IL PENSIERO MEDITERRANEO

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MemORIA: cronaca di una tragedia nel Mar Egeo nel secondo conflitto mondiale – parte 1 di 4

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Foto in bianco e nero del piroscafo Oria

Piroscafo Oria

Di Salvatore Polimeno

Tra l’11 ed il 12 febbraio del 1944 il Piroscafo Oria si incagliava nei bassi fondali di fronte all’isola di Patroclo nel Mare Egeo presso il Capo Sunio a 25 miglia dal porto del Pireo di Atene ed affondava, portandosi a picco gli uomini a bordo.

Dei 42 Ufficiali, 188 Sottufficiali, 3885 Militari Internati Italiani, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e 22 marinai dell’equipaggio norvegese sarebbero sopravvissuti 21 italiani, 6 tedeschi ed un greco oltre ai 5 membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Bearne Rasmussen ed il primo ufficiale meccanico.

Foto in bianco e nero del piroscafo Oria
Piroscafo Oria (foto da internet 7seasvessels)

La Tragedia nel racconto di un sopravvissuto

“Dopo l’urto della nave contro lo scoglio venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un’ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c’era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l’acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all’asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell’acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto si inabissasse in fondo al mare.

Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso […]. Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più.

Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima”

(resoconto del naufragio del Piroscafo Oria del Sergente art. Giuseppe Guarisco in data 27 ottobre 1946).

disegno elementare del piroscafo
Schizzo del Piroscafo Oria nella ricostruzione del Serg. Giuseppe Guarisco

“Si è sentito un grande boato, poi, mentre ci chiedevamo cosa fosse, un sibilo lungo e cupo. Era buio, c’era molto vento e pioveva molto forte, il mare era mosso come non ho più visto da allora” (Yannis, figlio di un pescatore, 18 anni all’epoca, testimone da terra del naufragio: https://www.youtube.com/watch?v=zjPiLktirh4). 

I soccorsi

3 rimorchiatori italiani e 2 greci sarebbero salpati dal Pireo il giorno dopo cercando di trovare l’Oria.

Purtroppo solo uno – il Vulcano – sarebbe riuscito ad arrivare vicino al luogo del disastro, salvando un sopravvissuto e scoprendo che cinque italiani erano rimasti intrappolati vivi all’interno della sezione di prua capovolta.  Rischiando la vita, gli uomini dell’equipaggio del Vulcano avrebbero cercato di aprire un buco nello scafo ma il dispositivo portatile per l’ossigeno che stavano usando cadde in acqua. L’operazione di salvataggio sarebbe proseguita il giorno successivo quando, sul luogo, arrivò il secondo rimorchiatore Titano con un altro dispositivo ad ossigeno con cui si riuscì finalmente ad aprire un foro ed a liberare i cinque italiani in stato di choc.

Per il resto, alcuni dei sopravvissuti, pochissimi, erano riusciti a nuotare fino alla vicina spiaggia di Charakas.

