IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Storia di un tortuoso cammino delle banche italiane

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manifesto pubblicitario

di Elena Tempestini

Sono state settimane cruciali quelle che hanno caratterizzato questa primavera 2018, durante le quali il presidente della Repubblica Italiana, ha subito subdoli attacchi per aver difeso la Costituzione nell’interesse della comunità nazionale, e applicato l’art.92 della Costituzione, svolgendo un ruolo di garanzia a tutela di un paese che non può permettersi di subire un collasso finanziario e subire imposizioni.

La difesa del risparmio degli italiani è un principio della Costituzione, e la sua tutela fa parte dei doveri del presidente della Repubblica. Ogni scelta, anche la più ostica, può essere criticata, ma mai si deve permettere di mettere in discussione la legittimità di un Presidente che esercita le prerogative che gli sono state assegnate.

La sovranità che appartiene al popolo, come ci ricorda l’art 1 della Costituzione, è esercitata nei limiti e nelle forme della Costituzione stessa. il Financial Time concorda con la profezia dell’economista e premio Nobel, Krugman, il quale si è espresso sul suo account twitter asserendo che “il prossimo governo possa essere una minaccia per l’ordine liberale, paragonabile al “trumpismo”, e che la gente non sia abbastanza preoccupata per la situazione italiana”.

Paul Robin Krugman, Premio Nobel per l’Economia 2008 (Fonte: Wikipedia)

Scrivere e raccontare le improvvise accelerazioni delle scienze economiche e finanziarie alle quali assistiamo, non è facile, le teorie economiche si sono dimostrate troppo spesso deboli davanti alla potenza di gruppi finanziari che determinano le politiche pubbliche che hanno generato un sistema sociale ed economico molto fragile, che non accompagna l’uomo verso il benessere, bensì lo inghiotte nella bulimia del consumismo. Dobbiamo chiederci il perché, dopo secoli di sconfitte e vittorie per il miglioramento delle politiche sociali, si sia creata una società che ci spinge a trovare benessere e felicità nell’arricchimento materiale a discapito di qualsiasi altra aspirazione.

La crisi finanziaria di oggi ha radici profonde che vanno oltre la “comprensione tecnica”, esse affondano nella dimensione umana, nell’assenza di pensiero di milioni di individui che inconsciamente sono indottrinati verso un eccessivo indebitamento che ha reso ciò che doveva essere un mezzo per vivere la vita, a divenire lo scopo della vita stessa, ciò che doveva servire all’uomo, è divenuto l’asservimento autoreferenziale del sistema, una crescita economica che si alimenta del suo potere distruttivo.

Ma se continueremo a distruggere l’essere umano, nella sua singolarità, nella sua dignità e nella sua anima, per chi costruiremo il futuro? 

La globalizzazione finanziaria ha liquidato il concetto di tempo, creando un presente continuo di consumi, una ricchezza apparente e per questo motivo, sempre più assente di etica. Quando parliamo di storia degli investimenti finanziari, di crisi bancarie, la nostra memoria sembra non ricordare. Da sempre i periodi storici ci rammentano che tutto si è già manifestato precedentemente, anche quando non ce ne accorgiamo, perché gli eventi si presentano quasi sempre con strumenti differenti.

Stiamo assistendo ad una mancanza di valori etici, ad una confusione della verità, c’è una percezione di oppressione a tutti i livelli, ed ovviamente in quella politica e finanziaria la società si rispecchia e converge con tutto il suo malessere. L’economia dovrebbe essere solo una piccola parte della dimensione umana, quella al servizio dell’uomo libero, e non l’unico valore della società.

La storia di quasi tutte le tipologie di banche istituzionali, hanno subito l’avventurismo di banchieri che non hanno saputo gestire situazioni legate a fasi cicliche di recessione economica. Una crisi di sistema, che lede la fiducia dell’investitore, del cittadino e dell’essere umano al quale viene tolta la dignità economica.

Non ci sono calcoli matematici in grado di prevedere le crisi bancarie, perché esse sono parte del sistema capitalistico creatore, il quale non ha come figura di tutela i singoli risparmiatori, ma le grandi imprese a loro debitrici, le quali saranno a loro volta risanate con dei soldi pubblici con i quali ripagheranno i debiti contratti con le banche. Un ciclo perverso che evidenzia un sistema politico fallimentare che non abbiamo imparato a comprendere.

Alla fine dell’ottocento le banche Italiane operavano secondo il modello della banca mista, fu con l’avvento della grande crisi edilizia che il sistema finanziario fu completamente sconvolto, tanto da assistere al fallimento di ben quattro banche.

Per risanare la delicata situazione capitalistica italiana, nacque la Banca d’Italia, atta al riordino di un sistema obsoleto che generò nuove banche a carattere misto. Le due grandi banche, la Commerciale Italiana e il Credito Italiano, furono fondate entrambe con capitali esteri, principalmente capitali tedeschi, e questo sarà bene ricordarlo per comprendere lo svolgimento successivo della causa/effetto che ci accompagna da molti decenni.

Banca d’Italia

Con lo scoppio della prima guerra mondiale si poneva l’urgente necessità di poter contare su una grande e solida banca ma che non fosse legata alla Germania. Il primo conflitto mirava alla ridistribuzione del grande capitale industriale e finanziario mondiale. Si stava creando un perfetto alibi di indirizzo politico sociale per contendersi la ricchezza globale. L’Italia era l’anello debole di questo progetto, un regno nato da poco tempo, giovane e inesperto, un territorio voluto fortemente dalle potenze straniere per un totale dominio egemonico, politico e finanziario sull’Europa e sul Mediterraneo, una volontà internazionale per creare un’unità nazionale europea di second’ordine, un regno che non aveva e non avrebbe dovuto avere una sua sovranità petrolifera, finanziaria e industriale, e come tale diveniva un pericolo da eliminare.

