IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Il deserto avanza

Il deserto che avanza

Il deserto che avanza

di Roberto Pasanisi

Il deserto avanza[1], già bussa alle porte della città: «with usura», disse il poeta[2].

          Il «medioevo prossimo venturo» è già ieri[3].

          Coloro che prepotenti si dicono eredi della gloria romana, ma ignorano beceri la grandezza del Latino, portano la pace nell’Islam antico e severo con la violenza ottusa delle bombe intelligenti e l’odore diabolico e suadente dei soldi.

          Il petrolio di Pier Paolo già brucia dentro le nostre case[4].

          I vincitori della Guerra dei sei giorni, nascosti dietro gli spettri tristi di Buchenwald e Mathausen che implorano pietà, scaricano impietosi la loro follia omicida fra le pietre bianche e solitarie della Palestina, sulle sue donne antiche e severe dai volti bianchi, scolpiti nel deserto, di nero luttuoso vestite.

          Saddam Hussein, la creatura crudele degli Americani, è andato a scuola di libertà dal suo doppio, il principe della democrazia George Bush, pronto ad annegare il figlio nella violenza cieca del suo «ordine mondiale».

          La condanna è sempre a morte per chi non è amico dei ‘signori della guerra’: anche l’alfiere della pulizia etnica l’ha imparato immolandosi incredulo su un tribunale in cui la giustizia non è uguale per tutti.

          Ma un nuovo Vietnam già brucia nel moderno inferno di Babilonia.

          E nel fango arcaico di Bassora, «un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole»[5], il proprietario dell’Italia è stato da sùbito pronto a prendere ordini dal suo padrone, il suo «amico George».

          La guerra al terrore è una guerra contro il nulla, una folle caccia agli spettri, il capitalismo al suo colmo che assassina il suo figlio deforme e ribelle.

          «Ecco il tempo degli assassini»[6], diceva il poeta.

          La morte non esiste, ma si sconta vivendo[7] finché i padroni del mondo la nutrono con la fame insaziabile della loro violenza su donne senza terra e infanti senza volto, ma indomabili se armati di pietre di fronte al passo marziale dei carri d’Israele.

          In Italia i governi si succedono, ma intanto tutti si dichiarano cattolici.

Il Papa parla di tutto, ed è amico di tutti: di persecutori e vittime, di vincitori e vinti.

Come ha scritto Guido Dorso, «La plutocrazia italiana è, in gran parte, di origine parassitaria ed affaristica, e non ha, perciò, caratteristiche di classe ben definita. La mancata formazione, in Italia, di una vera borghesia capitalistica simile a quella sviluppatasi in altri paesi dell’Europa occidentale non poteva non avere conseguenze ben precise nel processo di costituzione e sviluppo dello Stato»[8].

          Quelli che si dicono liberali sono guidati dalla caricatura di un dittatore sudamericano in doppiopetto che parla di politica al Paese come al bar con gli amici; vede pericolosi comunisti anche tra i fascisti; inneggia alla modernità ripristinando lo Stato medievale premontesquieuano con i giudici agli ordini del governo; come un re ha legiferato per se stesso a non sprofondare, insieme al suo sinistro convitato di pietra, nell’inferno dantesco del carcere: hanno promesso riforme di destra per una nuova Italia ma hanno fatto un governo comunista con tutto in mano ad uno solo ed allo Stato, senza concorrenza né mercato.

          Quelli che si dicono socialisti promettono riforme di sinistra per una nuova Italia, ma non osano scuotere le colonne lacere dell’Italia degli scandali finanziarî e dei misteri, delle tangenti e delle clientele; di un Paese governato dalle corporazioni medievali dei tempi del padre Dante, pronte a vendicarsi implacabili per ogni affronto del Palazzo.

E questa è l’Italia.

          Per il disgelo di una Primavera italiana il cielo delle riforme non può più attendere[9]: la ‘questione morale’ in politica, come antesignano la vide e predisse Enrico Berlinguer; la liberalizzazione dei servizî; un libero mercato fondato su regole trasparenti – liberato dai potenti cartelli delle banche e dei grandi fornitori di servizî come dai trust mafiosi delle assicurazioni e delle compagnie petrolifere –; efficienza, etica e indipendenza della giustizia; sburocratizzazione e modernizzazione; una scuola ed un’università serie, di qualità e meritocratiche; lotta a una corruzione e a un clientelismo troppo spesso divenuti legge, con il diritto che troppo spesso è divenuto favore, e…

          Ma nel pasoliniano Palazzo – lo vedete ogni giorno, prima hodierna luce[10] – siedono tronfî su entrambi gli scranni i vecchi ‘eroi’ di Tangentopoli e gli ‘uomini d’onore’ dell’unica guerra al mondo dello stato contro lo Stato.

