IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Lidia Caputo, Astrali Isocronie, Recensione di Marco Scalabrino

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Libro di Lidia Caputo

Libro di Lidia Caputo

Vanamente ho puntato / al tavolo verde della vita / su idee-chimere: /

pace, giustizia, amore. / Orbitando la sfera, / come satellite

impazzito, / sul numero zero si è posata: / cerchio che il nulla /

abbraccia, / buco nero in cui precipitano / le stelle.

Copertina “La pace”, riproduzione della scultura di Leandro Ghinelli; nota introduttiva di Emilio Filieri; dedica a Matteo, a Lorenzo e a Federico; citazione dal Canzoniere, XXXV, di Francesco Petrarca: “[Ma pur] sì aspre vie né sì selvagge / cercar non so ch’Amor non venga sempre / ragionando con meco ed io con lui”. Quest’ultima, la terzina conclusiva di uno dei sonetti più noti del Canzoniere, Solo e pensoso, risale al 1342 e il Petrarca vi esprime il suo desiderio di isolamento e di rifugio nella natura nella fiduciosa aspettazione, che si rivelerà vana, di scampare all’ossessione amorosa.

     Tale assunto vale altresì per la Nostra, che di certo non a caso lo antepone ai testi come chiave di lettura. Dunque è l’amore, meglio il fardello di pene che l’amore reca con sé, la chiave di volta della silloge, il tema principe che scorre nell’alveo delle sue novanta facciate? Il testo Roulette (pag.35), sopra riportato, col ferale “buco nero” che vi incombe, parrebbe indirizzarci in quella direzione, dare manforte a tale ipotesi, senonché i netti rimandi agli ideali di“pace” e “giustizia”, lo spingersi dal “tavolo della vita” alla volta celeste delle “stelle”, il proiettarsi dal “cerchio del nulla” alle scommesse delle “idee-chimere” parrebbero prospettare un mosaico ben più composito, affermare esperienze e coscienza di “oltrepassamento” delle miserie terrene per spiccare il volo verso luminosi orizzonti!

    Composte fra l’agosto 2020 e il dicembre 2022, le liriche di Astrali isocronie, presentano a fronte quattro traduzioni in inglese; l’ultimo testo però, quello che chiude la raccolta, Gli occhi del mare, (pag. 86), datato 10 gennaio 2020, il più antico… è fuori dalla rigorosa progressione cronologica: un congedo dalla silloge e non solo.

    La raccolta si apre nella lirica Notte di luna, con “la finestra… il cancello sul mare… i delfini / [a] impennarsi tra le onde” e non fortuitamente crediamo sin dall’excipit della prima composizione, con la luna: “Dal suo trono ambrato / sorriderà la luna”. E luna ancora ricorrerà, come a volerci consegnare il suo lato romantico in alcune altre successive pagine: “una falce di luna / sussurrava / languide promesse”; “una notte cieca / di luna e stelle”; “due madri e la luna”. Che, nel variegato campionario delle declinazioni poetiche della luna, il nostro satellite sorrida, sussurri, mostri nel suo incedere differente faccia a ogni sua fase non ci sorprende ormai più di tanto! E nondimeno l’autrice, nel testo Alla luna, riesce a escogitare, una, anzi due fascinose nuove sue figurazioni: ed ecco la luna, sfila nel firmamento “vestita di organza”, per poi ineluttabilmente “frana[re]… sulle soglie dell’aurora”. 

    Dal medesimo componimento di apertura, Notte di luna, traiamo aggiuntive notazioni circa le immagini di icastica potenza: “Perigliose rotte” e, in prosieguo, “le avite cime”; “virente meriggio”, “le seriche braccia”; “il suo sciabico d’oro”; “frale nebulosa”; “l’occaso di porpora”; “murmure fiume”. Esse introducono una copiosa rassegna di locuzioni, palpitano di lemmi forbiti, ricercati, desueti, benché pure essi addentro allo smisurato nostro patrimonio lessicale. Non una ostentazione tuttavia questa, non uno sfoggio di erudizione, bensì un prezioso retaggio della formazione di Lidia, una trasparenza che emana della sua predilezione nei riguardi della cultura classica, una genuina estensione del suo consistere che trova concretizzazione nella tersa rievocazione di tutta una serie di personaggi, di vicende, di luoghi istoriati nel mondo ellenico, nel mito insito nella dimensione di quell’era fondativa dell’umanità: “l’inclita Sparta”, la “provvida Estìa, il “possente Eracle”, “Atena [che] rifulge di bellezza”, “Prometeo / di Giapeto titanica prole”, “la casa di Oceano e Teti”, l’“Ade”, la “selvaggia Scizia” e altre icone d’incomparabile suggestione. Immagini soggette al πάντα ῥεῖ di eraclitiana attribuzione.

