movimento degli esseri umani sulla terra e allo sviluppo delle telecomunicazioni, si è contrapposto un rallentamento delle volontà  e della sensibilità etica dei paesi più industrializzati ed economicamente avanzati, a porre in essere quella solidarietà che, comunque non va dimenticata o sottovalutata. Sin’ora la solidarietà è sempre stata una misera espressione di becera carità e mai una vera programmazione primaria,  atta a poter condurre sullo stesso piano economico e sociale le popolazioni meno fortunate della terra”.

Le frontiere, grazie al progresso e alla velocità dei mezzi di trasporto del XX e XXI secolo, si sono ravvicinate di molto ma continuano ad essere sempre ben marcate. Oggi, in tempo reale vediamo e sentiamo tutto quello che avviene nell’altra parte del mondo. Conosciamo le differenze sociali ed economiche che attanagliano e costringono alla miseria e alle privazioni, vaste aree del mondo, fatti a noi noti che, direttamente condizionano la vita, in termini negativi, della maggior parte della nostra umanità. Un’onta indelebile che grava su quella parte di mondo industrialmente ed economicamente sviluppato, che nell’era in cui le informazioni viaggiano alla velocità della luce e dove gli uomini agevolmente si spostano da una parte all’altra del globo, consente di convivere, con avido egoismo e soprattutto con mostruosa ipocrisia, con le sofferenze di centinaia di milioni di individui, come se il problema non lo riguardasse. 

Nel periodo storico fondamentale per lo sviluppo della Mondializzazione[1] e della Globalizzazione[2], dove aldilà del significato tecnicistico che i  due termini vogliono rappresentare, comunque entrambi riconducibili all’eliminazioni delle barriere economiche, sociali e culturali, constatiamo la recrudescenza di conflitti localistici armati, spesso dimenticati o peggio ignorati e che dire di tutti quei territori dove le relative popolazioni non hanno le risorse alimentari minime per la sopravvivenza? Sono in corsa scuole di pensiero autorevoli per definire, studiare, capire e perché no, prevedere come potrebbe essere la società del futuro, attraverso le trasformazioni che sono in atto sul nostro pianeta. Nel leggere le definizioni, ovvero che cosa oggi intendiamo per Mondializzazione e Globalizzazione, troviamo coinvolto l’aspetto della socialità, solo che non sono ancora riuscito a capire, se la socialità è quella riveniente dall’egoismo economico-finanziario o dal concetto di socialità=solidarietà, dove l’economia e la finanza non siano lo scopo ma il mezzo per la formazione di una socialità mondiale, equa ed uguale per tutti. La mia opinione è che la socialità oggi è la conseguenza diretta di decisioni esclusivamente assunte in funzione utilitaristica, atte a favorire principalmente i detentori del potere finanziario e che condizionano di riflesso l’organizzazione sociale della società sottostante. Abbiamo spesso sentito parlare, in questi ultimi decenni del fenomeno geopolitico chiamato “Balcanizzazione” utilizzato per indicare il processo di disgregazione e smembramento di una struttura politica unitaria di uno stato.  Come non ricordare quanto successo alla Iugoslavia. Ovviamente i fenomeni di balcanizzazione sfociano generalmente in conflitti interni, con utilizzo di forniture di mezzi bellici, facendo gongolare le lobbie delle armi.   Oggi la società sottostà alle leggi della finanza ed è questa, solo questa, che determina la qualità e lo sviluppo sociale di un popolo. Gli interventi umanitari, i programmi di globalizzazione della società non hanno una propria anima, una propria identità, né tanto meno dispongono di quella matura sensibilità civile, che li ponga su una dimensione di rilevanza umana. Non penso sia errato pensare che la strategia globale delle lobbie della finanza e delle armi viaggino su convinzioni esattamente contrarie alla globalizzazione sociale. I conflitti, le turbolenze politiche, spesso fomentate o indotte per strategie di geopolitica economica, sono tenute in vita grazie ai macro interessi, esattamente contrari a realizzare una socialità di pace e di sviluppo. Se, come abbiamo già accennato prima, i grandi interessi economici finanziari del mondo, sono stati capaci di inventarsi addirittura l’esportazione della democrazia con le armi, ponendo in essere le “missioni pace” si capisce come siamo ancora lontani anni luce da quella socialità globale, da tutti desiderata in termini idealistici ma sempre meno propensi a sacrificare qualcosa di proprio per gli altri. Purtroppo le nazioni più piccole e più deboli non potendo opporre resistenza ai detentori del monopolio economico-finanziari devono sottostare alla globalizzazione dei mercati, che per loro significa coercizione, intimidazione, sfruttamento, corruzione, autoritarismo.

