IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Falso movimento” un romanzo a puntate di Gianvito Pipitone (quindicesima puntata)

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falso-movimento

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di Gianvito Pipitone

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Si svegliò tardi quella mattina. Un fascio di luce obliqua lo stava tagliando in due in corrispondenza dell’addome. Senza nemmeno lavarsi la faccia, aprì la porta scorrevole e si sporse dal balcone. Era un tranquillo sabato di metà dicembre. Faceva freddo per quanto il sole sembrava ruggire incontrastato nel mezzo di un cielo blu oltremare. A breve la Canebière, un paio di blocchi più giù, si sarebbe riempita di orde di oziosi bighelloni alla ricerca disperata di un frammento di atmosfera natalizia.

Non pote’ fare a meno di ritornare con il pensiero alla farsa della serata appena trascorsa. L’amarezza era il sentimento che più di tutti lo rappresentava in quello scorcio di mattinata. Figurarsi se un aspirante boss del narcotraffico, di caratura nazionale, sarebbe stato così ingenuo da cadere nella trappola allestitagli insieme a quell’altro smarmittato di Hippo. Dopotutto, perché uno come Pascal, che aveva in mano le chiavi del traffico di droga della città, avrebbe dovuto scomodarsi per incontrarli? nel cuore di una notte in cui diavoli e luciferi sembravano essersi dati appuntamento in un luogo così sperduto e impervio come la Nerthe? Oltre all’amarezza, Cedric dovette far fronte ad un feroce attacco di scoramento e ad un impulso ancora più puntuto di auto disistima. Di quelli che facevano male sul serio. Poi, respirando a pieni polmoni la fresca aria del mattino, si disse che non era il momento giusto per cedere al vittimismo. Bisognava passare in revisione le cose, i fatti, e lasciare da parte gli atteggiamenti negativi.

Alla fine, come forse era più normale aspettarsi, si erano presentati gli scagnozzi di Pascal. Due nerboruti ragazzoni neri con l’aria truce che, dall’alto della loro massiccia corporatura, avevano preteso, non senza minacce, di poter visionare i loro documenti. Senza battere ciglio, Cedric aveva rovistato in una delle tasche interne del palto’ da dove aveva tirato fuori il passaporto di uno dei suoi avatar: Nicolas Meret. Lo stesso aveva fatto il suo compagno la cui notorietà, almeno in città, non poteva permettergli però alcun tipo di sotterfugio. I due scimmioni, dopo aver ispezionato alla luce dei cellulari i loro documenti, cercando riscontro nelle rispettive facce, avevano preteso di tenerli per sé.

– Che significa che li tenete voi? Si era ribellato Hippo, cui la delusione per non aver incontrato Pascal si era in certo qual modo compensata con l’altissimo tasso di adrenalina che ancora teneva in corpo.

– Le teniamo noi, perché El Chapo vuole così. L’avete scomodato voi, o mi sbaglio? Ribatté in maniera abrasiva il più muscoloso dei due scimmioni.

– Se è per questo, sarebbe dovuto essere adesso qua ..e invece non c’è…

Il tizio lo guardò in maniera dura, quasi sfidandolo a sostenere il contrario.

– Facciamo le cose per bene, ragazzi… Io devo difendere la mia reputazione; sono un uomo di comunicazione, lo capite questo… immagino? Ribatté Hippo a metà fra il conciliante e l’infastidito.

– Il tuo documento non c’interessa, vecchio … Sappiamo chi sei e sappiamo dove possiamo venire a prenderti. In ogni istante…

Cosi’ dicendo, lo sguardo dei tre si indirizzo’ su un serafico Cedric. Il quale si trovo’ ad oscillare la testa in segno di assenso, producendosi in una leggera smorfia di approvazione con le labbra.

– Per me non c’è problema. Potete fare tutti i controlli incrociati del caso. Me lo restituirete domani all’appuntamento con il vostro Chapo, come lo chiamate voi. Per me l’importante è incontrarlo. E vengo in pace.

Si ritrovò pochi minuti dopo assorto nei pensieri, in un’ampia sala a vetri che lasciava intravedere parte del cielo sopra la sua testa. Mentre era intento a fare colazione, lento e con gli occhi ancora socchiusi dal sonno, al suo tavolo si presentarono due tizi distinti, in giacca e cravatta.

