IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“La mattonella di Afroditi” un libro di Pompeo Maritati recensione di Anna Stomeo

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Copertina La mattonella di Afroditi

Copertina La mattonella di Afroditi

La Grecia “nel tempo senza tempo”: l’ultimo romanzo poetico-filosofico di Pompeo Maritati

La mattonella di Afroditi (2024) l’ultimo romanzo di Pompeo Maritati, che segue di un anno il precedente Eracle, Ulisse, Achille, Omero e i Mirmidoni (2023) non è soltanto la narrazione di un viaggio onirico, denso di conoscenze e riflessioni, ma anche la testimonianza di un sapere ‘alternativo’, che va oltre le scelte letterarie specifiche (il ‘realismo onirico’ o la ‘prosa ‘poetica’) per farsi discorso trasversale e ragionamento filosofico, in cui si incrociano le esperienze conoscitive dell’Autore e i mondi che lo hanno attraversato e lo attraversano. La sua profonda grecità si nutre non solo di passione, di ‘consanguineità’ e di nostalgia, ma anche di una determinazione a ricercare le motivazioni intrinseche che fanno della sapienza greca e della classicità la cartina di tornasole del presente e del nostro quotidiano. Un interrogarsi esistenziale e collettivo sul senso della grecità che ci attraversa e che obbliga ad una dimensione immaginativa fuori dagli schemi.

Non a caso lo stesso autore fa riferimento ad alcuni dispositivi narrativi tipici della letteratura fantastica, come lo stargate (la porta d’accesso alle stelle) che sembra voler ignorare il tempo e lo spazio per cercare punti di comunicazione su piani diversi. Tutta la narrazione ruota, a nostro avviso, intorno al concetto di tempo e alle infinite riflessioni filosofiche e poetiche che suggerisce, un ‘tempo senza tempo’ che consente all’autore di viaggiare con l’immaginazione verso l’essenza della grecità e di raccontare una storia insieme ‘vera e fantastica’.

Nella vita intellettuale di Pompeo Maritati l’origine greca, per parte di madre, e gran parte dell’infanzia trascorsa in Grecia sono state determinanti per i contenuti e i modi della sua scrittura letteraria e anche, in particolare, per la nascita di questi due romanzi, che l’autore stesso propone l’uno come la prosecuzione dell’altro, e che attingono i loro personaggi ed i loro intrecci al mito e al paesaggio della Grecia classica. Due romanzi d’avventura e di formazione insieme, per rimanere nei tradizionali canoni interpretativi, e nei quali fondamentale è la dimensione autobiografica e il modo in cui il paesaggio della Grecia entra a far parte della narrazione, non solo come descrizione dei contesti, ma come leva dell’immaginazione.

Un tempio, un golfo, un’isola, ma anche un tramonto e un gatto che si aggira tra le antiche rovine, fungono da input all’immaginazione del narratore, che già si sente parte della narrazione e dei contesti ed oggetti che la costituiscono. In definitiva una scrittura che mette insieme immaginazione e realtà, non già come frutto di una scelta metodologico-letteraria, ma come risultato spontaneo di una simbiosi con il paesaggio, con il mito e con la storia, che si è già compiuta ab imis, nel momento stesso della nascita, come una predestinazione. Una simbiosi nata dal respiro e dall’assimilazione del paesaggio che rende onirico l’approccio, ma poi reale e realistico lo svolgimento della storia.

Una storia declinata al passato, ma con tutta la forza coinvolgente del presente. Una storia che racconta di un amore sbocciato e perduto, ritrovato ed esaltato per essere finalmente compreso nei risvolti esistenziali e conoscitivi che il tempo gli ha impresso.

Un’operazione creativa e immaginativa di grande originalità e di grande effetto che si misura con il pensiero filosofico, con il tempo e con l’eterno, in “un presente infinito dove l’attimo viene rappresentato come una eternità” (p.112).

In una narrazione avvincente ed estremamente elegante, nella costruzione sintattica e nelle scelte lessicali e stilistiche, l’autore ripercorre le proprie esperienze esistenziali trasfigurate, trasmutate in una dimensione onirica, che si propone per simboli e per indizi e si dipana tra visione e realtà, tra ipostatizzazione e metafora, tra verità e immaginazione. Tutti poli convergenti, di un procedere narrativo (e conoscitivo) per tappe e per soste, che aprono a momenti di riflessione filosofica e

storica. Il punto di partenza fisico e geografico è l’isola greca di Aegina, dove nascono e si consumano le visioni e i desideri dell’autore e dove agisce in profondità il genius loci ellenico che attraversa tutta la narrazione. Aegina e il suo tempio accolgono il nuovo Olimpo e alimentano la storia d’amore con Afroditi, ma anche il rapporto con Eracle e l’intreccio che ne deriva, in un gioco di sovrapposizioni che ci rivela il vero senso di tutta la storia: Afroditi è ciò che l’apparenza ci impedisce di comprendere, è il possibile contrapposto al reale, è l’infinito tempo che non abbiamo sprecato e che abbiamo ritrovato o che speriamo di ritrovare capovolgendo la prospettiva. Afroditi è compagna di viaggio e guida, è visione onirica e concreta