Ne volete un esempio fra i più lampanti, di uno che è stato sette volte Presidente del Consiglio, infinite volte ministro, decisore occulto di quasi tutto quello che si è deciso in Italia per vent’anni? L’opposizione, definita di Destra ed autodefinitasi alle origini Casa delle Libertà, però nemica giurata della libertà, candidò, per la legislatura in corso alla Presidenza del Senato, la seconda carica istituzionale dopo la Presidenza della Repubblica, una «maschera incaica» (come la chiamava Giorgio Bocca) di 87 anni, simbolo inossidabile del Palazzo e dell’ambiguità, signore incontrastato nella terra di confine dei rapporti fra Stato ed anti-Stato, fra legalità e malaffare. Senatore a vita (come un altro suo collega altrettanto cristiano fervente, secondo quanto riportato nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 2 maggio 2003, è stato ritenuto coinvolto in associazione a delinquere con Cosa Nostra, come poi confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza definitiva depositata il 28 dicembre 2004: la sentenza ha dimostrato che il leader máximo del Potere incontrò esponenti mafiosi di primo piano coinvolti nell’omicidio di Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia, prima e dopo la sua morte. Il Senatore romano (ahi, non sentite rivoltarsi nelle antiche tombe i patres patriae, i patres conscripti dalle bianche toghe severe?) non è stato a suo tempo condannato unicamente perché il reato ascrittogli, anteriore alla primavera del 1980, è andato in prescrizione a causa del solito tempo inenarrabile trascorso tra crimine e condanna. 

          Non è tutta l’Italia – ne siamo ben certi: ce n’è un’altra coraggiosa e capace, troppo spesso sommersa – ma è il peggio del Paese.

Eppure questa è l’Italia.

          Le riforme sono una bella cosa, si sa, e i risultati arrivano sempre, che credete? Ma sono impopolari, perché vogliono i tempi lunghi della storia, non quelli demagogici della politica italiana.

          I giovani, sapete anche questo, sono il futuro di una nazione: ma qui nella scuola si insegna ad odiare fieramente la cultura, si svende gloria agli analfabeti, si premia l’astuzia meschina e bieca del serpente[11]; e nelle università degli eredi scalcinati degli autoritarî ma colti baroni diventare professore è facile: basta non essere un intellettuale, idest una persona d’ingegno, di cultura e politicamente indipendente.

          Il Governo definito di Destra, arrivato al potere, nominò Ministro della Repubblica uno che si dice antifascista ma è andato al governo coi fascisti; faceva lo ‘sfascista’, odiava dichiaratamente l’Italia e non sapeva parlare l’Italiano, al punto da proporre come lingua nazionale l’Inglese, che però neanche sapeva parlare.

          Il Governo definito di Sinistra, giunto al potere, nominò Ministro della Repubblica un ex giudice d’assalto che si è dato alla politica attaccando bellamente il ‘padrone’ della Destra ma facendone poi l’imitazione in miniatura: un partito col suo nome e a nome suo, con uno solo che dall’alto decide per tutti tutto e, uomo per tutte le stagioni[12], drena voti e potere riciclando riciclati senza pietà da Destra e da Sinistra per tutti i punti cardinali. Ma neanche lui – ahinoi! – sa parlare l’Italiano.

          Intanto la «lingua del sì», l’«idioma gentile» è così odiato, da Destra a Sinistra passando per il Centro, che perfino i canali culturali  RAI sono non anglofili ma proprio anglomani (da RAI News a RAI Educational), come quel tale latino esterofilo che i legionarî eroici sbertucciavano – raccontano i classici – salutando non romanamente ma con un rotondo e greco «Chaire!. Eppure la difesa dell’Italiano –  lingua, cultura, tradizione –  è battaglia non di retroguardia, ma di avanguardia; non del passato, ma del futuro.

          A Napoli, ombelico del male e del bene del mondo, fiore della vita e della morte, crocevia della bellezza e dell’orrore, sindaci già oscuri funzionarî dei soviet hanno curato l’immagine della città e fantomatiche «notti bianche» nella ‘notte della civiltà’: comunisti neoborbonici, hanno offerto concerti da centomila a piazza del Plebiscito, ovvero «festa, farina e forca» ai suoi sudditi-elettori; una delle loro eredi dalla voce incartapecorita, gattopardesca cariatide del pentapartito, per anni blaterò al vento di società civile e di fermezza delle istituzioni all’insegna del quieta non movere et mota quietare.

