Mondo Omerico – Gli eroi a banchetto
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Di Giovanni Teresi
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I personaggi omerici mangiavano forte e sodo trattandosi di miliari gagliardi. Si legge al IX Libro dell’Iliade (vv. 231 – 290) come Ulisse e gli altri ambasciatori, dopo il consueto pranzo nella tenda di Agamennone, siano di nuovo pronti a fare onore al pranzo a loro imbandito da Achille. Si può pensare che essi non abbiano voluto far scortesia all’ospite potente e irascibile, che era anzi loro compito di placare e blandire in ogni modo, ma tuttavia li vediamo mangiare e brindare di gusto.
…
Del risonante mar lungo la riva
Avviârsi i legati, supplicando
Dall’imo cor l’Enosigéo Nettunno
Perchè d’Achille la grand’alma ei pieghi.
Alle tende venuti ed alle navi 235
De’ Mirmidóni, ritrovâr l’eroe
Che ricreava colla cetra il core,
Cetra arguta e gentil, che la traversa
Avea d’argento, e spoglia era del sacco
Della città d’Eezïon distrutta. 240
Su questa degli eroi le glorïose
Geste cantando raddolcía le cure:
Solo a rincontro gli sedea Patróclo
Aspettando la fin del bellicoso
Canto in silenzio riverente. Ed ecco 245
Dall’Itaco precessi all’improvviso
Avanzarsi i legati, e al suo cospetto
Rispettosi sostar. Alzasi Achille
Del vederli stupito, ed abbandona
Colla cetra lo seggio; alzasi ei pure 250
Di Menézio il buon figlio, e lor porgendo
Il Pelíde la man, Salvete, ei dice,
Voi mi giungete assai graditi: al certo
Vi trae grand’uopo: benchè irato, io v’amo
Sovra tutti gli Achei. – Così dicendo, 255
Dentro la tenda interïor li guida,
In alti scanni fa sederli sopra
Porporini tappeti, ed a Patróclo
Che accanto gli venía, Recami, disse,
O mio diletto, il mio maggior cratere, 260
E mesci del più puro, ed apparecchia
Il suo nappo a ciascun: sotto il mio tetto
Oggi entrâr generose anime care.
Disse; e Patróclo del suo dolce amico
Alla voce obbedì. Su l’ignee vampe 265
Concavo bronzo di gran seno ei pose,
E dentro vi tuffò di pecorella
E di scelta capretta i lombi opimi
Con esso il pingue saporoso tergo
Di saginato porco. Intenerite 270
Così le carni, Automedonte in alto
Le sollevava; e con forbito acciaro
Acconciamente le incidea lo stesso
Divino Achille, e le infiggea ne’ spiedi.
Destava intanto un grande foco il figlio 275
Di Menézio, e conversi in viva bragia
I crepitanti rami, e già del tutto
Queta la fiamma, delle brage ei fece
Ardente un letto, e gli schidion vi stese;
Del sacro sal gli asperse, e tolte alfine 280
Dagli alari le carni abbrustolate
Sul desco le posò; prese di pani
Un nitido canestro, e su la mensa
Distribuilli; ma le apposte dapi
Spartía lo stesso Achille, assiso in faccia 285
Ad Ulisse col tergo alla parete.
Ciò fatto, ingiunse al suo diletto amico
Le sacre offerte ai numi; e quei nel foco
Le primizie gettò. Stesero tutti
Allor le mani all’imbandito cibo.
Lo stesso Achille ha preparato il pranzo, aiutato da Patroclo e dai suoi scudieri: questo ci dice che tali mansioni non erano affatto considerate umili ed erano anzi di una certa importanza.
L’unico modo di cottura della carne era allo spiedo. Niente carne a lesso o in umido e inoltre niente minestre. Insieme con la carne si mangiava anche allora pane fatto con farina di frumento, con la quale si facevano pure gustose focacce. Nel libro XI assistiamo a uno spuntino fatto a base di focacce e di miele, e apprendiamo che gli antichi usavano mangiare cipolla per stuzzicare la sete.
(Nella tenda di Nestore vv. 828-880)
…
Tra le navi e le tende. E quelli intanto
Del buon Nelíde al padiglion venuti
Dismontaro, e l’auriga Eurimedonte 830
Sciolse dal carro le nelée puledre,
Mentr’essi al vento asciugano sul lido
Le tuniche sudate, e delle membra
Rinfrescano la vampa: indi raccolti
Dentro la tenda s’adagiâr su i seggi. 835
Apparecchiava intanto una bevanda
La ricciuta Ecaméde. Era costei
Del magnanimo Arsínoo una figliuola
Che il buon vecchio da Tenedo condotta
Avea quel dì che la distrusse Achille, 840
E a lui, perchè vincea gli altri di senno,
Fra cento eletta la donâr gli Achivi.
Trass’ella innanzi a lor prima un bel desco
Su piè sorretto d’un color che imbruna,
Sovra il desco un taglier pose di rame, 845
E fresco miel sovresso, e la cipolla
Del largo bere irritatrice, e il fiore
Di sacra polve cereal. V’aggiunse
Un bellissimo nappo, che recato
Aveasi il veglio dal paterno tetto, 850
D’aurei chiovi trapunto, a doppio fondo,
Con quattro orecchie, e intorno a ciascheduna
Due beventi colombe, auree pur esse.
Altri a stento l’avría colmo rimosso;
L’alzava il veglio agevolmente. In questo 855
La simile alle Dee presta donzella
Pramnio vino versava; indi tritando
Su le spume caprin latte rappreso,
E spargendovi sovra un leggier nembo
Di candida farina, una bevanda 860
Uscir ne fece di cotal mistura,
Che apprestata e libata, ai due guerrieri
La sete estinse e rinfrancò le forze.
Diersi, ciò fatto, a ricrear parlando
Gli affaticati spirti; e sulla soglia 865
Ecco apparir Patróclo, e soffermarsi
In sembianza di nume il giovinetto.
Nel vederlo levossi il vecchio in piedi
Dal suo lucido seggio, e l’introdusse
Presol per mano, e di seder pregollo. 870
Egli all’invito resistea, dicendo:
Di seder non m’è tempo, egregio veglio,
Nè obbedirti poss’io. Tremendo, iroso
È colui che mi manda a interrogarti
Del guerrier che ferito hai qui condotto. 875
Or io mel so per me medesmo, e in lui
Ravviso il duce Macaon. Ritorno
Dunque ad Achille relator di tutto.
Sai quanto, augusto veglio, ei sia stizzoso
E a colpar pronto l’innocente ancora.
La bevanda principale era il vino, di cui si faceva gran consumo. Tranne però che in alcune libagioni sacrificali, non era mai bevuto puro: prima del banchetto era preparato in un grosso vaso di bronzo (cratere) opportunamente mescolato con acqua. Dal cratere si attingeva poi il vino direttamente con la coppa (nappo), e spesso c’era una persona appositamente riservata a tale compito (coppiere).
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Il più pregiato vino di quei tempi era il vino “pramnio”, il cui nome derivava forse da certi colli Prammi nell’isola Icara. Oltre al vino gli eroi omerici bevevano latte, e strane bevande ristoratrici fatte con vino, formaggio di latte di capra grattugiato e farina. (Libro XI).
Quanto al modo di stare a tavola, è certo che gli antichi uomini non avevano le posate. Sull’esistenza di vasellame vario di bronzo o di altro materiale ci danno invece ampia e preziosa testimonianza gli scavi. Un particolare curioso è che le tavole, o deschi, erano molto piccole: ogni commensale ne aveva una sua propria che veniva rimossa dopo la mensa.
Giovanni Teresi