IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

di Elena Tempestini

Gli anni che videro la nascita del nuovo Regno d’Italia, furono di assestamento sia urbanistico che economico, con il coinvolgimento dei mercati finanziari europei. L’industrializzazione e il riassetto delle città in espansione, erano un richiamo per gli investimenti di capitali provenienti da tutto il mondo.

Il nuovo Senato apriva le sue porte a uomini che avevano dato un contributo culturale ed economico negli anni precedenti l’unione, uomini che come il Cambray Digny, univano la ricca borghesia con la più illustre e vecchia aristocrazia.

Il Conte Pietro Bastogi

I matrimoni di convenienza in quegli anni si susseguivano come trame di una fitta ragnatela, le parentele si estendevano dando grande potenza a nuovi banchieri. I Fenzi, i Barberini Colonna, Ricasoli, Cambray Digny  ed altre casate di prestigiosi nomi e interessi, stavano divenendo i principali detentori della nuova Italia. E se oggi sappiamo che le parentele spesso hanno giocato un ruolo notevole nel peso della politica, immaginiamoci agli albori di un nuovo Regno da costruire, e nella nuova capitale di esso, la già potente Firenze.

Nel 1862 era nata la “Società Italiana per le strade ferrate meridionali“, l’iniziativa era stata ideata e promossa dal Conte Bastogi, con la tutela dei solidi banchieri toscani Adami e Lemmi, conosciuti a loro volta per aver finanziato l’impresa Garibaldina. Non tutto andò come il Bastogi aveva previsto, ed insieme a Domenico Balduino, presidente della Cassa di Commercio e industria, che divenne poi Credito Mobiliare, si adoperarono per estromettere gli Adami Lemmi dall’affare, e inserire dei propri e fidati finanzieri amministratori.

Rete Strade Ferrate Meridionali al 1905 (fonte: Wikipedia)

Nel consiglio di amministrazione vi erano ventidue membri, dei quali quattordici erano deputati del Regno. In breve tempo gli iniziali sospetti sollevati anche dalla stampa, divennero certezze, la corruzione e la distribuzione di tangenti, venne alla luce dopo pochi mesi dalla costituzione della società. Emerse che il Presidente della Commissione parlamentare, incaricata di vagliare l’operato societario, aveva preso soldi dalla società del Bastogi. Lo scandalo fu immenso, ma non ci furono strascichi giudiziari, nessuno fu condannato se non a ” riflettere” nel futuro con maggior saggezza.

La nuova nazione si era appena costituita, c’era un nuovo stato da organizzare, nuove imprese da costruire, una banca unica centrale da fondare e una regola statale di politica economica da instradare. Fino a quel momento la costruzione delle strade ferrate italiane era l’accordo aziendale più favorevole all’espansione capitalistica del nuovo Regno, lo scandalo delle tangenti che ne erano scaturite fu un duro colpo alla politica economica italiana, ma sicuramente il potere finanziario era ancora saldamente nelle mani di una Destra Toscana costituita da ricchi banchieri. 

La nascita di molte banche nel periodo di Firenze capitale, era facilmente comprensibile, c’erano ingenti necessità di credito, sia per i lavori edili del rifacimento cittadino sia per la nascita di molte nuove società. Le compravendite dei terreni sui quali edificare i nuovi alloggi erano in aumento e la richiesta di fondi per le speculazioni in costante aumento. Grandi e immensi interessi si stavano concentrando in Firenze, molti erano gli appalti per i lavori pubblici, che comprendevano la costruzione di nuove piazze, strade, viali alberati e di circonvallazione cittadina, il maestoso Piazzale Michelangelo, nonché nuove fognature con relativo impianto idraulico, opere che richiedevano l’immissione di ingenti capitali.

Il primo importante cliente bancario in cerca di soldi, fu proprio il comune di Firenze, come risulta dalle cronache del giornale la Nazione del 4 luglio e del 7 luglio 1865, si legge la notizia che erano state avviate trattative tra il Comune di Firenze e la banca Nazionale Sarda dell’allora presidenza Bombrini, trattativa non portata a termine come da notizia riportata il 15 agosto 1865. L’aiuto arrivò da influenti personaggi della finanza inglese, la Gresham l’idea Assurance, la Sunfine Office company, la Cagliaris gas and water company limited e la Mocenis railway company. (poi divenuta Creswell), società che successivamente confluirono nella Florence land and pubblic work limited del banchiere Hudson, tutelato e rappresentato in città dall’ avvocato Tommaso Corsi.