Ma l’importante, come sempre, è che nulla cambi.

          Troppo potere ai partiti, da una parte; nessun potere dall’altra, nell’equilibrio mortifero dei veti delle corporazioni.

          Così – le supreme intelligenze di Machiavelli e Guicciardini docent – è sempre il «particulare» a prevalere; ed è l’Italia che vorremmo a restare nei nostri cuori come un sogno che è impossibile regalarci.

          Ma questa è l’Italia.

Roberto  Pasanisi

Direttore, Istituto Italiano di Cultura di Napoli


[1] Metafora nietzscheana e poi severiniana, in uno con la questione del ‘dominio della tecnica’ (del filosofo bresciano cfr., in particolare, Emanuele Severino, Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli, 1998; Natalino Irti – Emanuele Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Bari, Laterza, 2001; Emanuele Severino, Téchne. Le radici della violenza, Milano, Rizzoli, 2002; e Id., Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, 2005).

[2]  È uno dei Leitmotiv danteschi nei mitici Canti Pisani di Pound, Milano, Garzanti, 2004 (edizione originale The Pisan Cantos. New York, New Directions, 1948).

[3] Cfr. Roberto Vacca, Il Medioevo prossimo venturo, Milano, Mondadori, 1990; La morte di Megalopoli, Milano, Mondatori, 1974.

[4] Cfr. Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Torino, Einaudi, 1992.

[5] «A heap of broken images, where the sun beats» (Eliot, The Waste Land, Canto I: The Burial of the Dead [La sepoltura dei morti]): «Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto / Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole, / E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, / l’arida pietra nessun suono d’acque.  / C’è solo ombra sotto questa roccia rossa, / (Venite all’ombra di questa roccia rossa), / E io vi mostrerò qualcosa di diverso / Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi, o dall’ombra / Vostra che a sera incontro a voi si leva; / In una manciata di polvere vi mostrerò la paura».

[6] «Voici le temps des assassins»: così Arthur Rimbaud nelle Illuminations (1886).

[7] «La morte si sconta vivendo» (Sono una creatura [Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916]: «Come questa pietra / Del S. Michele / Così fredda / Così dura / Così prosciugata / Così refrattaria / Così totalmente / Disanimata / Come questa pietra / È il mio pianto / Che non si vede // La morte / Si sconta / Vivendo»; Giuseppe Ungaretti, L’allegria, in Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2005).

[8] L’epocale tematica, cara al grande meridionalista avellinese, è sviluppata in particolare in Guido Dorso, La rivoluzione meridionale, Bari, Palomar, 2005 (ed. or. 1925).

[9] Cfr. il favoloso cult-movie di Ernst Lubitsch, Il cielo può attendere (Heaven Can Wait), USA, 1943, con Don Ameche, Gene Tierney, Charles Coburn, Eugene Pallette.

[10] Titi Livi, Ab Urbe Condita Libri, I, 16: «Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem patrum manibus taciti arguerent; manauit enim haec quoque sed perobscura fama; illam alteram admiratio uiri et pauor praesens nobilitauit. Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides. Namque Proculus Iulius, sollicita ciuitate desiderio regis et infensa patribus, grauis, ut traditur, quamuis magnae rei auctor in contionem prodit. «Romulus», inquit, «Quirites, parens urbis huius, prima hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obuium dedit». 

[11] Cfr. Arturo Parisi, Compagni che copiano. Due modelli di società a scuola, in “Il Mulino”, XL, 333, 1991, pp. 91-100, p. 93 (ma tutta la sezione della rivista intitolata Una scuola senza qualità è di grande interesse). Cfr. pure, per un discorso più ampio, Roberto  Pasanisi, «Ahi serva Italia…». Clientelismo, corruzione, corporativismo e degrado culturale nell’Italia dei begolardi, in “Nuove Lettere”, VIII-IX, 9-10, 1998, pp. 21-51.

[12] Cfr. Fred Zinnemann, Un uomo per tutte le stagioni (A Man for All Seasons), Gran Bretagna, 1966, con

Paul Scofiels, Wendy Hiller, Leo McKern, Robert Shaw, Orson Welles, Susanna York, John Vanessa Redgrave.

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