IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Alfredo Fallica ed i convegni a Palermo su Nietzsche 1976 – 2001, con Antologia di Scritti ed Interventi di Fallica

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copertina del volume

di Giovanni Teresi

“A dieci anni della scomparsa dello studioso palermitano Alfredo Fallica, docente di Filosofia, educatore, autore di saggi e collaboratore di quotidiani e periodici, nonché ideatore e organizzatore dei fondamentali Convegni palermitani sullo “scriba del caos”, la monografia dei convegni su Nietzsche – 1976 – 2001, ha l’obbiettivo di introdurre ed esplicitare in necessaria sintesi l’Opera di Fallica cercando di perseguire una organicità ed evidenziare la sua testimonianza fatta di pochi che rimangono un patrimonio che va rivendicato come esemplare …” (Dalla Prefazione del Prof. Tommaso Romano)

copertina del volume

Ancora al tempo di Nietzsche dominava, nell’ambiente dei filologi classici, l’immagine di un mondo greco unitario e intrinsecamente armonico. Si riteneva cioè che la storia dei Greci rappresentasse l’evoluzione di un atteggiamento spirituale costante, caratterizzato dalla serenità, dall’armonia, e dal senso dell’equilibrio; e che tale atteggiamento trovasse espressione in tutti gli aspetti della vita per tutto l’arco della vicenda storica di quel popolo. Il mondo greco, insomma, appariva, per usare il linguaggio di Nietzsche, la manifestazione di uno spirito apollineo. Ma, osserva Nietzsche, questo è solo un aspetto della cultura e della vita dei Greci antichi; infatti accanto a quello apollineo è presente anche uno spirito dionisiaco, un atteggiamento cioè di «rottura» di tutti i canoni morali e di tutti gli «schemi» di comportamento sociale, un atteggiamento di esaltazione sfrenata della vita in tutte le sue forme; esaltazione celebrata col trionfo degli istinti, specialmente di quello sessuale, e vissuta in una dimensione psicologica di ebbrezza. Accanto alla religione olimpica, espressione dello spirito apollineo, era ben viva infatti quella religiosità che ebbe i suoi momenti più significativi nelle feste dionisiache, dominate dalla danza orgiastica. Accanto alla scultura e all’architettura, espressioni artistiche prevalenti dello spirito apollineo, trovarono il loro posto anche la musica e la poesia lirica, frutti propri dello spirito dionisiaco. Se si tiene conto di questo duplice aspetto dello «spirito greco», allora la storia dei Greci appare distinguibile in tre fasi: la prima, quella «pre-socratica», in cui spirito apollineo e spirito dionisiaco convivono separati e opposti tra loro; la seconda, quella dei grandi tragici, in cui essi si armonizzano dando vita alle grandi opere dell’arte antica; la terza, che ha inizio con Euripide e con Socrate, in cui lo spirito apollineo assoggetta progressivamente quello dionisiaco, fino a separarsene completamente con l’epoca alessandrina. Dice infatti Nietzsche:

Avremo fatto un grande acquisto alla scienza estetica, quando saremo giunti non solo al concetto logico, ma anche all’immediata certezza dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla dicotomia dell’apollineo e del dionisiaco, nel modo medesimo come la generazione viene dalla dualità dei sessi in continua contesa fra loro e in riconciliazione meramente periodica.
Questi vocaboli li prendiamo a prestito dai greci… Sulle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, è fondata la nostra teoria che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, enorme per l’origine e per il fine, tra l’arte figurativa, quella di Apollo, e l’arte non figurativa della musica, che è propriamente quella di Dioniso … la comune parola «arte» risolve solo in apparenza; fino a quando, in virtù di un miracolo metafisico della «volontà» ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l’uno con l’altro, e in questo accoppiamento finale generano l’opera d’arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che è la tragedia attica.
(La nascita della tragedia – Nietzsche, 1872)