In un succedersi di narrazioni e di eventi, il lettore si vede condotto ‘per mano’ dall’autore verso dimensioni cognitive inattese, sostenute da una struttura narrativa solida e percorribile, che divide il romanzo in tre parti estremamente indicative, già nei titoli (Una onirica realtà, Gli dei che non ti aspetti, Alla ricerca del tempo senza tempo) in ognuna delle quali si aprono altre storie convergenti e interrogativi ineludibili, che ci obbligano a procedere nella lettura, come in un romanzo d’avventura, se non in un giallo. Aegina, centro del mondo mitico e affettivo, si fa nuovo Olimpo e luogo senza tempo, dove giovinezza e vecchiaia si infrangono nell’eterno presente della bellissima Afroditi, la cui figura si delinea e si definisce attraverso una piccola mattonella istoriata dall’immagine di un coniglio, come in un mistero che si svelerà solo alla fine del racconto.

Il ritorno all’adolescenza, ai suoi profumi e ai suoi amori, non ha per l’autore nessun significato nostalgico di rimpianto, giacché il saggio antenato Eracle ha già predisposto, per il suo protetto, un futuro ‘immortale’, da intendersi nel senso, ci sembra, etico-teoretico di vigile conoscenza e di totale visione del ‘tutto’, che lo mette al riparo dai facili sentimenti quotidiani. e lo obbliga ad una missione di rinascita dell’umanità.

L’immortalità come una sorta di pensiero dell’oltre, che non si lascia schiacciare sul presente, ma che riesce a recuperare il passato e a rilanciarlo nel futuro, con la forza dell’immaginazione.

Eracle e “gli Dei che non ti aspetti” sono in fondo la riscoperta di una spiritualità e di una sacralità che privilegia innanzitutto il legame con il luogo dell’anima, con l’isola di Aegina, la quale ricambia con il privilegio dell’immortalità il grande amore che l’autore le manifesta.

Sotto questo profilo c’è una profonda religiosità che anima la narrazione, una religiosità laica, ellenica e ancestrale, che lega il divino al paesaggio e riscopre, negli dei, il senso autentico del sacro e, nel politeismo, l’elemento rifondante di una spiritualità libera da condizionamenti e da dogmi.

Pompeo Maritati, per via argomentativa, alimentata dalla visione immaginativa intelligente e ironica, giunge ad una conclusione intellettuale che si fa proposta per il futuro e che si realizza all’insegna della libertà di pensiero. Per il lettore una sorta di inatteso ricongiungimento, per così dire, tra pensiero ellenico e pensiero illuminista, che proprio a quell’ellenicità originaria non può che essere ricongiunto.

Ed è proprio all’insegna di un pensiero ‘ellenico e illuminista’, di una luce ‘apollinea’ della ragione, che illumina i limpidi paesaggi di Aegina, che Pompeo Maritati può scrivere l’ultimo capitolo del romanzo, in un serrato confronto con la storia, con le religioni, con l’oscurantismo e le contraddizioni del moderno, con le domande della mente e del cuore e persino con i diritti umani, in definitiva con quella ‘filosofia occidentale’, che in quei paesaggi mediterranei ha visto le sue origini.

Richiamando sulla scena Pericle, e il suo elogio della democrazia, e, con lui, Socrate, Platone e Aristotele in un confronto dialettico tra passato e presente, l’autore coglie l’occasione per misurarsi con i temi della modernità, sottoponendo agli ‘antenati’ i problemi che assillano il nostro tempo e ricevendo risposte limpide e profetiche, come quelle di Pericle, incredibilmente presenti (“abbiamo

bisogno di relazioni positive con le altre polis e di una politica estera saggia per garantire la nostra sicurezza e il nostro benessere”, p. 176), o come quelle, altrettanto ‘attuali’ e amare, di Socrate (“Avete costituito organismi internazionali che dovrebbero vigilare sui diritti umani (…) e poi quando qualcuno li viola, (…) girate la testa dall’altra parte”, p. 180).

Tra visioni e argomentazioni, tra prefigurazioni e decise prese di posizione, l’autore ci regala, nelle ultime pagine del romanzo, un finale inatteso, ricco di ‘attualità’, di sagge considerazioni sul presente ‘politico’ (attinente la polis), tanto da riportarci oltre la favola sin qui immaginata. Ma, in realtà, come scoprirà il lettore attento e (che l’autore sa rendere) appassionato, la favola continua con risvolti travolgenti e ‘luminosi’.

E nel finale ci accorgiamo che l’autore ci ha proposto una ‘favola vera’, che non esclude la ragione, un mythos, che non esclude il lógos e che, proprio perciò, rende l’omaggio più intenso e il riconoscimento più sentito alla cultura ellenica e alla Grecia come culla della civiltà, a quel Mediterraneo che genera le isole come Aegina, dove il tempo si consuma e si racconta in un eterno presente e dove è ancora possibile incontrare il futuro.

Aprile 2024

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