IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Il fascino del silenzio

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Il fascino del-silenzio

Il fascino del-silenzio

 di Vincenzo Fiaschitello

Alcuni giorni fa in queste stesse pagine della rivista è apparso a firma di Riccardo Rescio (redazione di Firenze) un interessante e lucido articolo dal titolo “Complici silenzi”, che mi ha particolarmente colpito per avere sottolineato uno fra i tanti motivi che deturpano la nostra società. Ci sono, egli dice giustamente, sia in ambito privato, sia in ambito pubblico, situazioni in cui il silenzio intossica le relazioni umane, diventa colpevole perché tacitamente approva l’illegalità, i comportamenti scorretti, immorali, ingiusti e comunque promuove l’inazione, la passiva accettazione dello status quo, anche quando quest’ultimo è privo di merito, di dignità, di umanità.

Come si fa a non riconoscere la correttezza di tale tesi? Se pensiamo soprattutto ai “silenzi” nel campo politico ed economico, non ci sono giustificazioni possibili, dal momento che spesso sono causa di profonde ingiustizie sociali, di gravi danni e sofferenze a carico dei più deboli, dei malati, dei poveri.

Il fascino del silenzio
Il fascino del silenzio

Tuttavia credo di avere buone ragioni per non condividere la parte conclusiva della tesi di Rescio, laddove non sembra riconoscere al silenzio quella positività che sin dalla antichità gli è stata attribuita.

Si può, per esempio, giudicare negativo o deplorevole il silenzio di colui che per non fare i nomi dei compagni si strappò le corde vocali come Luciano Bolis, prigioniero dei nazifascisti durante la Resistenza?

E che dire di tutti coloro che noti o sconosciuti hanno preferito scegliere il silenzio per evitare un male, per mantenere una condizione di pace, altrimenti compromessa a seguito di una rivelazione, di una opposizione anche se giusta e coraggiosa?

E’ dunque inevitabile pensare che al silenzio si debba rispetto e che il silenzio in certe circostanze non solo è doveroso, ma è una virtù, una sorta di regola d’oro che generalmente gli antichi filosofi raccomandavano, fatta eccezione per i sofisti esperti nell’uso sfrenato della parola, in vista quasi sempre di un interesse personale.

Eppure oggi il silenzio fa paura. E’ stato bandito dalla nostra quotidiana esperienza e ridotto al lumicino, un minuto appena, nelle commemorazioni ufficiali durante eventi sportivi, politici, religiosi.

Perché?

Quando Pascal dice che l’uomo sente con il cuore; quando Sant’Agostino scrive: rientrate nel vostro cuore, rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada, che cosa intendevano affermare?  Chiaramente questo: sappiamo tutto o quasi di ciò che avviene attorno a noi, ma siamo disattenti a ciò che avviene dentro di noi, siamo diventati estranei a noi stessi.

Che fine ha fatto il precetto delfico socratico del “conosci te stesso”? E’ ormai un pallido ricordo?

Senza la conoscenza di noi stessi, rischiamo di farci guidare e condizionare dai fatti quotidiani, rischiamo di agire privi del senso di libertà, di responsabilità, di capacità di valutazione che possiamo trovare solo nella solitudine e nel silenzio della nostra casa interiore.

Senonché è proprio quest’ultima che purtroppo è andata in fiamme e che ora è in macerie. Ciò giustifica, dunque, la paura del silenzio che ci porterebbe all’interno di noi stessi. Quale la causa?

Il nichilismo nietzschiano ha fatto il vuoto dentro di noi. La proclamazione della morte di Dio ha generato la crisi, quella crisi che in particolare ha investito l’Europa e tutto l’Occidente.

Oswald Spengler nel suo brillante e monumentale saggio (oltre 1500 pagine) “Il tramonto dell’Occidente”, che risale agli anni Venti del secolo scorso, ne parla ampiamente. Eventi scientifici e tecnologici hanno in vario modo contribuito a creare un orientamento culturale, non solo in filosofia ma anche in teologia, che pone in discussione i principi assoluti, l’idea stessa di un Dio biblico. Quando a Gagarin, l’astronauta russo che per primo nel 1961 volò nello spazio, gli scienziati e i tecnici  domandarono se durante il giro attorno alla terra avesse intravisto “Qualcuno”, egli rispose ironicamente che lassù in cielo non c’era proprio nessuno, generando così una enorme soddisfazione in tutti coloro che come atei vedevano confermate le loro idee. La preghiera fondamentale dei cristiani il Padre nostro che sei nei cieli aveva la sua ufficiale smentita!

