IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Le origini della Lingua Siciliana

popolani siciliani

di Giovanni Teresi

Risalire alle origini, ripercorrendo la storia di una lingua, è impresa assai ardua.

Tra le poche cose certe, possiamo dire senz’altro che la Lingua Siciliana è una lingua che appartiene alla grande famiglia delle lingue indoeuropee che negli ultimi nove secoli, nonostante mai sia divenuta “lingua di stato”, è stata usata con estrema continuità dal popolo siciliano.

Nel corso degli anni sono state molteplici le ipotesi che gli studiosi hanno formulato circa l’origine e l’evoluzione della Lingua Siciliana. Quelle che ci sembrano essere degne di attenzione sono le seguenti:

-Siciliano come lingua pre-esistente al Latino;

-Siciliano come lingua derivata dal Latino in tempi antichissimi, prossimi alla conquista romana dell’isola;

-Siciliano come lingua neo-latina o romanza;

-Siciliano come lingua sorta in seguito a un processo di neo-romanizzazione dopo la cacciata degli arabi.

Secondo la prima ipotesi, la Lingua Siciliana sarebbe stata parlata dalla maggior parte della popolazione dell’isola ben prima della conquista della stessa da parte dei Romani. Sarebbe una specie di evoluzione della Lingua Sicula e, attraverso processi evolutivi successivi di scarsa consistenza, si sarebbe trasmessa con continuità sino ai nostri giorni. Tale ipotesi è stata sostenuta con forza nell’800 da molti patrioti siciliani. Il Perez sostiene che “Il fondo indelebile del dialetto siciliano e le sue più essenziali caratteristiche sono dovuti a quei popoli di razza antichissima italiana passati in Sicilia avanti la fondazione di Roma“.

Questa ipotesi va spesso di pari passo con quella che vuole le lingue così dette “romanze” generatesi non dal latino, bensì da parlate più antiche dalle quali lo stesso latino si generò, diventando la lingua colta ma mai soppiantando nel popolo i vari idiomi a esso precedenti.

Secondo la seconda ipotesi, la Lingua Siciliana, come lingua neo-latina, prospetta, a differenza di quanto normalmente ritenuto per le altre lingue neo-latine, che il processo di passaggio dal Latino al Siciliano si sia completato non nel Medioevo, bensì circa mille anni prima. Dopo la conquista romana della Sicilia il Latino avrebbe preso l’avvento sulle altre lingue ma, parlato dai Siciliani, si è volgarizzato.

Secondo la terza ipotesi, la Lingua Siciliana viene considerata una lingua romanza al pari dell’Italiano, del Francese, dello Spagnolo, del Portoghese, del Rumeno, del Catalano e di tutti quei dialetti o lingue (anche estinte) che sono derivate dal passaggio progressivo dal Latino a una lingua “volgare”, completatosi nelle linee più importanti intorno al periodo medioevale.

Secondo la quarta ipotesi formulata dal noto studioso tedesco Rohlfs intorno agli anni ’30 del secolo scorso, durante la dominazione musulmana l’arabo divenne la lingua del popolo siciliano, avendo soppiantato il latino, con l’eccezione della parte nord-orientale, dove si sarebbe continuato a parlare il greco. Tale teoria prendeva spunto dal fatto che il Siciliano (comprendente anche il dialetto della Calabria meridionale), a livello lessicale, appariva, agli occhi del Rohlfs, come il più moderno tra i dialetti meridionali “mancando del tutto di un fondo latino antico” (il Siciliano, rispetto agli altri idiomi meridionali, ha badagghiàri invece che “alàre” – lat. HALARE – ; testa invece di “capa” – lat. CAPUT – ; dumàni invece che “crai” – lat. CRAS – ; etc.). Da qui la deduzione che vi fosse stata una brusca interruzione della latinità in Sicilia a causa della dominazione araba e che il Siciliano fosse sorto non da un processo evolutivo continuo della lingua latina iniziatosi ai tempi della conquista dell’isola, bensì da un nuovo processo di romanizzazione cominciato in epoca normanna.

In seguito il Rohlfs ridimensionò notevolmente la portata delle sue affermazioni, attribuendole alla “ingenuità che è particolare alla vivezza giovanile”.

L’opinione corrente è più prossima alla terza ipotesi, arricchita da alcuni concetti moderni.

Innanzitutto bisogna aver chiaro il moderno concetto di lingua come qualcosa di non statico; la Lingua Siciliana, così come la maggior parte delle lingue attualmente parlate, è stata ed è una lingua in continua evoluzione alla quale hanno contribuito, in misura più o meno rilevante, una serie di idiomi parlati dalle popolazioni indigene e conquistatrici (in senso lato, quindi anche a livello di influsso culturale esterno, come quello esercitato attualmente nel mondo dalla Lingua Inglese).