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Sono i grandi che decidono che cosa e come debbano produrre le nazioni emergenti, quando e dove possano vendere la loro produzione e a che prezzo. Sono loro che stabiliscono quale debba essere il salario dei lavoratori, le condizioni di lavoro, le tutele, i sussidi.  Non hanno più alcuna importanza le culture, i valori, le tradizioni e le comunità locali al cospetto dei grandi manovratori di ricchezze.  Sono le istituzioni globali, da loro ideate, condotte e presiedute, che decretano le politiche monetarie, fiscali, commerciali e bancarie dei paesi sottoposti alla loro egemonia. Superfluo rammentare che alzare la testa da questa vera e propria dittatura, presuppone sanzioni e limitazioni nell’interscambio commerciale, generando crisi economiche che sfoceranno in ovvie instabilità socio-politiche agevolmente poi manovrabili.

Prima in Italia avevamo un ministero apposito quello della Solidarietà Sociale. Esso esercitava le seguenti funzioni:

  1.  In materia di politiche sociali e di assistenza assolveva ai compiti di vigilanza dei flussi di entrata dei lavoratori esteri non comunitari e neo comunitari;
  2. Aveva il compito di coordinamento delle politiche per l’integrazione degli stranieri immigrati;
  3. Operava in materia di politiche antidroga già attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri insieme alla gestione e alle risorse finanziarie dell’Osservatorio per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze;
  4. Ed infine alle funzioni in materia di Servizio Civile Nazionale.

Come possiamo osservare non viene prevista alcuna attività in materia di solidarietà esterna al territorio nazionale.  Con la legge 244/2007 (Finanziaria per il 2008), il Ministero viene accorpato nel Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Troviamo, spulciando nell’ambito del Ministero degli affari esteri, una sezione dedicata alla Cooperazione Italiana allo Sviluppo che assegna importanza prioritaria a interventi volti ad assicurare la stabilità politica e il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi in via di sviluppo. I sussidi per lo sviluppo sono gli aiuti dati dai paesi sviluppati a sostegno dello sviluppo economico e sociale nei paesi del terzo mondo. Viene distinto dal sussidio umanitario, essendo diretto ad alleviare la povertà nel lungo termine, piuttosto che ad alleviare la sofferenza a breve termine. Un paradosso antietico, secondo il mio avviso è che alcuni governi tendono ad includere i sussidi per l’assistenza militare tra i sussidi esteri.  Non c’è da stupirsi, se guardando indietro nel tempo constateremo che la creazione di alcuni organismi di difesa militare, sono stati spacciati (quasi?)  per iniziative filantropiche. Riporto uno stralcio del discorso del presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, con il quale annunciò la nascita della Nato:

““…In aggiunta, noi forniremo consiglio militare e attrezzature alle nazioni libere che coopereranno con noi nel mantenimento della pace e della sicurezza. Dobbiamo intraprendere un nuovo ambizioso programma per rendere i benefici delle nostre innovazioni scientifiche e del progresso industriale disponibili per il miglioramento e lo sviluppo delle aree sottosviluppate. Più della metà della popolazione mondiale vive in condizioni che si avvicinano alla miseria. Il loro cibo è inadeguato. Sono vittime delle malattie. La loro vita economica è primitiva e stagnante. La loro povertà è un handicap e una minaccia sia per loro che per aree più prosperose. Per la prima volta nella storia, l’umanità possiede la conoscenza e l’abilità per alleviare le sofferenze di questa gente”.

Mi colpisce e mi fa riflettere l’ultima frase “per la prima volta nella storia, l’umanità possiede la conoscenza …”. La conoscenza di che, di che cosa? E questa conoscenza cos’ha prodotto nei decenni successivi, in cui siamo tutti d’accordo che le scienze hanno fatto passi da gigante? Erano in buona fede i politici del dopo guerra o già allora il problema povertà del mondo era visto solo come una opportunità su cui sviluppare strategie geopolitiche per accaparrarsi potenziali nuovi mercati da sfruttare o peggio ancora da manipolare con cinica indifferenza verso l’indigenza in cui versavano e ahinoi, versano ancora, tante popolazioni. 

