IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“Adele la gattara, un racconto di Vincenzo Fiaschitello

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La gattara

La gattara

I santi, morti in giovane età, la impressionavano, la turbavano fino alle lacrime, lei giovinetta di tredici anni che leggeva le biografie di Maria Goretti, di Domenico Savio, di Gemma Galgani. Ma non perdeva mai il suo ottimismo, la sua visione positiva della vita, era certa che Dio avrebbe sempre “tenuto a bada” il male e che il bene, il bello, l’amore, sarebbero sempre prevalsi.

Le amiche della sua età spesso la prendevano in giro: “Adele, dovresti studiare di meno e guardarti attorno di più. Sei l’unica che ancora non hai il ragazzo, sei proprio un pollo!”

Ma lei rispondeva a quelle che la volevano già truccata, con i capelli e i vestiti alla moda: “C’è tempo, l’amore verrà quando vorrà!”

Provò il suo primo intenso dolore, quando le venne a mancare il gatto, cui si era tanto affezionata. La mattina la svegliava tirando le coperte e miagolando; il pomeriggio quando faceva i compiti le gironzolava attorno, si accucciava ai suoi piedi e, quando non ne poteva più di stare in casa, saliva sul tavolo tra libri e quaderni e strusciando le zampe la sollecitava a portarlo fuori. Adele interrompeva volentieri e gli apriva la porta della cucina per farlo uscire in giardino. Tornava miagolando prima del buio. Ma una sera non tornò. Lo cercò invano nei dintorni, chiese ai vicini. Nessuno lo vide più.

Quando Adele si sposò con Valerio, c’erano tutte le sue amiche di un tempo. Poche sposate, molte separate o divorziate.

Adele era teneramente innamorata del marito. A volte la notte si svegliava e, udendo il lieve respiro di Valerio, si sentiva tranquilla, protetta come da una roccia piantata fermamente sul terreno. E se la pioggia notturna o il vento infuriava e fischiava tra le fessure delle persiane, un leggero brivido correva sul suo corpo e ancora di più cresceva in lei il bisogno di protezione.

Una dolcezza misteriosa le scendeva nel cuore, pensando che nei mesi seguenti avrebbe portato in grembo il frutto del loro amore.

Come si sentiva diversa da certe sue amiche dell’adolescenza, quando ragionando delle future famiglie erano determinate a far valere i loro diritti, a sentirsi uguali ai loro futuri mariti, senza nulla concedere nella ripartizione dei lavori domestici. Occorreva condividere tutto in pari misura: occupazioni, divertimenti, libere uscite, diritti. I comportamenti dettati dal femminismo erano talmente condivisi e approvati che si erano radicati come normali nei loro approcci con i maschi.

Poi si riaddormentava, non prima di ringraziare Dio di averle concesso quel clima di affetto e serenità che regnava nella sua casa e di domandarsi se non era un’altra e non lei a dormire a fianco della felicità.

Questa tenerezza, che di solito è presente nei primi tempi del matrimonio e poi via via va scemando, tra Adele e Valerio restò inalterata, anche dopo che Adele ebbe il terribile responso che non avrebbe mai potuto generare un figlio.

Continuarono ad amarsi come prima. Un po’ alla volta, con l’affetto di Valerio, Adele riuscì a superare l’immane sofferenza lasciata da un vuoto sgomento per un figlio desiderato e mai arrivato.

Ogni mattina Valerio si fermava al bar sotto casa per il suo cappuccino con brioche prima di andare in ufficio.

Un giorno a un passo dall’ingresso si sentì chiamare: “Valerio Passanisi?”

-“Sì, sono io! Lei chi è? Cosa desidera?”

-“Il mio nome non ha importanza. Vengo a portarti un messaggio da parte del tuo carissimo amico Turi Nicosia. Mi ha incaricato di dirti che è arrivato il momento di sdebitarti con lui. Tu sai bene a che cosa mi riferisco. Questa sera alle nove io e un altro amico ti aspettiamo al ponte della ferrovia. Non mancare!”

La colazione quel giorno fu molto amara per Valerio. E per tutto il tempo dell’orario di ufficio, non fece altro che pensare a quell’incontro e a ciò che dovevano dirgli quegli uomini arrivati dalla Sicilia.

Si presentò puntuale all’appuntamento, vivamente teso. Da una macchina a fari spenti scesero due uomini, uno dei due era lo stesso che era venuto al bar. L’altro, con forte accento dialettale, senza preamboli, gli ricordò che Turi gli aveva procurato l’impiego ed ora in contraccambio gli chiedeva un favore personale.

-“C’è un uomo, un brav’uomo, perseguitato ingiustamente dalla legge, che si è rifugiato in questi giorni nelle vicinanze della periferia del paese e, naturalmente, ha bisogno di assistenza per sopravvivere per un po’ di tempo.

Quale migliore occasione per rivolgersi a un amico che abita da queste parti?