In particolare si ritiene che l’influsso maggiore alla formazione del Siciliano sia arrivato dalla Lingua Latina, lingua che si impose nell’isola ai precedenti idiomi che contribuirono alla formazione della varietà regionale di Latino Volgare. Comunque, si può affermare che il processo di latinizzazione dell’isola fu, all’inizio, molto più lento e articolato di quanto non sia avvenuto nella maggior parte dell’Italia peninsulare.

Lo status del Latino all’inizio della colonizzazione romana della Sicilia è in gran parte all’origine e spiega la maggior parte delle divergenze tra le varietà di latino parlate nelle diverse provincie dell’Impero Romano che poi avrebbero dato luogo alle diverse lingue romanze. A tal proposito risulta interessante, innanzitutto, analizzare quali popolazioni e quali relativi idiomi (sostrato linguistico) erano presenti o erano stati presenti nell’isola prima della conquista romana.

Partendo dai tempi remoti, possiamo dire, attenendoci alle fonti storiche, che i primi idiomi parlati in Sicilia sarebbero stati il Sicano, il Siculo e l’Elimo; furono questi i primi popoli che, all’alba della storia, abitarono l’isola. A quanto pare il Sicano e l’Elimo, di cui si sa ben poco, non erano idiomi indo-europei, anche se la questione a tal proposito è molto controversa. Il Siculo, invece, era una lingua di origine indo-europea, molto imparentato con il latino, come traspare dalla più lunga iscrizione in Siculo, risalente al V sec. a. C., trovata a Centuripe in un askos (vaso schiacciato), oggi conservato al museo archeologico di Karlsruhe (Germania), o dalla famosissima iscrizione incisa su un blocco di arenaria murato sul lato est del vano di ingresso della porta urbica meridionale della città di Mendolito e disposto in due righe ad andamento, anche questo, sinistroso (è l’unica epigrafe sicula di natura pubblica finora conosciuta, il cui testo è ancora di controversa interpretazione e databile alla seconda metà del VI sec. a.C). (Epigrafe pubblica di Mendolito)

Ben presto (1000 a.C. circa) nell’isola (costa occidentale) si parlò anche il Fenicio, lingua semitica, anche se la presenza fenicia in Sicilia ebbe sempre carattere sporadico di insediamento commerciale limitato più che di vera e propria conquista di territori estesi. Comunque, intorno al 400 a.C., l’arrivo nell’isola dei Cartaginesi dovette ridare un certo vigore alle parlate semitiche.

In seguito, a cominciare dall’anno 735 a.C., data di fondazione di Naxos, la prima colonia greca in Sicilia secondo Tucidide, si introdusse nell’isola anche la lingua Greca con la venuta di genti dapprima dall’Eubea (Calcidesi, quindi, di stirpe ionica), poi da altre parti della Grecia (soprattutto genti di stirpe dorica) che si stanziarono principalmente sulle zone costiere della parte orientale.

E’ questa la situazione linguistica che troveranno i Latini al momento della loro conquista della Sicilia, cominciata nell’anno 264 a.C. e giunta a termine nel 241 a.C.

Situazione linguistica nella Sicilia pre-romana

Influenza delle lingue di sostrato sul Latino di Sicilia

Escludendo gli influssi della lingua Greca (notevoli, anche se rimane difficile da stabilire quali provenienti da un’epoca pre-romana) e premettendo che, ancor più che altrove, in questo campo si può null’altro fare se non ipotizzare partendo da pochissimi dati certi, ci si può azzardare a dire che:

– la pronuncia cacuminale (lingua contro il palato anziché contro i denti) degli antichi gruppi in -ll- passati a -dd- in Siciliano, e quella dei gruppi str e tr

– la forte palatizzazione del tipo chiù e del tipo xiuri

siano dovute ad un influsso delle lingue mediterranee non indo-europee.

Sul piano lessicale si può ipotizzare che i seguenti termini rappresentino un’eredità del sostrato mediterraneo: alàstra (calicotome infesta o spinosa – pianta delle leguminose simile alla ginestra -, pianta spinosa), ammarràri (munire di argini un luogo per difenderlo da inondazioni), calancùni (onda di fiume), calanna (scoscendimento, frana di rocce di un fianco montuoso, terreno in forte pendio), carrivàli (roccia rossastra), limàrra (terra intenerita dall’acqua, melma, fango).

Inoltre lavànca (luogo scosceso e sdrucciolevole, frana, dirupo) dovrebbe essere, per il suffisso -anca, un termine pre-latino ed è presente anche nell’antico provenzale “lavanca”. Infine, dovrebbero essere d’origine sicana alcuni toponimi terminanti in -ara (Hykkara, Indara, Makara).