Scomparso il nostro Dio, è scomparso anche il nostro superego, cioè la nostra coscienza, la nostra capacità di coltivare spazi di silenzio per avvertire la sua voce ed evitare il misconoscimento di tutti quei valori tradizionali quali: morale, legge, giustizia, amore, famiglia, ecc.

A tale condizione si dà il nome di crisi della società, parola divenuta col tempo troppo logora. Si può dire che da quando siamo nati si è sempre sentito parlare di crisi della società. Aggiungo che per parte mia, avendo ricevuto una formazione cattolica rigorosa, da ragazzo e da adolescente credevo fermamente che solo chi è credente può essere orientato al bene. Non potevo immaginare che anche un non credente potesse avere la stessa aspirazione al bene che, pur non riferita a un Dio trascendente, è pur sempre una norma, un valore, un sentimento che, nascendo dalla sua interiorità, lo eleva a un orizzonte superiore rispetto al profilo personale intriso di interesse egoistico. Ma quest’ultima riflessione è certamente frutto di maggiore consapevolezza etica, quando maturiamo l’idea di un’etica che non ha il suo fondamento nella religione, che non è eteronoma, cioè dipendente da principi, da leggi, da comandamenti, che impongono e vietano (come accade nel diritto), ma è autonoma.

E tuttavia non si può negare che questa consapevolezza ci rende dubbiosi perché i popoli dell’Oriente che non hanno ucciso il loro Dio non avvertono il senso bruciante della crisi, che attanaglia invece le nostre società occidentali. Si pensi all’Islam, all’Induismo, all’Ebraismo.

Non è fuori luogo qui rammentare che il fatto di non sapere far silenzio dentro di noi per ascoltare la voce interiore ci impedisce di dare risposte equilibrate, oneste, umane, ai mille problemi pratici della nostra esistenza. Si consideri, per esempio, la questione a lungo dibattuta di alcuni insegnanti che con il pretesto di favorire l’integrazione scolastica degli alunni stranieri di religione islamica hanno deciso di abolire il Natale. Una migliore cultura e una serena valutazione avrebbero dovuto consigliare di desistere da quella volontà. Gli stessi musulmani non hanno in fondo accolto bene quella intenzione, anche perché nel Corano c’è una Sura (Sura III, 46-47) dedicata alla nascita di Gesù.

Un elogio del silenzio non può ritenersi soddisfacente se, infine, non si sottolinea che esso è lo strumento più importante perché noi possiamo entrare in relazione con i nostri pensieri, giudizi, opinioni, valutazioni. Tutta la nostra vita è un continuo susseguirsi di riconoscimento di valori, grazie a quella voce interiore che è presente nell’uomo come l’aria che respiriamo sin dal momento della nascita. Quella voce è tensione che ci spinge al bene e all’amore sul piano biologico, psichico e spirituale, per cui, come scrive Vito Mancuso, il valore è l’acqua, il pane, il vino; il valore è il sorriso, l’amicizia; il valore è la cultura, la musica, il silenzio che risveglia la mente e lo spirito.

Nella voce interiore originaria c’è la conoscenza dell’eternità, quella che per Platone era l’inesprimibile, per Aristotele ciò che è privo di linguaggio, per Kant la legge morale, per i mistici quel misterioso silenzio interiore che separa la verità dalla menzogna, e per uno scienziato come Zichichi la logica dell’universo.

In questa prospettiva il ricorso al silenzio, come dimensione spirituale, ci aiuta a sconfiggere il caos, lo sconcerto derivato dalla morte di Dio e a rifiutare quella critica radicale al pensare per valori che Martin Heidegger considerò come strumentalizzazione e sottomissione all’essere da parte della nostra soggettività, che appunto invece di servire l’essere, si erge a padrona.