Gli aiuti di cui dicevamo poco fa, possiamo suddividerli in due grandi macroaree: aiuti umanitari posti in essere in contesti di emergenza e aiuti allo sviluppo i secondi. I primi sono indirizzati ai bisogni immediati di popolazioni che versano in stato di emergenza in quanto colpite da catastrofi naturali, guerre o epidemie e sono orientati ad una logica di breve periodo; i secondi sono programmati in funzione di azioni di più lunga durata, mediante l’adozione di strategie per realizzare partnership tra i diversi paesi, per porre le basi concrete a  presupposti che permettano alle comunità più povere di intraprendere la strada di una maggior scolarizzazione, industrializzazione, rispetto dei diritti, tutela della salute. Sono iniziative che mirano a fortificare un tessuto sociale ed economico.

Uno dei problemi emergenziali, aldilà della carenza di aiuti finanziari, è la non facile individuazione della specificità delle problematiche e quindi la difficoltà degli enti e delle organizzazioni competenti ad intervenire in quanto, in questi ultimi decenni, gli interventi umanitari, per effetto di terremoti, inondazioni, maremoti, ecc. hanno assunto una situazione di crisi permanente per cui gli aiuti umanitari a volte faticano a coordinarsi con quelli relativi allo sviluppo. Non possiamo in questo contesto tacere che questi aiuti spesso sono distanti dai reali bisogni della popolazioni interessate.  Aiuti il più delle volte standardizzati, erogati senza tener conto delle singole situazione socio-culturale. Oppure di imporre un modello di sviluppo che non trova una logica sociale o ambientale con il territorio interessato. 

Altro aspetto dequalificante del sistema di aiuti ai paesi in via di sviluppo è rappresentato  in troppi casi dal fatto che  l’aiuto pubblico e privato proveniente dai paesi più sviluppati nasconde  nei fatti il volto di una neo colonizzazione, funzionale agli interessi economici di alcune paesi, basti far riferimento alle politiche monetarie e di prezzo imposte ai produttori del sud del mondo ed agli aiuti vincolati all’adozione di talune strategie di investimento o ad un voto di favore in sede ONU.   Economisti del calibro del Nobel Joseph E. Stiglitz, hanno convenuto che il sistema di gestione degli aiuti internazionali sia confuso e discordante e necessiti pertanto di una riforma strutturale. Alcune grandi organizzazioni preposte all’erogazione di aiuti multilaterali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, sono oramai troppo burocratizzate e applicano sistemi di monitoraggio inadeguati. Per di più, i sistemi di carriera interna, previsti per il loro personale, tendono a premiare chi eroga un ammontare elevato di fondi, anziché essere ancorati ai risultati raggiunti, senza dimenticare che trattandosi di ingenti capitali la loro destinazione (a volte?) è soggetta a clientelismi di varia natura.

Se di terzo mondo si parla, aldilà di quelle sporadiche e improvvisate iniziative di occasionale beneficenza, è per scopi esclusivamente utilitaristici, dove risulta più conveniente sfruttare la mano d’opera locale, senza mai insegnare a loro come poter realizzare da soli i manufatti e sfruttare in proprio le ricchezze dei loro territori.    

L’egoismo dell’uomo, caratteristica perfida e subdola, rappresenta l’altra faccia antisociale, freno a mano per un processo che è in movimento, che per quanto lento, ritengo che nel tempo, probabilmente molto lungo, assumerà dimensioni più accettabili e più consoni per una società che dovrebbe ritenersi democraticamente civile.      

         LA TERZA ED ULTIMA PARTE SARA’ ONLINE DOMANI


[1] Mondializzazione nel linguaggio della politica, il fenomeno per cui determinati problemi politici, economici e sociali (inizialmente circoscritti ad alcune zone) acquistano una dimensione e una portata di risonanza mondiale, suscitando una presa di coscienza comune che spinge alla collaborazione generale nel tentativo di affrontarli e risolverli adeguatamente.

[2] Il termine globalizzazione, di uso recente, è stato utilizzato dagli economisti, a partire dal 1981, per riferirsi prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile accelerazione.

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