Il siciliano non è un dialetto, ma una vera e propria “Lingua”  che deriva dal latino volgare e costituisce la prima lingua letteraria italiana, già nella prima metà del XIII secolo, nell’ambito della Scuola siciliana: tant’è vero che il sommo vate, Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia così scrive: «Indagheremo per primo la natura del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri: che tutto quanto gli Italici producono in fatto di poesia si chiama siciliano […]» E Giovanni Meli: «Omeru nun scrissi pi grecu chi fu grecu, o Orazziu pi latinu chi fu latinu? E siddu Pitrarca chi fu tuscanu nun si piritau di scrìviri pi tuscanu, pirchì ju avissi a èssiri evitatu, chi sugnu sicilianu, di scrìviri pi sicilianu? Haiu a fàrimi pappagaddu di la lingua d’àutri?» che tradotto in italiano per i non siculi significa: «Non scrisse Omero che fu greco in greco, o Orazio che fu latino in latino? E se Petrarca che fu toscano non si peritò di scrivere in toscano, perché dovrebbe essere impedito a me, che son siciliano di scrivere in siciliano? Dovrei farmi pappagallo della lingua d’altri?»

La lingua è la storia di un popolo e quella siciliana lo è dei tanti che l’hanno abitata.

Grecismi, arabismi, normannismi, catalanismi, francesismi, spagnolismi, hanno lasciato impronte indelebili nell’ idioma della Lingua Siciliana, ma la faccenda si complica sull’origine di molte parole che, pur essendo chiaramente di matrice araba, sono comuni anche al catalano, all’italiano, allo spagnolo e, persino, al dialetto ligure; per altre, invece, è difficile comprendere se siano di provenienza catalana, provenzale o francese e, infine, tra gli iberismi, spesso, è impresa ardua distinguere tra i catalanismi e i castiglianismi.

Alcune parole della lingua siciliana, inoltre, sono ormai entrate a pieno titolo a far parte del lessico ufficiale della lingua italiana e noi abbiamo voluto offrirvi, su un vassoio d’argento, le più curiose e insospettabili. Eccone alcune:

  • abbuffarsi, mangiare a sazietà, vuol dire “gonfiarsi come un rospo” che, infatti, in siciliano è detto “buffa”. Questo verbo è entrato nella lingua italiana nell’ottocento (le prime documentazioni portano all’ambiente dell’Accademia navale di Livorno), anche se nella VIII edizione dello “Zingarelli” (marzo 1959) non era ancora presente.
  • canestrato, tipo di formaggio, deriva da cannistratu e dal fatto che, simile al pecorino, si riponesse in ceste di vimini a forma di canestro (cannistri). E’ entrato a far parte della lingua italiana intorno al 1970.
  • cannolo, il nostro dolce tipico conosciuto in tutto il mondo, deriva dalla parola siciliana “cannolu” e questa da “canna”: indica oggetti cilindrici cavi, nonché il rubinetto ed è entrata nella lingua italiana agli inizi del ‘900.
  • cassata, torta di ricotta ricoperta da pasta reale e canditi, la ritroviamo scritta, già nel 1897, nel menù di un ristorante di Milano. Le origini si legano a “qa’sat”, che in arabo indica una scodella grande e profonda; da alcuni è stata avanzata, invece, l’ipotesi della derivazione dal latino caseus, formaggio.
  • dammuso, abitazione in pietra con il tetto a volta, arriva al siciliano dall’arabo “dammus”. Tale tipo di costruzione è tipico, soprattutto, di Pantelleria e con la scoperta dell’isola da parte del turismo italiano, la parola è pian piano penetrata nella lingua italiana.
  • mattanza, uccisione di tonni, di origine spagnola da matanza, dovrebbe essere passato all’italiano direttamente dal siciliano.
  • omertà, legge del silenzio, ha un’origine incerta, anche se fu conosciuta già dal 1800: la teoria più convincente la fa risalire alla parola latina Humilitas, umiltà, che, in vari passaggi, diventa in siciliano umirtà. Oggi viene usata comunemente per definire l’ostinatezza al silenzio, anche per ambiti non strettamente mafiosi.

Infine, possiamo rilevare che la bella Sicilia, come lingua,  ha un siciliano occidentale, diviso tra area palermitana, trapanese e agrigentina; un siciliano centrale, diviso tra le aree nisseno-ennese, agrigentina orientale e delle Madonie e siciliano orientale, diviso in area siracusano-catanese, nord orientale, messinese e sud orientale.

Anche l’UNESCO riconosce al siciliano lo status di lingua madre, motivo per cui siamo descritti come bilingue.

Inoltre la lingua siciliana potrebbe essere ritenuta una lingua regionale o minoritaria ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che all’articolo 1 afferma che per “lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue … che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato“.

Bibliografia:  – web La Lingua Siciliana, le origini – Le origini della lingua Siciliana: l’avvincente storia di un popolo, di Giusi Patti Holmes

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