“Il tema Nietzsche e il dionisiaco, compendio di tutta la sua filosofia, è stato quasi sempre trattato con pochissimi riferimenti alla sua vita e senza alcun riferimento alla vita di ognuno di noi. …Non è possibile spiegare che cosa è il diosiniaco. È indefinibile. Per percepirlo ci vuole una specie di sesto senso. È uno stato d’animo melanconico-tragico con sentimenti ambivalenti, sorretto dalla volontà di potenza e legato all’amor fati. Il dionisiaco è qualcosa di più e di diverso dalla libido freudiana. Scaturisce dall’inconscio. È l’inconscio coscio, il sentimento dell’inconscio. La posizione dionisiaca verso l’esistenza è per Nietzsche lo stato più alto che un filosofo possa raggiungere. Dionisiaco è l’uomo profondo nella superficie. È l’uomo che supera gli ostacolo. È l’uomo che comprende tutto e tutti. È l’eterno ritorno. Dionisiaco è colui che smaschera tutte le falsità presenti nelle cose”. (L’Amicizia Dionisiaca. Come vincere l’invidia – Alfredo Fallica)

Il fascino dionisiaco non ripristina solamente i vincoli tra uomo e uomo: anche la natura, straniera o ostica o soggiogata, celebra la festa di riconciliazione col suo figliuol prodigo, l’uomo. La terra getta di buon grado i suoi doni, e le belve rapaci delle rupi e dei deserti si avvicinano in pace… Ecco che lo schiavo è libero, ecco che tutti infrangono le rigide, nemiche barriere, che il bisogno, l’arbitrio o «la moda insolente» hanno piantato tra gli uomini. Ecco che nel vangelo dell’armonia universale ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma si sente fatto uno con lui, quasi che il velo di Maia fosse squarciato.

Apollo e Dioniso sono rispettivamente i simboli dello stato del sogno e di quello dell’ebbrezza.

Nell’arte e nella vita come «sogno» l’uomo immagina in forma sublime, produce «forme» affascinanti, maestose e luminose; egli attinge una «più alta verità» «in contrapposizione alla comune realtà»; per cui grazie al suo mondo fantastico «la vita diviene tollerabile e meritevole di essere vissuta»; l’uomo cammina nel mondo con «quel senso adeguato del limite, quella immunità dalle commozioni sfrenate, quella sapiente pacatezza del dio delle forme» che gli consentono di sedere «tranquillo, in mezzo ad un mondo pieno di tormenti».

Nella vita e nell’arte come «ebbrezza», invece, l’uomo non si «distacca» spiritualmente dalla vita, ma vi si immerge; si abbandona ad essa lasciandosi trascinare dalla sua forza e tenendo così ben saldi i legami con la natura e con gli altri uomini.” (La nascita della tragedia – Nietzsche, 1872)

Con l’affermarsi della filosofia decresce e si depaupera, nella cultura e nella vita greche, lo spirito dionisiaco; Socrate propone infatti l’assoggettamento dell’istinto, della passione, alla guida della ragione. Con ciò ha inizio quella scissione interna all’uomo tra ragione e istinto e quella tra uomo e natura; scissioni che domineranno nell’epoca alessandrina e che costituiranno il triste retaggio della civiltà occidentale. L’ideale dell’uomo così non è la vita ma la scienza; l’uomo perde i contatti con la forza vitale della natura, che poi è la sua essenza propria, e si chiude orgoglioso in se stesso, fiducioso della sua capacità conoscitiva; ossia si chiude nella sua presunzione di rivelare con la scienza gli enigmi del reale.

Socrate e Platone hanno introdotto nella storia della filosofia una forma di ragionamento basata sulla falsa morale. Hanno tolto ogni valore agli istinti, ai sensi, ai sentimenti, alle emozioni, all’intuito. Socrate fece della ragione un tiranno. La razionalità ai tempi di Socrate fu considerata la salvatrice. Essere razionali divenne un obbligo, una necessità, un rimedio, non c’era alternativa. La vera ragione, la recta ratio, che si fonda sull’etica, era completamente ignorata. Nel Fedone Platone ci fa sapere come Socrate si era stancato delle indagini sulle cose per rivolgersi ai discorsi. Socrate è un logocentrico, privilegia il pensiero, disprezza i sensi, disprezza il corpo.” (L’importanza di darsi torto ma Socrate voleva sempre ragione – A. Fallica)