Leonardo Sciascia, lo scrittore e intellettuale che aveva una particolare attenzione per il razionalismo dell’illuminismo, riconosceva nel silenzio una tensione spirituale, mai accostabile né all’acquiescenza, né all’omertà, ma alla resistenza vigile e consapevole. Il suo mondo era distante anni luce dall’antico detto e purtroppo persistente che rivelava spesso il comportamento indecoroso e rassegnato di tanta gente: “Francia o Spagna, basta che si magna!”

I pedagogisti hanno dedicato molte pagine al valore educativo del silenzio. Tra i primi Maria Montessori lo promosse già nella scuola materna e lo teorizzò come la “lezione del silenzio”. Una illuminazione che, come racconta la stessa Montessori, ebbe quasi casualmente quando una mattina, entrata a scuola una madre con un neonato che dormiva tra le sue braccia, le venne spontaneo invitare i bimbi della classe a stare in perfetto silenzio per ascoltare il respiro del neonato. Fu un successo inaspettato e poi felicemente e stabilmente introdotto nella didattica della Casa dei bambini, come appunto volle chiamare la sua istituzione.

Chi ha esperienza di docente soprattutto nelle prime classi della scuola primaria sa bene quanto sia difficile ma anche divertente per gli alunni la scoperta della lettura silenziosa, la quale va fatta senza nemmeno muovere le labbra, escludendo la pronuncia anche solo mormorata. E quando tra una smorfia e l’altra, tra un provare e riprovare, finalmente gli alunni riescono ad acquisire quella capacità, riconoscono che è bello e che si comprende meglio quel che si legge, siamo certi che l’incantesimo, il fascino del silenzio, si è impadronito di loro, che la mente si concentra meglio e che la parola germoglia e si sprofonda nello spirito.

Non c’è via migliore per condurli gradualmente ad amare il libro che è colmo di parole e tace, ma se richiesto parla a gran voce. A quel punto gli alunni sono pronti all’ascolto, ad accogliere le parole degli altri, sono educati a capire che c’è la parola e c’è il silenzio, come c’è l’alternanza del giorno e della notte.

L’educazione al silenzio diventa una educazione all’ascolto. Non c’è invito alla chiusura egoistica e narcisistica in se stessi, ma accoglimento dello spirito di umanità che sollecita ciascuno a far capire all’altro che si è disponibili a percepire il suo disagio, le sue paure, le sue delusioni, le sue speranze di futuro migliore, perché simili alle nostre.

La paura del silenzio, oggi, e forse anche il suo disprezzo, ha come corrispettivo il venir meno del silenzio sul nostro pianeta. L’ecologo Gordon Hempton, cercando e catalogando le zone della terra non inquinate dall’antropofonia, ha concluso che ormai è difficile trovare un luogo remoto dove esiste un silenzio assoluto di notte fino all’alba per almeno quindici minuti di seguito.

Abbiamo allontanato i terribili anni della pandemia, dandoci coraggio, battendo i nostri tamburi e cantando canzoni da terrazzi e balconi, sapremo farlo altrettanto con queste guerre che stanno demolendo città e cuori e speranze? Se non vogliamo vedere crollare tutto, siamo chiamati a impegnarci ancora di più, soprattutto facendo ora leva sui valori condivisi e ricostruiti nel silenzio della nostra casa interiore.

Vincenzo Fiaschitello è nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali (Concorso Nazionale a 119 cattedre -D.M. 30 giugno 1969).  Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.

E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.

E’ presente nel sito Poesie Report On Line e nell’Antologia R. Pasanisi (a cura di) “Le mattine sono ancorate come barche in rada”. La poesia italiana contemporanea, Edizioni dell’Istituto di cultura di Napoli, 2023

Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).

Vincitore della XXXIX edizione (2023) del Premio dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli e della rivista internazionale “Nuove Lettere” per la raccolta edita di racconti “Ginevra, racconti storici e non”, Avola, Libreria Editrice Urso, 2021.

Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore ordine al merito della Repubblica Italiana (2 giugno 1997).


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