IL PENSIERO MEDITERRANEO

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pace

pace

di Cipriano Gentilino

Se vuoi la pace lavora per la pace è un modo di dire che sostituisce quello originario e più antico di si vis pacem para bellum come a dire che se vuoi la pace armati e prepara o fai la guerra.

Quest’ultimo modo meno pacifico di preparare la pace ha origine nella filosofia imperiale di Roma antica che necessitava di una stabilizzazione dell’impero facendo anche ricorso alla forza con i popoli conquistati o da conquistare.

Pur dando però l’impressione di una politica solo guerrafondaia rappresentò un miglioramento della fase dell’espansione ellenica che conobbe invece rari periodi di pace.

Sembra ora di assistere alle discussioni politiche strategiche sulla attuale guerra in Ucraina mentre si dibatte tra tesi pacifiste più teoriche e possibiliste e tesi più legate alla pace frutto di nuovi equilibri tra forze.

Fermo restando l’assunto che la pace è un obiettivo che ognuno di noi desidera raggiungere nel più breve tempo possibile si può tentare di dare una lettura più complessa e complessiva della pace nella interezza dei suoi aspetti individuali, familiari e sociali.

Preparare la pace, infatti, significa conoscerne quegli elementi costitutivi che sono simili sia nei piccolo teatro del  nostro io che negli altri teatri sociali via via più complessi.

La pace presuppone un elemento  fondamentale e cioè  che ogni individuo e ogni struttura sociale, prima ancora di essere in pace con gli altri, siano in pace con e tra loro stessi.

La pace quindi tra l’individuale e il collettivo, tra cura d’anima e visione del mondo.

Di questa speculare intrinseca relazione tra l’io e il noi ci occupiamo oggi e lo facciamo a partire dai significati lessicali.

Dal punto di vista etimologico la parola pace ha origine dalla radice sanscrita pak- o pag- = pattuire, legare, unire, che ritroviamo nel latino pax = pace.

In questo senso la pace è condizione di concordia e di unione che può legare individui, famiglie, gruppi e popoli.

In greco antico invece una delle parole  che più si avvicinano al concetto di pace è εἰρήνη  [-ης, ἡ], ( eirènè ) sostantivo femminile dorico che indica il tempo della quiete e della calma, non essendo stata allora ancora sviluppata la filosofia politica del patto cui consegue la pace, come poi avvenne con l’impero romano.

Il pak sanscrito è dunque un legame formalizzato in un patto più o meno rituale e più o meno stringente e la cui trasgressione è più o meno punibile e sanzionatile.

Il pak quindi, per conseguenza logica, è dinamico, possibile, modificabile, adattabile o per meglio dire, difficilmente costringibile entro limiti rigidi, rigorosi e netti.

Perché rigido, rigoroso e netto non sono aggettivi adattabili con sicurezza definitiva al divenire della natura e della natura umana .

Un esempio, talora con effetti drammatici, è dato dal nostro super-io, che quando non sufficientemente armonizzato con le pulsione inconsce e con l’adeguamento dell’io  al reale, diventa rigido, rigoroso e gravemente colpevolizzante al punto che può essere definito il peggior giudice tra i giudici.

Un giudice con il quale è salutare imparare a stabilire patti almeno  temporanei di non belligeranza pena la difficoltà a raggiungere la possibilità di una pace la più duratura possibile.

Una pace interiore che ciascuno di noi tende a trovare e mantenere e che nell’odierno caos, frettolosità e superficialità delle relazioni abbiamo difficoltà a raggiungere perché spesso manca lo spazio/tempo della buona solitudine e, come puntualizzato da psicologi e sociologi, manca il silenzio, il ri-trovarsi in silenzio dopo averlo creato in noi stessi.

Quel silenzio che ci permette di sentire il nostro corpo nella sua dimensione interiore e le nostre emozioni in uno aprirsi e sciogliersi

con la libertà autentica di essere noi stessi mentre accettiamo di venire a patti ( pak ) con i nostri conflitti interiori con la prospettiva positiva di risolverli per il nostro stesso benessere e per il bene-essere nella relazione con l’altro da noi .

Ma trovare un spazio/tempo per se stessi non è molto facile.

È necessario inizialmente delimitare – ottenere  e fare rispettare uno spazio e un tempo specifici che siano il più possibile fuori da condizionamenti preformati dal ruolo, dall’apparire, e dalle consuetudini sociali e  culturali.

Non è semplice perché si tratta di mettere in moto un cambiamento complesso che può prevedere il superamento di patti non sempre pattuiti, di legami apparentemente tranquillizzanti ma che non lasciano liberi di ri-vedersi e ri-nascere.

Patti e legami non solo esterni a noi ma sono anche e principalmente interni e il loro superamento è spesso causa di sensi di colpa e di iniziale sensazione di inadeguatezza e scarsa capacità.

Talora un aiuto psicologico è utile anche solo per apprendere tecniche e modalità di stare con noi stessi nel nostro spazio/tempo di libertà e pace costruttiva del sé.

E’ possibile infatti utilizzare tecniche di rilassamento o di meditazione come, per esempio, il training autogeno, l’auto-ipnosi, l’approccio buddista zen o lo yoga-zen o qualunque altro rito personale che ci permetta di ritrovarci in una dimensione nella quale ci riconosciamo appartenti a noi stessi, al nostro respiro, al corpo e  alla vita in una libertà vera.

Se la pace è una pace vera sarà una pace in evoluzione e quindi con nodi da sciogliere e pak da superare con una elaborazione continua tanto consapevole da riuscire a evitare il più possibile la crisi, l’ansia, l’insoddisfazione, il senso di colpa.

Una pace quindi che tenga conto di tre aspetti:

  • l’elaborazione e le necessarie energie
  • la preparazione alla lotta eventuale
  • la verità con se stessi .

Una verità che non deve avere le caratteristiche della fuga anarchica o della ipocriticità euforica ma che deve essere il risultato di un equilibrio raggiunto dall’io tra le funzioni super-egoiche e quelle istintuali.

Solo così la censura non è divieto e le forze super-eroiche non diventano dittatura e tirannia.

Una verità che è quindi libertà e presupposto essenziale per la pace .

Cipriano Gentilino


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