“L’uomo che si abbandona alla contemplazione storica di fronte al presente «non vede ciò che anche il bambino vede, non sente ciò che anche il bambino sente»:

È naturale: egli ha corrotto e perduto il proprio istinto, ed ora non può più… rilassare le redini quando l’intelletto vacilla e la sua via attraversa il deserto. Così l’individuo si sgomenta, diviene timido e incerto, non crede più nelle proprie forze: ripiega in se stesso, nell’intimità del proprio animo, e cioè nel vuoto caotico del dato appreso che non può agire esteriorizzandosi, della dottrina che non diventa vita… La soppressione degli istinti per mezzo della storia ha reso gli uomini pure astrazioni ed ombre: nessuno osa più esporre la propria personalità, ma ciascuno prende la maschera di un uomo colto, di dotto, di poeta, di uomo politico. Se esaminiamo poi quelle maschere… ci troviamo improvvisamente fra le mani soltanto stracci e cenci variopinti.” …

“Segno tipico della prevaricazione della scienza sulla vita è la «cultura storica». Guardandosi indietro, ripercorrendo col pensiero il corso storico dell’umanità, l’uomo corre il rischio di appagarsi nella individuazione in esso di un disegno provvidenziale, di una prospettiva di progresso, di una costanza di valori; cioè rischia di appagarsi di falsità. E di falsità pericolose, perché distolgono l’uomo dal presente, gli spengono l’esigenza di proiettarsi nel futuro. È inevitabile infatti che la «contemplazione» storica estingua l’«azione», che la ragione metta a riposo i sentimenti e le passioni, da cui soltanto invece nasce la creazione del futuro. Lo studio della storia, insomma, «infiacchisce gli spiriti», li svuota dell’energia vitale”.(Considerazioni sulla storia – Nietzsche)

“La saturazione di cultura storica mi pare ostile e pericolosa per la vita di un’epoca sotto cinque aspetti: un tale eccesso genera il contrasto tra interiore ed esteriore, e le ragioni per cui si indebolisce la personalità; per questo eccesso un’epoca cade nella illusione di possedere in grado maggiore che tutte le altre la virtù più rara, la giustizia. Essa intorbida gli istinti ed impedisce al singolo non meno che alla massa di giungere alla maturità; fa prosperare la credenza, sempre dannosa, nella vecchiaia del genere umano, la credenza di essere dei tardivi, degli epigoni. Porta un’epoca al pericoloso stato d’animo di ironia verso se stessi, e da questo a quello ancora più pericoloso del cinismo: ma insieme matura una prassi accorta ed egoistica, che paralizza e infine distrugge le forze vitali. (Considerazioni sulla storia – Nietzsche)

“Fra gli insegnamenti di Nietzsche, due mi sembrano abbastanza importanti perché conservino durevole influenza: 1) La vita non può aver torto; ogni etica, ogni religione che rinnega la vita, è falsa? 2) La società umana dev’essere retta dagli individui superiori. Si può osservare che questi precetti non sono nuovi ma Nietzsche ne ha elevate notevolissimamente il valore imprimendo loro un augello del suo genio. Nel resto egli è un grande agitatore di problemi, ricco di vedute particolari, ardite e geniali; un potente destatore di energia dello spirito, e questo basta a spiegare l’enorme fascino ch’egli esercita ed eserciterà ancora sugli animi avidi di sperimentare con gli ideali” (Le idee fondamentali di Fed. Nietzsche – Francesco Orestano).