La politica della destra liberale dei fiorentini nel 1865, era totalmente concentrata ai lavori di rifacimento cittadino, l’investitura di essere la capitale del nuovo Regno, generava una volontà di onnipotenza che stava completamente distruggendo la medioevale e rinascimentale città, si voleva costruire la nuova e grande Firenze, non importava quanti soldi sarebbero stati necessari al progetto.  

Molti ” affaristi” si precipitarono in città, gli speculatori che desideravano comprare appartamenti da rivendere o affittare, grazie alla domanda di alloggi che stava facendo salire i prezzi, stavano facendo ottimi affari, ma erano i banchieri di tutta Europa che fiutarono la grande necessità di offrire il loro denaro in cambio di lauti affari.

Molti istituti di credito nacquero in questo particolare momento, la banca degli Imprestiti agli impiegati del Regno D’Italia, (aut. 7 febbraio 1865) la società di Credito Mobiliare, oltre la banca Nazionale Toscana, l’Anglo Italian Bank e la banca di Credito di Firenze e la Banca Toscana, che rimaneva ancora la più influente. All’interno della Banca Anglo Italiana, figuravano Sir James Hudson, James Philip Lacaita, Bettino Ricasoli e Ulisse Guarducci.  C’era il bisogno di riportare calma nel clima fiorentino, i liberali avevano bisogno di quiete e consapevolezza per amministrare la nuova capitale del regno che stava dando opportunità di costruzione e arricchimento a tutta la finanza europea.

Sul giornale la “Gazzetta di Firenze“, che era di area più moderata rispetto al giornale la Nazione, si auspicava dalle sue colonne, di vedere gli interessi speculativi messi in disparte, per il bene di una città in totale ricostruzione, una città completamente sventrata. Si chiedeva di dare battaglia per regolamentare una politica bancaria in quel momento sfrenata, che avrebbe presumibilmente creato problemi in futuro, i rapporti tra governo e banca andavano armonizzati.

Ne nacque una diatriba tra il banchiere Seismit Doda e Quintino Sella, accusato pubblicamente di aver creato una banca unica aumentando il capitale sociale della Banca Sarda, quando la fusione di quest’ultima con la Banca Toscana era solo un progetto. Il ministero delle finanze, retto di fatto dal Cambray Digny, acquisiva sempre più potere, gli interessi della classe dirigente toscana si stavano espandendo e l’attenzione agevolata era per il Credito Mobiliare diretto da Domenico Balduino.

Fu allora che Bettino Ricasoli suggerì al conte Pietro Bastogi, di formare e fondare una società a capitale italiano e straniero per diversificare l’interessamento dei Banchieri Rothscild dalla costruzione delle ferrovie del nord, di rendere onore ancora una volta alla forza del capitalismo italiano. La società Anglo toscana che si era formata in Firenze capitale, era molto potente tanto da non poter fare a meno di esercitare la propria influenza nei capitali per le ricostruzioni del nuovo assetto cittadino. Gli Hambro, gli Hudson e i Baring, affiancavano la Banca Nazionale Toscana e la Banca di Credito di Firenze.  Ancora una volta dopo la società delle Ferrovie del Meridione, l’asse Bombrini, Balduino e Bastogi si stava riunendo, e ancora una volta ne nacque uno scandalo.

Il nuovo Regno d’Italia, la nazione appena unita sotto il tricolore, dovette affrontare il nodo del Monopolio dei tabacchi, nodo molto intricato che si era palesato durante il governo Menabrea, già accusato di essere un governo “extraparlamentare” della corte, un governo esclusivamente di destra. Il governo del Menabrea, era incentrato principalmente sul risanamento amministrativo delle disastrate finanze dello Stato, e dopo l’impopolare tassa sul macinato, che aveva provocato sanguinose rivolte civili, si pensò di rendere privata la produzione e la vendita dei tabacchi.

L’otto agosto del 1868 il Parlamento approvò la concessione privata della fabbricazione dei tabacchi, costituendo una “Regìa cointeressata dei tabacchi“, la società era a totale capitale privato. La manifattura dei tabacchi, su cui lo Stato deteneva il monopolio, avrebbe richiesto la riorganizzazione e l’ammodernamento degli impianti di fabbricazione, ma il neo Regno d’Italia non era in grado di operare gli investimenti necessari.