Abbagliato da quell’insolito fascio di luce cui da troppo tempo non sembrava avvezzo, finì d’istinto per indossare i suoi immancabili occhiali da sole che teneva sempre in una delle tasche del paltò. Ora che li aveva messi a fuoco ebbe la netta impressione che quegli uomini non gli portassero niente di buono. I due si sedettero al suo fianco, in silenzio, sguardi gravi, e prima di aprire bocca gli mostrarono due tesserini della gendarmerie. Cedric provo’ come un pugno allo stomaco quando gli parve di riconoscere in uno dei due uomini quel cliente raffinato del Baby Luna, che fumava sigari profumatissimi, e che quella sera sembro’ abbordare con successo Mme Nerval.

I due si guardarono in cagnesco. L’uomo finse di non riconoscerlo.

– È lei l’ex poliziotto Cedric Bovin?

Cedric negò d’istinto. L’uomo, rimase in silenzio guardandolo gravemente in tralice al di sopra dei suoi occhiali da sole, fulminandolo con lo sguardo dal di sopra della sua stazza imponente. Cedric capì che non c’ era da scherzare.

– Sì, sono io Bovin, di che si tratta? riuscì ad articolare, forbendosi la bocca con un tovagliolo di panno.

– Vedi, nei nostri ambienti siamo abituati a non andare troppo per il sottile, disse l’altro, il più anziano dei due che nascondeva il mento incassato dietro un folto pizzo nero a punta, ben curato. E al suo impercettibile movimento, Cedric si accorse che indossava uno spesso orecchino a forma d’anello sull’orecchio sinistro.

– Non capisco…

– Ora ti spiego un po’ la nostra filosofia di vita: se noi becchiamo qualcuno che possa avere contatti intensi e ripetuti con un possibile criminale, a noi già basta per prenderti e sbatterti in galera come fiancheggiatore del malvivente. Fece l’anziano, producendosi in una smorfia cattiva.

– Non so se si spiega il mio collega, replicò l’altro con tono perentorio.

– No scusate, non ci sono, mi spiace, non ho raccolto… Titubò Cedric, ma forse in cuor suo voleva solo non aver capito o sentito. E maledisse in cuor suo la scelta azzardata della pista del Chapo, che si stava rivelando più complicata del previsto.

– Bene, rispieghiamo ancora una volta al ragazzo, Laurent, ci pensi tu? Non tutti possono avere il dono dell’immediatezza di comprensione. Sembrò sbottare in maniera sarcastica l’agente anziano, fingendosi spazientito e lasciando spazio al collega.

Anche Laurent sorrise in maniera maliziosa, con una punta di cattiveria. Stavolta tolse gli occhiali da sole per non lasciare niente di non detto.

– Mettiamola così Bovin: tu lavori per Gerard Dutroux, giusto?

Cedric assenti’ lentamente, come se rimanesse interdetto dalle parole dell’uomo.

– Dunque, se tu lavori per il signor Dutroux, noi lavoriamo invece …. per la giustizia.

I due gendarmi si lanciarono in un perfido sguardo d’intesa.

– Noi, cioe’, siamo della parte del giusto. Ti è chiaro tutto fin qua? Ribatté l’altro masticando nervosamente una chewing gum.

L’uomo mostrò ancora una volta il distintivo della gendarmerie con, quella che si poteva intuire, la propria foto. Come a voler sgombrare qualsiasi dubbio dal campo di Cedric. Fece una pausa per vedere se Cedric avesse afferrato adesso.

– Ti teniamo per le palle, Cedric! E se ti chiederemo di farci di tanto in tanto un favore, non potrai negarci la tua collaborazione. Quindi ricorda: noi siamo dalla parte dello Stato e tu invece sei quello che dialoga con i malviventi… Sorrise l’anziano facendo l’occhiolino al camerata.

– Signori, credo che ci sia uno sbaglio. Tentò di opporsi Cedric. Ma sembrava tutto molto tardi ormai.

– No no, nessuno sbaglio, s’affrettò a replicare in maniera flemmatica Laurent.

– C’è soltanto la tua parola contro la nostra, nel caso tu non voglia collaborare. E se proprio sarai così sprovveduto da non accettare, coraggio, le manette per qualche tempo non hanno mai fatto male a nessuno: ti spingeremo nel bel mezzo del circo …fra i leoni, lo capisci vero? E allora ci sarà da ridere … disse l’anziano, incrociando i polsi.