Gli amici hanno riferito a Turi che tua moglie è una gattara, che ogni giorno porta da mangiare ai gatti del vicinato. Così Turi ha pensato bene che tua moglie possa, senza destare sospetti, portare acqua e viveri all’amico rifugiato. Che ne dici? Posso assicurare Turi della tua disponibilità?

Sali con noi in macchina e ti mostreremo il luogo esatto dove tua moglie potrà lasciare il cibo. Noi abbiamo già provveduto a liberare una decina di gatti che si aggirano nei dintorni”.

Valerio memorizzò il percorso che il giorno dopo avrebbe dovuto indicare alla moglie. Il punto di riferimento erano i ruderi di una villa romana dell’età imperiale. Sulla collinetta alle spalle dei ruderi c’era una grotta, quasi del tutto nascosta da sterpaglie e rovi, dove si nascondeva il ricercato.

A casa, Valerio raccontò alla moglie quella zona d’ombra della sua vita prima del matrimonio. La ricerca di un lavoro dignitoso lo aveva spinto a chiedere consiglio e aiuto a quella specie di patriarca del suo paese, appunto Turi Nicosia, che aveva soccorso tanti giovani suoi amici. “Ora, diceva Valerio, mi presenta il conto, chiedendo di aiutare questo suo fedelissimo che si trova nascosto in una grotta vicino alla villa romana”.

Sapeva che Adele era una donna intelligente e prudente e perciò chiedeva il suo parere.

-“Al punto in cui ci troviamo, disse infine Adele, vista la pericolosità di quella gente, non abbiamo altra scelta che accettare il male minore. Daremo il nostro appoggio a quell’uomo e, se lo scopriranno, spiegheremo ai giudici la nostra situazione”.

La mattina seguente, Adele iniziò il suo giro di gattara. Conosceva i luoghi dove i gatti si radunavano: li chiamava per nome, li accarezzava, coccolava i più piccoli, rimproverava i prepotenti, faceva le sue raccomandazioni. Poi lanciava un ultimo affettuoso sguardo e li salutava con la mano, mentre i gatti confidenzialmente le si avvicinavano strusciando le teste e le code sulle sue gambe.

Quella mattina Adele fece più in fretta del solito, allargò il suo giro e raggiunse la villa romana. Seguì le indicazioni del marito e intravide l’apertura di una grotta quasi completamente ostruita dalle sterpaglie. All’improvviso spuntò da tutte le parti un nugolo di gatti che, dapprima sospettosi, poi via via più sicuri, le si avvicinarono miagolando. Distribuì su piattini di carta quel che aveva portato, poi lasciò su una pietra, vicino alla grotta, una busta di plastica contenente i viveri per il ricercato.

Andò avanti così per circa un mese.

Da qualche giorno, più di un compaesano, aveva notato il passaggio di un elicottero dei carabinieri che volteggiava sul paese e frequenti posti di blocco sulle strade.

Valerio si allarmò e raccomandò alla moglie di fare attenzione durante i suoi spostamenti.

Una mattina una pattuglia dei carabinieri le intimò l’alt. Adele si fermò e con tranquillità stava aprendo la borsetta per prendere i documenti, quando si avvicinò l’altro carabiniere che disse al collega: “Ma non vedi che è Adele, la gattara? Vada, vada pure, signora!”

A Adele batteva forte il cuore e ringraziava il Signore per lo scampato pericolo.

Giunta sul posto, diede da mangiare ai gatti e poi, come al solito, si avvicinò alla grotta e con sorpresa vide che l’apertura non era nascosta dalle sterpaglie. Un covone di sterpi e rovi legati insieme stava a lato dell’ingresso come se, appunto, fosse stato messo da parte.

Incuriosita per la novità, si addentrò di qualche passo e non appena la vista si adattò all’oscurità notò una sedia rovesciata, oggetti di cucina sparpagliati per terra, un tavolo ingombro di stoviglie, come se qualcuno fosse fuggito precipitosamente.

Dal fondo della grotta le parve di udire un flebile lamento.

Uno spettacolo miserevole, impressionante, doloroso, si presentò ai suoi occhi: il grumo di carne di una ragazza che stava accovacciata a terra. Le stringeva la caviglia sinistra una catena assicurata a un anello murato alla parete e chiusa con un grosso lucchetto. La ragazza con gli abiti a brandelli, imbrattata di melma su tutto il corpo, sollevò appena il capo.

Adele intuì subito l’atroce inganno di quei malviventi: il presunto ricercato, allora, altri non era che il carceriere di quella ragazza sequestrata.

Occorreva far presto, ora. Trattenendo quasi il respiro e con la delicatezza che solo una donna può avere, si avvicinò alla ragazza e cominciò a rassicurarla, sollevandole i lunghi capelli e cercando i suoi occhi. La ragazza tremava, aveva fame e freddo, e disse appena il suo nome.