Ed ancora sulle idee della cultura storica:

“L’uomo che si abbandona alla contemplazione storica di fronte al presente «non vede ciò che anche il bambino vede, non sente ciò che anche il bambino sente»:

È naturale: egli ha corrotto e perduto il proprio istinto, ed ora non può più… rilassare le redini quando l’intelletto vacilla e la sua via attraversa il deserto. Così l’individuo si sgomenta, diviene timido e incerto, non crede più nelle proprie forze: ripiega in se stesso, nell’intimità del proprio animo, e cioè nel vuoto caotico del dato appreso che non può agire esteriorizzandosi, della dottrina che non diventa vita… La soppressione degli istinti per mezzo della storia ha reso gli uomini pure astrazioni ed ombre: nessuno osa più esporre la propria personalità, ma ciascuno prende la maschera di un uomo colto, di dotto, di poeta, di uomo politico. Se esaminiamo poi quelle maschere… ci troviamo improvvisamente fra le mani soltanto stracci e cenci variopinti. (Considerazioni sulla storia – Nietzsche)

Questa dunque è la condizione dell’uomo moderno. Ma lo spirito dionisiaco ribolle; esso tende a riemergere; come mostra la filosofia di Schopenhauer, il quale ha restituito alla vita i suoi caratteri propri, riscoprendo l’irrazionalità del reale, la relatività e la vacuità dei valori tradizionali; e come indica la musica di Wagner, in cui viene celebrata la condizione tragica dell’uomo. Schopenhauer e Wagner hanno smascherato millenni di imposture sulla realtà, sulla vita dell’individuo, sulla società e sulla storia, costruite dallo spirito «scientifico» della civiltà occidentale, che ha inibito per secoli la varietà, la diversità, la ricchezza, la forza dello spirito dionisiaco.

Di fronte allo spettacolo tragico, presentato da Schopenhauer, di un universo attraversato da una forza prepotente che semina lotte, distruzioni e morte, per Nietzsche – che riconosce autentica questa visione – non restano all’uomo che due modi possibili di esistenza, opposti tra loro:

  • disconoscere questo mondo, dichiarare la propria estraneità di fronte ad esso, o rifiutandolo con l’ascetismo, o accettandolo con rassegnazione, in virtù dell’assunzione di ideali etico-religiosi del tipo di quelli cristiani, oppure ancora astraendosi in arbitrarie costruzioni filosofiche, che, sì, portano l’uomo fuori dal frastuono del mondo ma, al tempo stesso, lo rendono «esangue»;
  • «leggere» in modo diverso questo mondo e la sua stessa forza distruttiva, riconoscendo in essa la forza vitale che proprio attraverso la distruzione crea vita, che attraverso la lotta genera armonia, che attraverso il dolore produce la felicità; e adeguare il comportamento individuale a questo modo diverso d’intendere la realtà.

“La difficoltà per gli uomini sta nell’urgenza del nuovo e nel porsi un nuovo fine: e costerà una fatica indicibile cambiare con una idea fondamentale le idee fondamentali del nostro sistema educativo attuale, che ha le sue radici nel Medioevo, e che si pone come fine della perfetta cultura proprio lo scienziato medievale” (Schopenhauer come educatore . cit. p. 430 – F. Nietzsche)

Schopenhauer ha colto che l’universo è dominato dalla volontà di potenza; ma di fronte a questa forza infrenabile è rimasto atterrito, e il suo spirito filosofico non ha saputo fare altro che teorizzare l’ascetismo. Bisogna invece gettarsi dentro la vita, liberando in se stessi quella volontà di vivere, quella volontà di «potere», da ogni limite e condizionamento. L’uomo nuovo deve essere «dionisiaco», deve vivere al modo di Dioniso, il dio che ride canta e balla abbandonandosi alla gioia di vivere e esaltando in sé l’energia vitale in tutte le sue possibili manifestazioni.

“La tra svalutazione di tutti i valori deve essere intesa prevalentemente in chiave pedagogica. Secondo tale ottica anche l’ “eterno ritorno” deve essere inteso come affermazione della vita, dei valori esistenziali, di ciò che l’uomo è nella verità del suo divenire, e serve ad approfondire dialetticamente il processo dell’autoconoscenza, auto liberazione e autoaffermazione. Capovolgere i valori significa combattere l’alienazione e restituire all’uomo la sua autenticità. Nietzsche combatte l’alienazione della vita. Il ritorno alla vita è per lui il principio di rifondazione dei valori. Da qui l’ “eterno ritorno” come gioco dionisiaco e come volontà di potenza.” ( Nietzsche educatore – Antropologia di scritti ed interventi di Alfredo Fallica).