    Gli studi classici, indubbiamente, sono le coordinate di un più vasto panorama culturale dell’universo greco e poi romano, ma parimenti, a nostro avviso, si respira nei versi della Caputo la piena, totale, convinta dedizione, consacrazione intellettuale, spirituale, emotiva al mondo della classicità, per una sua propria intima urgenza, elettiva affinità, che, maturate sin dalla più giovane età, tuttora l’attraggono, la seducono, l’avvincono.

    Al mondo della classicità peraltro (Lida Caputo, per inciso, è attualmente docente nei seminari di Letteratura Italiana presso l’Università “Aldo Moro” di Bari, ma è già stata titolare della cattedra di Materie Letterarie e Latino in vari licei del Salento), come per due poli opposti, eppure così inestricabilmente uniti, ella alterna il guizzo arguto, affianca la visione paradigmatica sulla nostra contemporaneità. Al linguaggio aulico consono al contesto classico, la poetessa coniuga la propensione ad allestire sequenze neolinguistiche, formulare idee pregne di attualità, speculari della realtà di oggi.

     Dal punto di vista linguistico ricorrono alcune aggettivazioni di carattere evocativo, come nel distico: “Dal suo trono ambrato / sorriderà la luna”. “Trono ambrato”, “oceano ambrato”, “ambrato maniero”, “ambrato crepuscolo”… l’aggettivo ambrato, anche al plurale, “ambrati colli”, “ambrate pagine”, è termine che ritorna, si riaffaccia, s’imprime nel verso, termine che evidentemente le è caro.

     Lo riteniamo tale perché tale voce (sopra tutte) ricorre con una frequenza, un’assiduità che soverchia ogni altra. Fra gli altri lemmi ricorrenti vi sono anche “tramonto” e “anima”: “stupore di un tramonto”, “grigi tramonti”, “muto cade il tramonto”; “nel granitico chiostro / della tua anima”, “l’anima… s’invola”, “l’abominevole / progresso senz’anima”.  

     I componimenti sono in numero di sessantaquattro. Comune denominatore ne è la brevità, l’impiego del verso libero e, in molti di essi, il confessarsi senza remore al lettore.

     Il lirico mettersi a nudo non provoca disagio alla poetessa, non la imbarazza: “Non conosco la distanza / che ti separa da me, / ma tu sempre dimori / nelle mie vene e come / fiume i miei dinieghi / travolgi”. Lidia, per esplicita sua ammissione, è travolta, è soggiogata dall’amore, “amore sbocciato / in albe di sortilegi”, e ce lo confida apertis verbis: “i tuoi / infiniti abbracci / e i baci che accendono / le mie labbra e le notti / di meteore ardenti” (Non conosco la distanza pag.12). E come se ella aprisse totalmente il suo animo: “il mio giardino / di vive fragranze / fa eco al mio cuore: / vieni, mio sposo – fratello – amante”, “vieni, placa la tua arsura / presso la rigogliosa fonte / che bagna la mia aiuola… vieni, affonda le tue radici / nella terra di resina del mio melograno… vieni… effondi l’indomito ardore / nel solco del mio puro desiderio” (Vieni pag. 13).

     Eros niente affatto celato! E tuttavia non appare volgare, licenzioso! L’eco della sua voce pare incedere direttamente da “uno dei testi lirici più insoliti delle sacre scritture”, il Cantico dei cantici, nel quale “si racconta in versi l’amore tra due innamorati, con tenerezza ma anche con un ardire di toni ricco di sfumature sensuali e immagini erotiche. Ciò non pregiudica il carattere sacro del Cantico, in quanto l’amore dei due amanti, per l’autore del testo, ha origine divina”.

     Peraltro Vieni ci fa sovvenire in mente un testo dall’identico titolo della filosofa e scrittrice ebrea Hanna Arendt, che offre un’autentica fucina di spunti lirici: “Il mio giardino / di vive fragranze / fa eco al mio cuore”.