Adele temeva che il carceriere potesse tornare da un momento all’altro e sorprenderla. Capiva di essere in grave pericolo, ma ciò nonostante non volle allontanarsi se non dopo aver confortato la ragazza e averle assicurato la possibilità della salvezza. Voleva lasciarle qualcosa di suo, un foulard, una maglietta, ma poi pensò di non farlo, perché poteva essere molto pericoloso se quei malviventi l’avessero scoperto.

Visto che lì per il momento non poteva far altro, dopo un’ultima assicurazione e un abbraccio, Adele corse fuori e vomitò.

Andò subito a cercare in ufficio il suo Valerio per informarlo di ciò che aveva scoperto.

-“Indegno! Indegno!, disse Valerio. Un uomo che tutti, in paese, consideravano persona caritatevole, sensibile e premurosa verso chiunque ricorresse a lui!  Ora capisco”.

-“Sì, rispose Adele, ma ora dobbiamo fare in fretta. C’è di mezzo la vita di una innocente”.

-“Che altro c’è da pensare, se non di denunciare immediatamente quanto è di nostra conoscenza. Non mi importa nulla delle conseguenze. Vieni, si va subito in caserma”.

Adele, con il cuore gonfio di tristezza, di pietà verso quella creatura ridotta in uno stato così disumano, era contenta di seguire il marito, il quale aveva anticipato la sua decisione di denunciare senza pensare a quel che di grave si addensava sulle loro teste.

La segnalazione fatta da Valerio e Adele portò alla immediata liberazione della ragazza e al suo ritorno in famiglia.

Per loro iniziò il cosiddetto programma di protezione: cambio del cognome, trasferimento in località segreta.

Si adattarono a vivere in una modesta casa che faceva parte della canonica della vicina chiesa di Santa Maria del Campo. Don Giuseppe, il parroco, era l’unico in paese, oltre al sindaco e al maresciallo dei carabinieri, che conosceva la vera identità dei due.

Trascorsero alcuni mesi da quei terribili eventi: Adele aveva ripreso le sue abitudini di gattara. Lì vicino alla canonica, dietro la chiesa, c’era un giardinetto abbandonato dove crescevano erbacce di ogni tipo che costituivano un ottimo rifugio per i gatti. Era lì che Adele si era fatti amici alcuni gatti che dimostravano la loro affettuosa gratitudine appena la vedevano da lontano, miagolando e drizzando le code.

La sera andava in chiesa, aiutava il parroco, conversava con lui, il quale apprezzava la sua fede nelle verità cristiane.

“Se il Signore ha voluto per me tutto questo, io non posso che ringraziarlo. Lui sa quel che è bene per me e non ho nulla di cui lamentarmi. Dentro il mio cuore sono chiusi i figli che non ho avuto, piccoli piccoli. Con loro mi capita di conversare spesso, li chiamo con i loro nomi e li voglio tutti bene. La mia sterilità non ha lasciato un vuoto incolmabile, come spesso accade alle madri mancate, che cadono in uno stato terribile di depressione. Dopo un breve tempo di lacerante sofferenza, ho trovato la mia serenità, mediante la fede in Dio e l’amore per il mio Valerio. Ora mi turba il presentimento della vendetta di uomini senza timore di Dio, violenti, schiavi del denaro.”

Don Giuseppe ascoltava, approvava e la confortava. Si era impegnato a trovare una piccola attività lavorativa a Valerio e li

aveva accolti gratuitamente nei locali di proprietà della chiesa.

Un pomeriggio d’inverno Adele era andata in chiesa a sistemare i fiori sull’altare maggiore per la funzione religiosa del giorno dopo. Valerio, appena rientrato dal lavoro, sentì il rumore di una macchina che si fermò sotto casa. Un uomo scese e suonò il campanello. Dalla finestra del primo piano, Valerio si affacciò. L’uomo con accento dialettale lo invitò a scendere. Valerio capì che non aveva scampo: lo obbligarono a salire in macchina.

La mafia non aveva dimenticato, i suoi tentacoli erano arrivati fin lassù, in quel paesino dove erano andati a vivere con la nuova identità. Ma nulla era impossibile alla mafia.

Tornando a casa, Adele seppe da una vicina quel che aveva visto: la vendetta della mafia aveva raggiunto il suo uomo!

Vincenzo Fiaschitello è nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali (Concorso Nazionale a 119 cattedre -D.M. 30 giugno 1969).  Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.

E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.

E’ presente nel sito Poesie Report On Line e nell’Antologia R. Pasanisi (a cura di) “Le mattine sono ancorate come barche in rada”. La poesia italiana contemporanea, Edizioni dell’Istituto di cultura di Napoli, 2023

Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).

Vincitore della XXXIX edizione (2023) del Premio dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli e della rivista internazionale “Nuove Lettere” per la raccolta edita di racconti “Ginevra, racconti storici e non”, Avola, Libreria Editrice Urso, 2021.

Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore ordine al merito della Repubblica Italiana (2 giugno 1997).


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