Si decise di dare l’opportunità a una convenzione con un gruppo di investitori italiani e stranieri tra le quali figuravano: la Società Generale del Credito Mobiliare Italiano, il gruppo Stern di Parigi, di Londra e Francoforte e il gruppo della Banque de Paris. Il Cambray Digny era in ascesa dentro al nuovo Ministero delle finanze, il Regno d’Italia aveva bisogno di ” nuova linfa vitale” e nessuno meglio di lui poteva portare avanti le aspirazioni e gli interessi Toscani. Il Credito Mobiliare, con la presidenza di Domenico Balduino, era divenuto sempre più banca d’affari, al quale il Digny accordava tutta la sua esclusiva attenzione. 

Il giornale la Nazione e la Gazzetta di Firenze pubblicarono l’elenco dei finanzieri internazionali che stavano “allegramente” lucrando alle spalle dei poveri fumatori italiani, la manifattura di Via Guelfa venne ingrandita con nuovi locali in San Frediano, della quale ristrutturazione, in maniera esmplare, la nuova società addebitò i costi allo Stato. Per i vertici della società Regia, e per la regola di vita “che l’attacco è sempre la migliore difesa”, venne trovato il problema che il tabacco non ancora lavorato, e depositato nei magazzini dello Stato, si era deteriorato.

Il Governo non trovava pace, tutto stava iniziando a scricchiolare e crollare, creando densi fumi nel governo Menabrea. Le parole e i pensieri dei cittadini spesso sono riportati dalle cronache dei giornali, e il malcontento davanti a questo scandalo, non risparmiò nemmeno il Re, si vociferava che Vittorio Emanuele II fosse entrato nel giro di tangenti insieme a una dozzina di parlamentari di destra che si erano assicurati un pacchetto di obbligazioni a condizioni davvero privilegiate.

La privatizzazione fu un grosso buco nell’acqua e la società fallì. Fu istituita una Commissione Parlamentare di inchiesta. Le maggiori fazioni politiche della destra Piemontese e della maggioranza di sinistra, che si erano opposte alla costituzione della società privata, incitarono i lavori della Commissione. Lo Stato, secondo un intervento parlamentare del Rattazzi, aveva voluto risparmiare soldi, non effettuando gli investimenti necessari ai macchinari dei Monopoli, rinunciando a dei considerevoli introiti e privilegiando una società di capitalisti privati, con il fine di accrescere le entrate di molti deputati. Ci furono due gradi di istruttoria, uno segreto per rilevare tutte le testimonianze e uno pubblico.

Il 12 luglio del 1869 la Commissione presentò la relazione conclusiva dell’inchiesta, furono tutti prosciolti dalle accuse, nonostante che quattro giorni dopo la nomina della Commissione, fosse stato assassinato l’Onorevole Lobbia, insieme a due testimoni chiave, principali accusatori dello scandalo delle tangenti, oggi forse penseremmo: “delitti per ragion di Stato?” Nel Novembre del 1869 cadde il governo Menabrea, e come era già accaduto in seguito allo scandalo per la concessione delle ferrovie meridionali, nessuna prova riuscì a sciogliere i dubbi dell’interesse tra il bene pubblico e l’interesse privato, ogni accusa cadde e furono tutti assolti. Giovanni Lanza, deputato del Regno, rilasciò come dichiarazione alla stampa: ” un affare scandaloso, indecente quello della Regìa Tabacchi, che può stare a fianco se non davanti a quello delle ferrovie Meridionali”.

Ancora avevano da venire gli anni di Giolitti e del Crispi, gli anni del grande scandalo della Banca Romana. Al garibaldino Cristiano Lobbia che tanto si batté per far chiarezza, nessun ricordo gli è mai stato attribuito, se non la fantasiosa occasione speculatrice di un “cappellaio” che inventò il nome del “cappello a Lobbia”, il borsalino con l’infossatura centrale, ideato proprio in base all’agguato subito dal Lobbia in Firenze.

Lo scandalo della Regìa Tabacchi sembra la trama ottocentesca di un romanzo, una storia fatta di intrighi, tangenti e capitali finanziari, ma è la realtà di una parte di nascita del sistema capitalistico italiano, una storia di scandali della nostra nazione, il prezzo pagato da una città capitale, che per ambizione e potere, si è persa per molti anni, ma con una volontà ferrea nei densi fumi del tabacco, di non scordare mai gli eventi della storia.

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