     La liricità è tratto connotativo anche di Lidia Caputo, è disseminata per tutta l’intera raccolta ed è sovente associata a esaltanti fenomeni naturali: “l’oceano è stilla infinita / delle tue lacrime” (Sparta pag.14); “conchiglia d’argento / con le valve dischiuse / è il lido che accoglie” (Santa Caterina pag.15); “il ticchettio della pioggia / sul selciato / è un contrappunto al flauto / malinconico del vento” (Sinfonia d’inverno pag.22); “inverno, sui tuoi accordi / fluttuano i sogni” (Sinfonia d’inverno pag.22); “il libeccio salmastro / che soffia sui cristalli” (è cielo o mare? pag.36); “l’anima… da un barbaglio di sole / rapita” (Araba fenice pag.72); e nel testo di apertura: “bevi un sorso / d’infinito e vedrai / i miei pensieri come delfini / impennarsi tra le onde” (Notte di luna pag.11).

    L’apice della tensione lirica, infatti, viene raggiunto mediante un ricco repertorio d’immagini, dall’espansione connotativa del significante, che in questo lavoro di Lidia irrompe gagliarda: “gigli purpurei”, “candidi gelsomini”, “anemoni rossi”, “il bulbo di un narciso”, “mandorli in fiore”, “iris selvatici”, “abetaie ingemmate”, “fragranza di gelsomino”, “frinire delle cicale”, “soave gabbianella”, “timida gazzella”, “solstizio di un’aquila”, “lo squittio della civetta”, “uno stormo di rondini”, “il mugghio di vitelli”, “il belato degli agnelli”, “i canti di usignolo”, eccetera.

     E le figure retoriche? Nel testo esse anno un ruolo non  trascurabile! Da provetta artista della penna qual è, la poetessa se ne avvale, ma ha il buongusto, l’accortezza di non eccedere, di non abusarne; ne fa piuttosto uso mirato, calibrato e, fra le tante, la sua scrittura trae incisività da una di esse fra le più frequentate, Dante docet, l’anafora: “vieni, mio sposo – fratello – amante… vieni, placa la tua arsura… vieni, affonda le tue radici” (Vieni pag.13); “Signore, ho sete… Signore, ho sete di luce… Signore, ho sete d’amore” (Preghiera pag.18); “Amare te è infrangere… Amare te è cogliere… Amare te è danzare” (Amare te pag.26); “Due madri e una croce… Due madri e il silenzio… Due madri e il mistero” (Via crucis 2022 pag.68), eccetera.

     Pregnanti anche le anastrofi: “della morte più potente / di una donna l’amore”, a p.42 (il mito di Alcesti offre ai poeti intense suggestioni), e a pag. 34 “nell’arida conca dimora / che attende la neve” (A se stessa).

     Altresì è ricorrente l’enjambement nel testo di Alcesti, alle pp. 40-42, in Non conosco la distanza, “le notti / di meteore ardenti” a pag.12,  e nelle liriche successive, di cui segnaliamo solo alcuni esempi: “la mia aiuola / di gigli purpurei” (Vieni pag.13); “l’orbita / delle tue ossessioni” (Rinascerai pag.16); “terrazze tufacee / digradanti” (è cielo o mare? pag.36); “tutti i bimbi / della terra” (Stella pag.47).

     Santa Caterina, ridente frazione marina di Nardò in provincia di Lecce, alla quale dedica a pagina 15 l’omonimo testo, è dichiaratamente il suo luogo dell’anima: “sulfuree grotte… conchiglia d’argento… lido che accoglie”! Luogo del resto dove sono germogliate parecchie delle sue creature, variegati fiori     di questa antologia. Vengono evocate nel libro numerose altre località in cui dimorano indelebili memorie: Lecce, Camigliatello silano, Torre Lapillo, Gallipoli, Paestum, Londra, Pettswood (ne abbiamo contate almeno diciannove).

     Gallipoli è la nota località turistica salentina, il cui toponimo deriva dal greco classico Καλλίπολις (Kallípolis), che significa “bella città”; Pettswood (GB), oltremanica, è là dove batte l’altra metà del cuore di Lidia. Vi dimorano il figlio Giorgio, la nuora inglese Sarah e soprattutto i nipotini Matteo, Lorenzo e Federico. E per i tre virgulti il suo cuore di nonna, “tronco / dagli anni corroso”, batte forte; tant’è che Lorenzo è definito: “stella del mattino… usignolo del giardino… scoiattolo saltell[ante]” (A Lorenzo pag.54); Federico “da remota galassia… approdato sul Tamigi… [è] incantevole astro… [dai] sogni beati” (A Federico pag.56); Matteo, “le gote di rubino… intrepido Ulisse di Pettswood, compone parole e sogni sul volto dei suoi cari” (A Matteo pag.58).