Il giorno dopo l’affondamento, gli abitanti del villaggio vicino trovarono la spiaggia coperta di cadaveri che vennero inumati in un’enorme fossa comune dai tedeschi che procedettero a raccogliere solo i corpi dei propri soldati ed a portare con sé i pochi prigionieri ancora vivi. Giulio ed altri suoi compagni vennero caricati su un autocarro tedesco per fare un viaggio di qualche ora che li avrebbe portati ad un litorale. Avvicinandosi sempre più alla costa, Giulio si accorse che la baia era invasa da cadaveri (sia sulla spiaggia che in balia dei flutti). La moltitudine era tale che svenne, causa anche la sua giovane età. Ripresosi, le due guardie tedesche ordinarono di seppellire tutti i corpi in una fossa comune. Li fornirono di una scialuppa, guanti, badili e tabacco da masticare per mascherare il puzzo dei morti. La fossa non poteva esser scavata troppo in profondità, perché già dopo mezzo metro c’era uno strato di roccia imperforabile. Infine venne ricoperta, al meglio possibile, di sabbia, affinché la notte i rapaci non si cibassero dei resti. Le condizioni dei corpi, dopo giorni e giorni in acqua, erano terribili. Questo lavoro durò circa 2 mesi. Nel frattempo Giulio alloggiava in una palazzina assieme a 4 compagni e due guardie. Dopo i primi giorni di raccolta sul luogo, ci venivano fornite informazioni su dove si trovassero nuovi corpi giunti a riva a causa dell’alta marea. Alcuni di questi erano finiti su scogliere molto alte ma comunque dovevano essere recuperati. Dopo più d’un mese le condizioni dei cadaveri erano indescrivibili. L’ultima segnalazione fu di un cadavere trovato a molti chilometri di distanza dalla baia. Venne seppellito sul posto. Terminata la fossa comune, venne fatta mettere su di essa una cornice di sassi a forma di stemma fascista, vennero piantati dei fiori di campo e fu fatto scrivere (sempre coi sassi) DUX, in quanto si doveva dare l’idea che essi fossero morti per difendere il fascismo; ma la realtà era ben diversa: erano morti per sfuggire al fascismo, infatti tutti i passeggeri erano considerati Badogliani, sovversivi per non aver aderito alla Repubblica di Salò

(Giulio Antoniacci, marconista del 148° reggimento Genieri di stanza a Rodi presso il palazzo del governatore in qualità di telegrafista, dopo il rientro ad Atene venne caricato su un treno con destinazione Germania[1]).

Monumento ai Caduti Oltremare 1940-1945
Monumento ai Caduti Oltremare di Bari 1940-1945 (Foto S. Polimeno)

Li, sul posto, per molti mesi avrebbero continuato ad emergere ancora i corpi degli internati italiani che avrebbero trovato sepoltura nei cimiteri della zona prima ed in quelli delle coste pugliesi dopo che nostri connazionali avevano provveduto a recuperare le spoglie tra il 1960 ed il 1965 prima di giungere nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari dove giacciono oggi.

I sacrari del Mare

Li tra quegli scogli però rimangono ancora i tanti resti di nostri giovani connazionali che riposano insieme ai circa 15.000 commilitoni “Internati militari” che consumarono il loro destino nei vari luoghi di naufragio del Mare Egeo che oggi vengono considerati, secondo la Convenzione dell’UNESCO, “Sacrari del Mare” in quanto custodi perenni di chi vi è sepolto ed ivi riposa. Di molte delle navi affondate peraltro non sono stati ancora ritrovati gli elenchi delle persone imbarcate e spesso le testimonianze, qualora esistenti, risultano contradditorie e farraginose.

Immagine dei luoghi di affondamento delle navi nel Mar Egeo
Navi affondate nel Mar Egeo con a bordo Internati Militari italiani

L’elenco che qui si riporta non è da considerare ufficiale in quanto non si hanno riscontri certi per alcune delle unità indicate, come nel caso della Motonave Palma affondata il 27 novembre 1944, partita da Lero con 1.100 persone a bordo o degli A.A. Kal 89 e C.SA 38 tedeschi affondati a Scarpanto, ma è sicuramente indicativo dell’immane tragedia che si è consumata in quei mesi infausti nel Mare Egeo. Il piroscafo Oria è uno di questi e rientra drammaticamente nel novero di quelli affondati con a bordo internati italiani tra l’8 Settembre 1943 e l’11 Maggio 1945, “epoca dell’occupazione del possedimento italiano dell’Egeo da parte delle Forze Armate britanniche.