All’Italia serviva una banca solida per il finanziamento della nascente industria, a servizio delle operazioni straordinarie, una solida banca d’affari.

Manifesto pubblicitario del 1917 (Fonte: Wikipedia)

Il primo passo fu compiuto nel 1914 con la fondazione della Banca Italiana di Sconto, nata dalla fusione tra la Società Bancaria Italiana e la Società Italiana di Credito Provinciale con la partecipazione di capitali francesi. Un asse Parigi – Roma si stava affacciando sullo scenario politico, tanto che il governo Salandra, nella figura del ministro Orlando, dette un aiuto con un disegno di legge che facilitava l’unione tra gli istituti di credito, apportando modifiche al Codice di Commercio, cavilli che tutelavano i capitali industriali italiani dalle ingerenze straniere.

Fu proprio questo l’inizio che portò la Banca Commerciale a minare le azioni detenute dalla Banca Dreyfus per indebolire la nascente concorrente Banca di Sconto. Presidente della nuova grande “banca mista” era Guglielmo Marconi, il quale era molto ben visto in ambienti statunitensi, l’amministratore delegato, Angelo Pogliani.

Gli interessi rappresentati dal consiglio di amministrazione erano molto potenti, tanto che la Banca Italiana di sconto, la BIS, fu ribattezzata dai suoi clienti, Banca Italianissima, legandosi alle industrie di tutti i settori e in special modo al gruppo Ansaldo.

Il gruppo genovese desiderava realizzare un sistema verticale integrato di finanza, un sistema che comprendesse tutti gli anelli del sistema industriale, dalle società di navigazione alle miniere, contendendo il ruolo alla già potente Fiat.

Il clima di guerra favoriva le commesse belliche, alimentava la nascita di nuove succursali delle banche e creava un clima di tensione molto forte nel settore bancario, tanto da portare l’italianissima di Pogliani, fagocitata dall’Ansaldo a cercare di impadronirsi della solida Comit.

Il desiderio di affermarsi, quale Banca internazionale, fece si che Pogliani, già console di Romania a Roma, costituisse l’Italian Discount and Trust company di New York, la Banca per l’Africa Orientale di Asmara, la Banca Dalmata di Sconto di Zara, una rete che avrebbe aperto successivamente molte falle.

La crisi industriale con la fine della guerra, era sempre più grave, la riconversione industriale stentava a riprendere, l’eccesso di capacità produttiva rispetto alle esigenze nel periodo di pace era evidente, la crisi dell’Ansaldo prosciugava la liquidità della Banca controllante. L’aggravante fu l’avocazione allo Stato dei sovrapprofitti di guerra e la nominatività dei titoli da parte del governo Giolitti, facevano accentuare ribassi al sistema finanziario sempre in cerca di denaro liquido da immettere nel circuito.

La storia sappiamo bene come sia ciclica nel ripresentare il comun denominatore degli eventi, e anche in questo caso come nella metà del 1400 con le banche dei Medici, fu fatale l’idea megalomane di espansionismo, aprendo filiali anche in luoghi sperduti ed accentrando un potere decisionale sui principali fidi.

Bonaldo Stringher (Fonte: Wikipedia)

Le preoccupazioni della banca d’Italia non tardarono a farsi sentire nella persona del suo direttore Bonaldo Stringher, il quale venne rassicurato che la Banca Italianissima non avrebbe intaccato il suo capitale. Nel giro di poco tempo la situazione precipitò tanto da richiedere un salvataggio da parte di un consorzio interbancario appositamente costituito, che creò un’ondata di panico borsistico che si tradusse in immediati ritiri dei depositi. Pogliani utilizzò parte del denaro ricevuto dal consorzio per sostenere il titolo in borsa, e i suoi detrattori ne approfittarono per dargli il colpo di grazia scatenando le paure dei risparmiatori.

Il fallimento della banca era quasi inevitabile, e per fare in modo che ciò non accadesse intervenne il decreto legge del 28 dicembre 1921, che ripristinava l’istituto della moratoria. Ma il decreto non salvò gli amministratori della Banca Italianissima dalle conseguenze penali, chiamati a rispondere di illecito, aggiotaggio e bancarotta. La presenza di molti senatori nell’amministrazione, fece si che il procedimento fosse affidato non alla magistratura ordinaria, bensì al Senato riunito in qualità di Alta Corte di giustizia, di fronte alla quale, solo alcuni vennero processati e quasi subito scagionati, grazie a una perizia che li sollevava dal falso in bilancio e garantendo la solvibilità dell’Ansaldo e della Banca Italianissima.

La liquidazione fu gestita da una banca creata appositamente, per la situazione, la Banca Nazionale di Credito, che nel 1930 fu assorbita dal Credito Italiano.

Palazzo del Credito Italiano, Milano

Ancora una volta la lettura della storia ci dimostra che inconsapevolmente l’uomo si indebita con il futuro  per pagare i debiti con il passato, convinto che il suo bene sia insito nella sua “razionalità” atta a tenere sotto controllo la vita stessa, un dominio della ragione che annienta il senso della socialità che supporta l’esistenza umana.

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