     Lecce, infine, la “Signora del Barocco”, “di cui m’entrò nel sangue / l’odore e la gaia tristezza”, nella quale “un’aria d’oro / mite e senza fretta / s’intrattiene”, scrisse Vittorio Bodini, è la città ove risiede.

     E in tema di affetti è struggente il ricordo della madre, l’incantevole mamma Enza, volata in cielo il 13 luglio del 2021, il cui sorriso “non tramonta” (Il sorriso di mia madre pag.32) e del padre, l’adorato papà, Erminio Giulio, scomparso l’8 febbraio del 2003, “riccioli grigi / di un poeta fanciullo” (Epifania 2022 p.64), “ora… Parola eterna” (Ti sento, padre, vicinanza mia pag. 62).

     “Leggere un libro – sostenne Noam Chomsky – è un esercizio intellettuale, che stimola il pensiero, le domande, l’immaginazione”. Entro il perimetro di questo impegnativo aforisma e parimenti non disdegnando la riflessione altrettanto seria, benché di impronta ludica, di Wislawa Szymborska: “Leggere libri è il gioco più bello che l’umanità abbia inventato”, proveremo ad approfondire accanto alle scelte più strettamente formali, il cosa dice, i significati di Astrali isocronie.

     La sorgente delle tematiche e dei loro contenuti scaturisce dalla disposizione dell’animo di Lidia, dal suo coniugare mente e cuore, dal peculiare suo consistere di candore e di porpora. Tale sfumatura di rosso, emblematica del suo amore nei riguardi delle persone, i familiari in primis e gli amici, fa capo altresì, senza ombra di retorica, all’empatia che lei avverte nei riguardi del suo prossimo, in particolare verso gli emarginati, i sofferenti, gli ultimi. Fra loro ella predilige i malati e gli anziani forzatamente abbandonati nelle cosiddette residenze protette a causa della recente pandemia del Coronavirus.

     Lo “slancio fraterno / verso chi soffre”, l’anelito all’amicizia, all’armonia”, l’“utopia / di un mondo di pace / ed amore” si prefiggono di consolare tanta sofferenza, supplire a tanta disumanità, arginare tanta ingiustizia. Ma non vi può essere pace, giustizia, bellezza in un mondo dalla marcata vocazione bellica, dalla quintessenza consumistica: “fantasmagorica / sarabanda di luci e / sontuosi addobbi… frenesia degli acquisti… un turbine / di euforia e cinismo” (Controcanto di Natale pagg. 84-85).

E “quale futuro ci attende?” se a ciò aggiungiamo la prevaricazione sistematica della natura, scientemente, irrimediabilmente offesa, vilipesa, violata: “le onde che schiaffeggiano / la riva depositano / barattoli di latta, / bottiglie di plastica, / molluschi avvelenati” (Lido Canne pag.80). “Dalle nuove generazioni / l’indignazione erompe” (Terra in fumo pag.81).

     Da tali considerazioni emerge il suo agire di convinta cristiana, il saldo credo religioso della poetessa, che trova viepiù conferma nel testo Preghiera, in cui ella spera di essere accolta dal Signore quando si presenterà “con la vela logora / e intrisa di sudore”; nell’appassionata Ave Maria “sollievo degli afflitti… porto accogliente… tenerezza estasiata”; nell’ardente professione di fede della lirica Nell’oceano ambrato: “Nel vivo fuoco / del tuo costato / annienta la mia miseria, / la mia arsura estingui / con la tua pienezza”(pag. 21); nell’implorante invocazione: “Fino a quando Signore, / ci nasconderai il tuo volto?” (Via crucis 2022 pp. 68-69) e nell’intero componimento Spirito Creatore (p.38).

     Ma anche la propria vita, la sua esistenza è passata ai raggi X: “pagine aperte / sul già e non ancora” (Primo vere pag.29); “convoglio dei sogni… polverosi” (Flashback pag.60… Eclissi pag.65); “appesa a un chiodo / nell’anticamera / gremita di rimorsi” (Eclissi pag.65). E tuttavia quel suo “incerto sentiero” non è stato percorso fino in fondo se ancora lei è “alla ricerca di Atlantide” (Eclissi pag.65) e, all’ultima strofa del testo Eclissi, l’attesa della “notte”, la trepidazione preliminare allo schiudersi delle “porte del mistero”, ingenera tremore nel suo animo.