NAVI AFFONDATE IN GRECIA CON PRIGIONIERI ITALIANI IMBARCATI

(fonte Stato Maggiore della Difesa: https://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/GreciaMonumentoCadutiPiroscafoOria.aspx)

NAVEDATALUOGODeceduti ITALIANIAltri Dec.tiSUPERSTITI
Gaetano Donizetti23 09 1943Rodi: Affondato da Nave Eclipse della Royal Navy1.796 oppure 1835220 
Ardena27 09 1943Cefalonia: Affondata su una mina nella baia di Argostoli779 120 italiani 60 tedeschi
Mario Roselli11 10 1943Corfù baia per bombardamento RAF1.302 4200 italiani
Maria Amalia
 (ex Marguerita)
13 10 1943Cefalonia: affondata nei pressi di Argostoli dal sommergibile inglese UNRULY oppure dal TROOPER, piu’ sicuro su un campo minato544 361 italiani 5 tedeschi
Sinfra
 (nave francese)
20 10 1943Creta2.098  
A.A. Kal 8911 1943Scarpanto300  
C.SA 3811 1943Scarpanto300  
Alma6 1 1944Corfu100-300  
Leda (4572 GRT/43) (Ex Leopardi)2 2 1944Egeo: affondata a largo dell’isola di Amorgos  da aerei RAF sulla rotta Samos Keraklion780  
Petrella
(nave tedesca)
 
8 2 1944Creta : affondata al largo della Baia di Suda Creta dal sommergibile inglese SPORTSMAN2.670  
Oria
(piroscafo norvegese)
12 2 1944Capo Sounion: naufragio sullo Scoglio di Patroclo4.074 21 italiani 6 tedeschi 1 greco
Sifnos4 3 1944Creta/Suda a Milo59 31 italiani
Tanais
(nave tedesca)
9 6 1944Creta70265 ebrei
greci
tedeschi
 
Motonave Palma27 11 1944Lero1.100  
   14.498 (14.737)  

Pensavo a questo guardando l’orizzonte al di là delle coste del Salento così tanto osannate dalla moltitudine festosa e vociante dei tanti turisti che le hanno scelte per le loro vacanze in questa fine della seconda estate pandemica: lontano l’eco dei barconi provenienti dalla Libia, ancora più lontano quello proveniente dal Medio Oriente, da quell’Afghanistan assurto agli onori delle cronache ferragostane, quasi a ricordarci le innumerevoli vicissitudini dell’umano vivere che popola questo nostro pianeta e che, nostro malgrado, ci appartiene.

Foto del 1944 in bianco e nero con uomini italiani nel Mar Egeo
Estate 1944 italiani nel Mar Egeo (foto dalla rete)

Pensavo, dicevo, all’affondamento del Piroscafo Oria nel Febbraio del 1944 nel tratto di costa prospiciente l’isolotto di Patroclo nei pressi di Capo Sunio nel Mare Egeo.

Foto a colori con resti archeologi e colonne, mare sullo sfondo e isole
Capo Sunio nel Mar Egeo (Foto Creative Common Attribution)

Su di esso si trovano, in posizione suggestiva, i resti di un tempio greco dedicato a Poseidone e di un secondo tempio dedicato ad Atena, di cui sono però conservate solo le fondamenta. Secondo il mito, ripreso nell’Odissea, questo infatti sarebbe stato il luogo dal quale Egeo, re di Atene, si sarebbe gettato nel mare al quale sarebbe stato dato il suo nome ed il luogo dove sarebbero stati tenuti i funerali del nocchiero della nave di Menelao, morto nel doppiarlo. Quanto al tempio di Poseidone lo stesso era un periptero dorico esastilo (con sei colonne sulla facciata): delle 42 colonne originarie ne restano tuttora in piedi 18.


[1]     Fonte Stato Maggiore Difesa: https://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Documents/2014/Storia_di_uno_dei_superstiti.pdf

Elenco dei Dispersi Pugliesi – stralcio- dall’elenco completo elaborato dal sig. Antonio Caprio e pubblicato sul gruppo Facebook “Dispersi della II Guerra Mondiale: il Piroscafo Oria 11/02/1944”

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