Nietzsche non cessa mai di porre sotto il vaglio della ragione, attraverso varie forme di scrittura, dall’aforisma, al saggio al racconto, tutte le istanze socio-politiche-religiose che impongono una determinata morale: quella che garantisce il dominio sulla base del fatto che essa si fonda sull’autorità del pensiero metafisico che da secoli dettava e imponeva le norme e i contenuti del pensare.  Nietzsche in Ecce Homo: “éducateur dans l’âme, il désire voir l’homme s’élever, croître, se dépasser constamment luimême;” parla a tutti gli uomini, ognuno dei quali è in potenza in grado di criticare il sapere costitutivo, ma sa che solo pochi hanno il coraggio e la volontà di mettere in discussione le loro sicurezze per ricercare chi veramente siano.

L’educazione è intesa da Nietzsche come l’acquisizione di conoscenze non oggettive, non nozionistiche, ma di un metodo di ricerca grazie al quale poter riconoscere le imposture, le false opinioni, le trappole del pensiero: è percepita, insomma, come un dovere etico: Il mio compito, il compito di preparare l’umanità a un momento di suprema riflessione su se stessa, un grande meriggio, quando essa si guarderà indietro e avanti, quando uscirà dal dominio del caso e dei sacerdoti e porrà per la prima volta, nella sua totalità, la domanda ‘perché?’, ‘a che scopo?’ – questo compito è una necessaria conseguenza per chi ha compreso che l’umanità non va per conto suo per la strada giusta, che essa non è governata in nessun modo per opera divina, ma anzi che proprio al coperto delle sue più sacre nozioni dei valori ha regnato con la sua seduzione l’istinto della negazione, della corruzione, della décadence.  In questa sua profonda convinzione Nietzsche sa di essere molto vicino a Socrate perché per entrambi educare non vuol dire travasare da una mente che sa a una mente che non sa delle tecniche e delle nozioni, come da un vaso pieno a un vaso vuoto, ma significa aiutare l’altro a far nascere il proprio pensiero: la sua è dunque una “indole da educatore, non nel senso negativo, ma nel senso socratico.”

Nietzsche, dunque, non vuole negare l’utilità delle istituzioni educative, le scuole e soprattutto le università, ma dice che le attività che in esse si svolgono sono inadeguate allo scopo perché seguono delle metodologie che non formano l’uomo come individuo libero, ma come un ripetitore.

Così, volendo concludere la presente disamina “L’educazione deve porsi come nuovo fine la liberazione dell’uomo dalla paura. Educazione- cultura – libertà son o per Nietzsche un trinomio inscindibile. L’educazione è “allevamento” non solo spirituale, ma anche psichico, intellettuale e fisico, fortifica l’io dando più sicurezza all’individuo, spingendolo a scrutarsi: Ognuno porta in sé, come nocciolo del suo essere, una unicità produttiva; e se diventa consapevole di questa unicità, attorno a lui si diffonde uno splendore inconsueto, lo splendore di ciò che è insolito”. (Nietzsche – Schopenhauer come educatore, cit. p. 383); (Antologia di scritti ed interventi di Alfredo Fallica).

Infine, desidero citare la testimonianza dell’avvocato Giuseppe Fallica, nipote di Alfredo, che il Prof. Tommaso Romano fa nella sua prefazione alla monografia: “Era libero dalle ideologie, dalle religioni, dalla politica, dai legami affettivi imposti, era libero soprattutto dal denaro e da tutte le cose materiali. Si relazionava con deboli e potenti in modo assolutamente identico. Sotto questo profilo era più nietzchiano di Nietzsche. Non amava le fotografie, i ricordi, conservare gli oggetti, raccogliere gli atti dei suoi congressi e dei suoi lavori

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