     Perché Atlantide? Atlantide fu la prima area del mondo dove l’uomo passò dalla barbarie alla civiltà. Isola leggendaria, luogo perfetto così come descritta da Platone, Atlantide fu “grande potenza economica e politica, civiltà di sobri e virtuosi, devoti agli dei. La bramosia e la cupidigia in primis dei governanti causarono, tuttavia, l’ira divina e la decisione che la città fosse distrutta per sempre”. 

     E dunque è lì che il “cuore angosciato” “sospinge” Lidia, alla promozione di una nuova civiltà, alla ricerca di un neoumanesimo? Forse un indizio è rintracciabile alla pagina 50 del libro, Isocronie, da cui deriva il titolo della raccolta: Astrali Isocronie.

     Isocronia, in linguistica, è “la proprietà che avrebbero alcune lingue di scandire ritmicamente il tempo in parti uguali. Secondo tale teoria, una lingua isocronica può essere isosillabica; la durata di ogni sillaba, ovverosia, è uguale. L’italiano è un esempio di lingua isosillabica”. Ciò acclarato, di fatto cosa intende la Nostra? Di sicuro non v’è allusione specifica alla struttura dei suoi componimenti, questi lato sensu affatto isocronici, né all’intrinseco loro tempo-spazio occupato sul paglierino della pagina, né alle coordinate geodetiche del loro verificarsi. L’accezione perciò è da intendere altrimenti! E invero va interpretata (ma ce la avevamo sotto gli occhi, l’autrice ce lo rivela sua sponte) nel senso armonioso del “ritmo dell’essere”, della direttrice eletta “mente-cuore”, del moto celeste scandito dal “fremito… di una carezza”.

     Non vorremmo sottrarre ai lettori il piacere di rinvenire ulteriori proprie suggestioni, per cui non indugiamo oltre e concludiamo con alcune succinte notazioni.

1. Nel testo Febbre (pag.23), a cosa fa riferimento il distico “il fiume si ingorga / in giovane sangue”? Forse alla passione sempre vibrante nelle vene e nei versi della poetessa? Se ne potrebbe trarre materia di conversazione con l’autrice!

2. La lirica Sulle tue spiagge (pag.25) è composta da tre strofe, rispettivamente di quattro, quattro e sette versi, inframmezzate e chiuse da un medesimo verso, “sulle tue spiagge incantate, incantate…”, che riecheggia l’infrangersi delle onde del mare sulla battigia.

3. La lirica é cielo o mare? (pag.36) si configura con un tocco di squisita leggerezza! Che sia mare, l’interrogativo a nostro giudizio è presto sciolto, non se ne nutrono dubbi, ma appare dolcissima questa sospensione, lì sul confine dell’orizzonte, là dove cielo e mare si confondono, dove risuona il bisbiglio del libeccio, come pure il sussurrare della felce!

4. Nel testo Dolcedormiente (pag.48), a un tempo titolo e incipit, è sublime la fusione dei due lemmi, come altresì accade con “tempolungo” (Fugit tempus, pag.74): l’aggregazione appare naturale e non forzata.

5. Nella poesia Incantesimo (pag.71), nei versi “sfiorai il fondo dell’essere / e del nulla… memoria di ciò che ero / disparve / e fui alga e pietra / foglia guizzante / fra cascate e anse”, riecheggia il richiamo alla “dimensione cosmica dell’essere che vibra in tutte le creature”.

6. Nel componimento Crepuscolo (pagg.76-77), il passaggio “Spregiatori di Dike e Sophìa… gli umani vivono nella doxa, calpestando Aletheia”, ci rammenta che tutt’oggi l’umanità disprezza la Giustizia e la Sapienza e calpesta la Verità, preferendo l’opinione soggettiva. Ma Giustizia, Sapienza e Verità meritano l’iniziale maiuscola, venendo così elevate al rango di divinità, mentre doxa è destinata ad essere smascherata e sconfitta.

Trapani, Settembre 2023                                                                    Marco Scalabrino

                                                                                                   Poeta, drammaturgo saggista

Prof.ssa Lidia Caputo
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