IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Lecce e la scomparsa di Garibaldi 

di Giorgio Mantovano

Il Supplemento al numero 7 di Cronaca Salentina del 3 giugno 1882 fu il primo giornale leccese a darne il triste annunzio: “Ieri sera alle otto e dieci minuti Egli moriva sorridendo”, scrisse.

Appena a Lecce si diffuse la notizia della scomparsa del Generale Garibaldi, il Tribunale, le scuole e le botteghe furono chiuse e tutta la cittadinanza partecipò commossa al triste evento.

In piazza Sant’Oronzo, verso le diciannove e trenta del 3 giugno, si organizzò una manifestazione di oltre quattromila persone, alla quale parteciparono il sindaco Antonio Guariglia (in carica dal 1879 al 1884) ed il Prefetto Minghelli-Vaini.

Sulla gradinata del Sedile, allora occupato dall’Associazione Giusti, venne posto un busto di gesso del Condottiero. Bandiere e gonfaloni abbrunati furono deposti attorno alla sua immagine che aveva il piedistallo fasciato di velo nero. 

In quell’occasione furono pronunciati discorsi commemorativi di grande intensità dagli avvocati Vincenzo Pistoia, Leonardo Stampacchia e Attilio Iurlaro
Prese anche la parola Francesco Bernardini, un giovane ardente destinato a divenire un acclamato commediografo.

Il 5 giugno il sindaco Guariglia convocò in seduta straordinaria il Consiglio comunale. In una sala gremita da pubblico attentissimo, in via Umberto I, si deliberò di fissare la cerimonia commemorativa per il 25 giugno del 1882. 

Tra i reduci garibaldini, invitati in prima fila a quell’evento, comparvero personalità di assoluto rilievo nella vita culturale leccese, tra cui Carlo Arrighi, che fu direttore del giornale locale Il Risorgimento; Luigi Tinelli, indimenticato fondatore del Gazzettino letterario di Lecce, che aveva tenacemente combattuto a Villa Glori ed era stato prima docente e poi preside del Liceo classico Palmieri; Oronzo Orlandi, ottimo ingegnere; Francesco Frediani, originario di Massa Carrara ma leccese di adozione, ritenuto il capo dei garibaldini leccesi. 

Nel giorno stabilito, il 25 giugno, in piazza Sant’Oronzo, su di un palco il cui addobbo a lutto era stato curato dall’ingegner Michele Astuti, ebbe culmine la cerimonia. Vi partecipò una folla enorme. La piazza apparve d’incanto punteggiata da camicie rosse. Si chiusero i negozi, si addobbarono i balconi, si ornarono le strade di festoni, di ghirlande e di epigrafi. 

Tra i vari interventi, quello di Francesco Rubichi, delegato dal sindaco, fu il più toccante. L’illustre principe del Foro, con la sua ars oratoria in grado di ammaliare, fu capace di scuotere le coscienze e far sentire garibaldino anche chi non lo era mai stato. In quel fatidico 25 giugno esordì con queste parole: “Noi non siamo qui per piangere il morto, ma per inneggiare all’eternamente vivo che si aggira fra noi“.
Anche il professor Ersilio Bicci, scrittore di fama, scrisse versi celebrativi, eco dello stato d’animo della coscienza popolare.

Un’altra importante commemorazione dedicata a Garibaldi si tenne la sera del 1° luglio del 1882 nel teatro Paisiello, con un memorabile discorso dell’avvocato Giuseppe Pellegrino, destinato poi a divenire sindaco della città. 

Lecce volle testimoniare tutto il suo affetto intitolando all’Eroe dei due mondi anche il pubblico giardino. Fu denominato Viale Garibaldi (l’attuale Viale XXV Luglio) quel tratto di via tra il Giardino e la Prefettura. Cinque anni dopo, nello stesso luogo, fu inaugurato un busto di marmo all’insigne Condottiero, opera preziosa di Eugenio Maccagnani

Era ancora viva tra la gente l’eco delle numerose imprese che tanti salentini, abbandonate le famiglie, i parenti e gli amici, avevano vissuto accanto a Garibaldi, combattendo in Sicilia, a Roma e al Volturno. Alcuni erano già addestrati alle armi, avendo preso parte a precedenti combattimenti, per cui una particolare menzione meritano Nicola Mignogna, Giuseppe Fanelli e Cesare Braico, arruolati tra i Mille. 

Anche il galatinese Gioacchino Toma combatté nelle file garibaldine. Destinato a divenire un affermato pittore, Toma ci ha lasciato l’opera letteraria “Ricordi di un orfano“, apprezzata da Benedetto Croce, in cui vivono intense e toccanti le pagine garibaldine.
Narrate con semplicità, reggono, annotava Aldo Vallone, anche accanto ad altre opere di meridionalisti più insigni, dal Settembrini e De Sanctis al Castromediano.

Ma anche la stima incondizionata di Garibaldi nei confronti dei patrioti Maria Antonietta De Pace e Giuseppe Libertini testimonia un legame profondo del Generale con tutta la Terra d’Otranto, ricambiato profondamente, all’atto della sua scomparsa, come raccontano con ricchezza di dettagli i giornali dell’epoca.

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