IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Il segreto del nonno

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Nonno e nipote

Nonno e nipote

di Maurizio Mazzotta

Vincenzo era piccolo, minuto, in un letto enorme: la metà del vecchio che era stato e che era entrato nella sua vita. La morte aveva cominciato a portarselo via a poco a poco. Davanti al nonno divenuto oggetto, Marco si chiedeva quale era stato il momento d’inizio del ridimensionamento fisico dell’uomo e per quali condizioni, interne e esterne, aveva cominciato a ridursi, a contrarsi, a diventare trasparente, a dare campo alla morte. Forse la scomparsa della nonna, il rientro definitivo nel palazzo di Nùvoli, quelle mura che non aveva mai accettato. Se invece di andare a Roma fosse andato a vivere alle “Torri” col nonno, lo avrebbe accudito…I vecchi soli fanno tenerezza, sembrano fragili più delle vecchie.

Ricordò la sera dei venerdì di Pasqua quando era sul balcone con la madre, la zia e i nonni. Passava la bara di vetro col Cristo nudo e morto, poi, ma non subito, la Madonna oscillante. Ai suoi sensi di bambino-ragazzo, percossi da un canto triste, il lamento della processione, appariva una Madonna, alta, avvolta di nero, che procedeva a strappi, dondolandosi disperatamente alla ricerca del figlio.  Attendeva con angoscia quell’apparizione e appena dal fondo della via emergeva la massa scura della madre addolorata, la sua anima rabbrividiva. Il nonno se ne accorgeva per quella strana capacità di leggergli l’anima. Un sentimento indefinito: dolore, desiderio di purezza, voglia di espiazione. Tremante e stupìto, contemplava, struggendosi, la sua miseria e l’accorato dolente desiderio di liberarsene.

Immaginò la nonna nella  stanza, seduta in un angolo e immobile come una statua a fissare il suo uomo che era diventato più piccolo:  lei che se ne era andata per prima! Lei, causa di quel ridimensionamento. Non avrebbe dovuto andarsene.  Marco non riuscì a piangere.

Lo portarono via il giorno dopo attraverso il paese. Ricordava confusamente la folla, le strette di mano, le automobili che li sottrassero all’usanza impietosa, che li avrebbe costretti ad accettare le condoglianze in mezzo alla via. Al cimitero si accorse di quanto fosse splendida la giornata, maggio andava alla grande straricco di luci e di colori.

Il pomeriggio di quello stesso giorno andò alle “Torri” con Fabio e Rinaldo. Il sole, coi rossi all’orizzonte, sembrava tramontare convinto di aver reso alla terra un giorno di splendore.  I tre giovani si sedettero alla finestra che dava all’esterno della masseria, sopra il grande portone dell’ingresso sempre chiuso, per osservare la campagna che sembrava in festa: i filari coi ceppi antichi che sembravano giovani vigorosi, gli ulivi contorti che parevano danzare, i ficodindia  serrati in doppia fila  pronti a marciare lungo il lato del recinto a settentrione. Regolare che se ne fosse andato via in primavera, lui che amava il sorgere degli incanti.

Il nonno, in quell’atmosfera che era magica anche d’inverno, aveva ricreato per lui un secolo e mezzo di storia, il Salento, Lecce, Roma, regalandogli suggestioni che lo avevano emozionato e lui si era sentito dentro il ricordo del nonno. Con gli amici si scambiava i fumetti di Pecos Bill, Tex, Superman, Mandrake, inseguiva la “maglia rosa che oggi Gigino domani Coppi se la mette sul pancino”, sull’aria del Barbiere di Siviglia, si accontentava del tandem, sognando insieme agli amici la vespa e la lambretta, fantasticando di emulare persino nella morte la grande promessa di James Dean al volante di un bolide rosso. Alle “Torri”  il nonno, uomo del duemila, gli faceva notare l’obbrobrio di frasi come questa: “donne e motori gioie e dolori”. Alle “Torri” lo rendeva capace di leggere gli eventi del presente, dandogli assai di più di quanto dava la scuola. Di collegare gli eventi e cercare di capire perché mentre mezza Italia, Italia divisa sezionata Nord Sud -lavoratori organizzati da un lato ed emarginati sfruttati dall’altro -, mentre mezza Italia scopriva gli elettrodomestici, a Lecce i bambini raccoglievano le olive e per cento lire si spezzavano la schiena.

Di collegare gli eventi e comprendere le relazioni, che delimitano e circoscrivono le idee e le azioni e rendono stupidi gli oltranzismi. Gli parlava dei falsi problemi sui quali l’uomo si accaniva. Il mondo si angosciava nelle dicotomie: arte figurativa-arte astratta, gonne-pantaloni, Coppi-Bartali, dispute feroci  che riteneva più che inutili, imbecille. Il nonno gli sfumava i contorni delle cose, poneva delle linee lungo le quali scorrevano gli estremi senza fratture. Gli regalò quella capacità che lo rese accorto più avanti negli anni e pronto a rifiutare la presentazione degli opposti a partire da Villa-Modugno fino agli “opposti estremismi”. Capacità di leggere e rileggere la realtà da più parti e con criteri diversi che non siano mai l’opportunità e la convenienza, di cercare negli opposti prima ancora di rifiutarli cosa li rendeva simili e cosa differenti.

Fabio, Rinaldo e Marco non avevano nulla da dirsi: i fatti non contano di fronte all’evento definitivo. Gli amici che avevano conosciuto il nonno lo avevano amato, e Marco e Rinaldo erano fieri del fatto che anche per gli amici era un punto di riferimento. Rinaldo intuiva l’esistenza di quella trama dai fili tenaci che il nonno e Marco avevano tessuto per dieci anni, non ne era geloso, anzi sembrava, pure assai dolente, custode, insieme all’amico Fabio, del dolore più forte del cugino. La loro amicizia era nata con le avventure della prima adolescenza, rafforzata e divenuta consapevole con la petulante verbosità degli anni del liceo e i distillati delle poesie, che si dedicavano.

La loro amicizia si appagava per il fatto che stavano insieme. Troppo spesso si separavano: a Roma lui, a Siena Rinaldo Medicina, a Bari Fabio Giurisprudenza. Quanto sarebbe durato questo incontrarsi e separarsi? Erano le ultime, mute, battute di un copione già tutto filmato? Marco senza guardare gli amici, ricordava le sere bianche dei loro incontri alla masseria, quando il silenzio dei vigneti carichi di grappoli turgidi penetrava nella loro mente e vi accendeva brividi di stupore nell’attimo prima che scoppiassero i grilli. La masseria era stata il suo mondo con il nonno e gli amici. Il nonno era morto e con lui forse sarebbe morto il rumore della campagna, quel suono persistente e vario, sulla base di piccoli accordi, che avvertiva ancora perché era tra loro e nella terra che si era spalancata per accoglierlo.    

Fabio aveva acceso il registratore e stava cercando puntigliosamente la soglia più bassa di percezione; Rinaldo era in cucina in cerca di ciò che occorreva per bere qualcosa. Avrebbe voluto avvertirli che mai come tra loro sentiva un calore espandersi e dare alle membra una pace solida, un vigore tenero di maschio vergine. Sapeva che a Roma, la notte prima di addormentarsi, lo avrebbe toccato la nostalgia di quel posto.

Il brano è stato tratto dal libro di Maurizio Mazzotta: LE SUE DITA CìOME STECCHI di MANDORLO


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