– Nel caso invece della tua piena collaborazione, sarai il benvenuto nella nostra squadra. Ti risparmierai un sacco di problemi. Credimi… Concluse Laurent che fece un cenno all’anziano.

Questi si alzò di scatto e con breve movimento della mano lasciò scoperto il cane di una pistola.

– Laurent, dai a Bovin le ultime consegne e filiamo.  

Laurent rovistò nella tasca della sua giacca, ne estrasse un cellulare nuovo fiammante e lo posò sul tavolino. Poi aprì il suo portafogli, pescò un bancomat che consegnò con cura allo stesso tavolino. Come ultimo atto, mise le mani in tasca e tirò fuori un mazzo di chiavi d’auto.

– Avevamo pensato, se non siamo troppo indiscreti, di comunicare con una nostra linea speciale; avrai poi di certo bisogno di un fondo spese e di un’auto normale per spostarti in piena efficienza.

– E’ una Citroen C4, nera fiammante, decappottabile, parcheggiata all’angolo de rue d’Oran.

– Bene, come ultima consegna, prima delle direttive vere, che arriveranno presto nelle prossime ore, non c’è bisogno di dirti che dovrai da questo momento in poi fare il doppio gioco con il signor Dutroux. Quindi, si capovolge la clessidra: siamo noi a tenere d’occhio te adesso… E si lanciò in un armonioso motivetto.

– Ma Laurent, non c’è bisogno di dirlo, il ragazzo è già abbastanza sveglio. Sa perfettamente che non deve fare parola con nessuno di questo piacevole incontro… meno che mai con i suoi amici parigini… Specialmente se giornalisti… Aggiunse perfidamente l’anziano che si prodigò subito dopo in un teatrale saluto militaresco.

Laurent si avvicinò infine all’orecchio di Cedric e gli sussurrò sorridente:

– Ricordati, mio caro, ti teniamo per le palle! Occhio al telefono!

E sparirono dietro l’angolo della sala vuota, così come erano arrivati.

Frastornato. Cedric uscì dalla sala colazione, dopo aver lasciato la mancia sul tavolino, dal quale aveva raccolto lentamente le reliquie lasciate in dono dai due criminali. Le scrutò fra le mani, come a volerne esaminare la reale esistenza. Sembrava incredulo, non riusciva a credere che quanto accaduto pochi minuti prima fosse potuto davvero succedere a lui. Si diresse verso la sua camera, come in trance, indifferente al saluto del concierge che, avendo visto uscire quei due uomini distinti poco prima, lesse nel pallore di Cedric le conseguenze di una probabile disgrazia. Infilandosi nell’ascensore Cedric si ripeté che aveva un problema. Un altro grosso problema…

Scomodò anche il suo complesso apparato decisionale cerebrale al quale lanciò importanti segnali d’aiuto. Ma gli mancava la lucidità: si ricordò di aver avuto un’impressione simile qualche anno prima, al cospetto di pesanti minacce ricevute vis a vis. Ma questi tipi qua, si diceva, non erano malviventi tradizionali. Non nel senso stretto del termine, almeno. Trovò finalmente, per quanto magra fosse la soddisfazione di averla trovata, la parola che cercava da un po’: servizi deviati, ecco chi e cosa erano. Un termine che aveva sempre faticato a situare nella realtà di ogni giorno e che comunque considerava uno dei tanti orpelli del complesso corredo di terminologia che i giornalisti malati di letteratura noir o spy avevano inventato per descrivere le spie corrotte di alcuni settori dello stato. E così, si schernì quasi sorridendo, era diventato un informatore operativo. Ripetè a voce alta, come a testare se le sue funzioni vitali fossero ancora tutte là:

-Cedric Bovin … Informatore operativo! Agente di una cellula evidentemente deviata dei servizi, ma senza che sapesse ancora quale fosse la sua missione… Chapeu…

Gli scappò un sorriso isterico, che prolungò nella chiara intenzione di autobiasimarsi. Il punto però non era nemmeno questo. Il vero problema a questo punto era un altro: scoprire per conto di chi avrebbe dovuto lavorare. E per quale motivo. 

