IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Quella notte anche Dio ammutolì. L’urlo di 4 mila ragazzi che stavano affogando

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Foto in bianco e nero del Piroscafo Oria

Il Piroscafo Oria

di Roberto Amoretti

La musica dei Lou Dalfin (gruppo musicale italiano di folk rock nato nel 1982 nelle valli occitane del Piemonte al fine di rivisitare la musica tradizionale occitana) si stende sull’acqua ferma del minuscolo porto disegnato dalle casette bianche e blu. Anche l’aria è ferma, in quel torrido pomeriggio d’agosto.

Gli amici sono andati a farsi un bagno nella vicina spiaggia delle tamerici, e sono solo. Proprio solo no: a pochi passi dalla barca, all’ombra della tenda dell’osteria, seduto sul gradino, il vecchio sordomuto accarezza il gatto che gli ronrona tra le gambe…

Le note di “Se Chanto” escono potenti dall’impianto stereo, forse dovrei abbassare un po’ il volume, ma tanto non disturbo nessuno, il sordomuto no sicuramente…!

Lo osservo distrattamente, ha una postura curiosa, come se ascoltasse con interesse. Il sordomuto si accorge di essere osservato, alza lo sguardo e… ma sta piangendo?!

Come un bambino colto con le mani nella marmellata si alza di scatto e se ne va, dandomi le spalle. La faccenda mi incuriosisce: possibile che il sordomuto, persona mite e gentile, arrivato in paese da chissà dove molti anni prima, ben voluto e stimato da tutta la comunità, in realtà non sia sordomuto? Perché finge? Sono curioso, e cerco di capire qualcosa di più. Come immaginavo, lo trovo seduto sulla porta di casa, sotto il glicine, che guarda l’azzurro abbagliante dell’Egeo. Mi avvicino lentamente, ho un’idea:

“Buongiorno” (in occitano), silenzio…

“Buongiorno a Voi” (in occitano) riprovo…

Il sordomuto si volta lentamente verso di me, ha ancora gli occhi lucidi: “Buongiorno ragazzo” (in occitano), la sua voce cavernosa arriva come da una voragine buia, una voragine profonda sessant’anni, ma sembra felice di rivedere la luce: “Mi chiamo Agostino Giordano, di Briga, classe 1922. Prima che mi arrivasse la cartolina, con tanto di timbri e stemmi e addirittura la firma di un re, facevo il pastore, d’estate sui verdi alpeggi di Briga, e d’inverno nelle “bandie” di Civezza, a pochi passi dal mare. Amavo il mare, e spesso correvo giù per la   mulattiera e, a “barbarossa” mi tuffavo nell’acqua gelida, per poi asciugarmi al sole, tra gli scogli. Nuotavo bene, ed è ciò che mi salvò, quella maledetta notte…

Partimmo da Rodi l’11 febbraio 1944, caricati come bestie su un piroscafo norvegese, ricordo il nome: ORIA. Eravamo tantissimi, più di

4.000 soldati, fino a poco tempo prima osannati come eroi invincibili che avrebbero spezzato le reni al mondo intero e diventati in un attimo traditori, carne da macello, senza un cane di nessuno che ci desse ordini, che ci difendesse o ci reclamasse, abbandonati come  quelle “fee” (pecore) vecchie e malandate, che neanche i “vignolini” vogliono più…

Le stive erano talmente strapiene che quando ci imbarcarono noi ultimi, ci lasciarono sul ponte.

Il mare era in burrasca, e quella carretta scassata arrancava tra le onde, tutti vomitavano e si lamentavano, pioveva anche a dirotto. La notte successiva alla partenza a un certo punto la nave andò a cozzare contro uno scoglio, e affondò in pochi minuti.

Mi trovai in mare, acqua gelida e onde enormi, buio pesto. Con la forza della disperazione cercai di stare a galla e allontanarmi dall’enorme scafo nero che stava affondando, mentre dal suo interno saliva al cielo l’urlo di quattromila ragazzi che stavano affogando come gattini nel sacco.

Hai mai sentito QUATTROMILA UOMINI che   stanno   morendo contemporaneamente??? E’ qualcosa di terribile, inimmaginabile!

“Il cielo ammutolì, anche Dio ammutolì quella notte…”

“E poi? ”  (feci io) “E poi perché non hai provato a tornare in Italia?” Il sordomuto mi guarda con i suoi limpidi occhi azzurri:  “Tornare in Italia? Tornare a prendere ordini da quei signori che ci hanno abbandonato, e magari dopo hanno anche preso la pensione? No grazie.

Anche io sono morto quella notte, ho ancora nelle orecchie l’urlo dei miei commilitoni, per quello sono diventato sordo, per quello sono diventato muto”.

La tua musica, caro ragazzo, mi ha riportato alla mente i ricordi di quando ero vivo: il mio paese, gli amici, le ragazze, i balèti, i festìn.

Grazie…

Roberto Amoretti

(Articolo pubblicato da Ousitanio Vivo, giornale in lingua occitana delle valli del Piemonte gestito dall’Associazione Lou Soulestrei e ricorda un episodio terribile della seconda guerra mondiale). 

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