Come se tutto ciò non bastasse, Cedric aveva un altro grosso problema da risolvere quella mattina. Pur preso dall’adrenalina che il caso Eric gli stava spillando goccia a goccia, non aveva tuttavia perso mai di vista la notizia di cui Alain lo aveva messo a parte appena 24 ore prima. Annette. La sua cara Annette, vittima anche lei di una telefonata minatoria. Per un attimo aveva temuto che questa storia avrebbe potuto farle male. Poi si era tranquillizzato, confidando nella tempra dura e coriacea della donna. Cosa non era capace di fare o di dire Annette per svoltare tutte le situazioni anche le più ingarbugliate, a proprio favore. Una forza della natura. Per un attimo sentì che le mancava. Le mancava il suo profumo, i suoi abbracci, il suo corpo caldo e vibrante. Le mancavano i suoi occhi grandi che non  fallivano mai di scandagliarlo nel profondo. Ad un tratto sentì sotto pelle il colore della depressione: la schiena dolorante, la cervicale a pezzi, la sorda lenta espansione di un fastidioso dolore lombare. Si sentiva un po’ stordito, con i muscoli indolenziti e il cuore che si era lanciato in una delle sue furiose fughe a galoppo. Un cane malato. Ecco come si sentiva. Ovunque si girasse gli sembrava di trovare nemici, bestie assetate del suo sangue.

Cercò di respirare profondamente come talvolta gli capitava di fare, quando il cielo sopra la testa diventava così buio da non permettergli nemmeno di pensare. Si ritrovò per terra, sopra un cuscino, nella posizione della candela, mentre affidava le sue ansie alla regolarità di un respiro. Provo’ a concentrarsi sulle sue narici. Il respiro si inerpicava lentamente su per le narici e ne usciva purificato. Si impose di non pensare a niente. Anzi fece quell’esercizio che le aveva insegnato Annette. Le sue narici erano diventate come una sorta di stazione. Ogni lungo respiro portava un pensiero che, giunto in stazione, si fermava lasciando scendere il suo ospite. Per poi ripartire uscendo leggero dalla stazione. E dopo un quarto d’ora tutto gli sembrò diventare più sopportabile.

Un bip intermittente lo risveglio’ da quel caldo torpore in cui sembrava sprofondato. Si alzò di botto dal tappeto, si toccò il collo, completamente madido di sudore. D’istinto cercò qualche oggetto nella stanza che potesse ricordargli quel brutto sogno. Sperò fortemente di non trovarlo. Poi il suo sguardo si posò sul tavolino all’entrata della stanza dove aveva lasciato le reliquie ricevute in dono: chiave, cellulare, bancomat con attaccato il relativo codice pin. Il bip cessò. Scosse la testa e andò a cacciarsi sotto la doccia. Uscì dopo dieci minuti e, ancora protetto dall’ accappatoio caldo sentì per una seconda volta quel fastidioso bip ad intermittenza. Solo dopo una decina di secondi realizzò che era lo squillo del telefono senza fili.

– Cedric ci sei ?

– Alain ? Che c’è …

– Accendi la TV in questo momento su Antenne 2.

… Ricordiamo …si è ucciso sparandosi un colpo di pistola alla tempia durante una perquisizione effettuata dalle Guardie di Finanza nell’ambito dell’inchiesta incentrata sulla Cascata di Parigi, un grande centro congressi nato nel mezzo del quartiere della Defènse e mai ultimato. Così è morto questa mattina nella sua abitazione di Bonneuil sur Marne, a sud est di Parigi, il famoso architetto Gerard Dutroux… 53 anni, una vita spesa per la professione che gli ha regalato gioie e ultimamente anche molti dolori… Verso le 8 di stamattina gli agenti avrebbero bussato a casa sua per eseguire un mandato di arresto nei suoi confronti su disposizione del pm della Procura … Da quanto appreso, ma le notizie si rincorrono minuto su minuto, l’architetto dopo aver letto il provvedimento, avrebbe chiesto agli agenti di poter andare in camera da letto per vestirsi. Una volta dentro avrebbe preso una pistola dall’armadio e con questa si sarebbe ucciso. In casa in quel momento non c’erano la moglie e il figlio…

La sedicesima puntata sarà online il prossimo 28 febbraio.


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