IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La giornata della memoria: i nomi e i muri che ricordano, per restituire dignità alle vittime della Shoah

Auschwit

Auschwit

di Maria Pina Ciancio

“Il Signore formò dal suolo ogni genere di animale selvatico e ogni uccello dei cieli,

che condusse quindi all’uomo per vedere che nome gli avrebbe assegnato…

L’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame,

agli uccelli del cieli e a tutte le bestie del campo”.

(Bereshit 2, 19-20)

Sei milioni di morti. Fa orrore, oltre che male al cuore pronunciare questo numero. Un numero fatto di tanti altri numeri che ci riguarda tutti. Sei milioni di uomini, donne e bambini ebrei uccisi nelle camere a gas, per stenti, per privazione, per la subdola supremazia di un uomo sull’altro uomo. Tanti sono rimasti solo numeri, un marchio nero sul braccio o sul petto e a loro non si è riusciti a restituire oltre che una sepoltura, neppure il proprio nome. Le leggi razziali, hanno reso degli esseri umani anonimi, vuoti, mutilati.

Dopo avergli tolto scarpe, vestiti, affetti, gli hanno tolto anche il nome e il cognome per renderli privi, mancanti, sprovvisti di qualcosa che possedevano, che gli era proprio e a cui avevano diritto.

Il numero inchiostrato sulla pelle rappresenta infatti uno dei punti culminanti del processo di disumanizzazione studiato a tavolino da Himler e dalla macchina di morte nazista. Il prigioniero privato del nome, diventava così semplicemente un “numero di registrazione” che doveva imparare a memoria ed essere in grado di poterlo recitare, in tedesco, ad ogni chiamata o convocazione.

Ad Auschwitz, il più grande campo di sterminio nazista, furono circa 400mila le persone registrate e ridotte a un numero, oltre la metà di loro vi trovò la morte.

Da sempre nella storia dell’uomo il nome appartiene alla persona, come la vita, la libertà, l’onore e, concorrendo con questi e con altri elementi a costituire la persona umana, serve anzi a contraddistinguerla nella civile comunanza.

Avere un nome e un cognome si traduce anche nell’appartenenza  a una famiglia e nella tutela della stessa.

Si tratta di un diritto inviolabile, che viene acquisito automaticamente nel momento in cui nasciamo e ci “appartiene” per tutta la durata della nostra vita, per cui nessuno può privarcene o servirsene al posto nostro senza il nostro permesso.

Oggi in Italia la  tutela giuridica del Diritto al Nome è garantita  dall’art 12 della Costituzione e dagli articoli 6 – 7- 8 del Codice Civile.

Nel corso dei secoli l’importanza del nome, presso ogni popolo, ha assunto sfumature e rilevanze diverse. Nelle sacre scritture era molto diffusa  la credenza che il nome rappresentasse una predestinazione strettamente legata al suo possessore, si pensi che i nomi dei sovrani egiziani venivano scolpiti sui monumenti per garantire il prolungarsi della loro vita al di là della morte, perciò il peggiore castigo era la cancellazione del nome.

Anchepresso gli ebrei la scelta del nome aveva una importanza speciale, poiché vigeva la cre­denza che il nome manifestasse la natura e in certo senso segnasse il destino di colui che lo portava. Si può dunque immaginare il danno e lo sfregio perpetrato ai danni di questo popolo, che si è ritrovato privato prima del nome, poi del corpo.

Dopo la Shoah, è stato infatti molto difficile praticare il lutto per le persone scomparse. In molti casi non se ne conosceva il nome, non si sapeva se e quando fossero morti; quando si è riusciti a recuperare pian piano alcuni dei nomi delle persone scomparse, si è iniziato a leggere l’elenco di questi ultimi durante lo Yom HaShoah, la Giornata del ricordo dell’Olocausto, che ricorre il ventisettesimo giorno di Nissan, nel calendario ebraico, per ricordare che ogni vittima, uomo, donna, bambino è una persone singola e unica,  e che ogni uomo ha un nome che gli è stato dato da Dio, suo padre e sua madre. E’ simbolicamente il momento della riconsegna della propria dignità, perchèAvere un nome vuol dire significare qualcosa” (Rt 4,14).

A seguito di ciò sono stati realizzati molti monumenti, denominatiMuro dei Nomi, se ne trovano in tutte le città del mondo: Amsterdam, Berlino, Praga, Milano. In Italia, alla Stazione Centrale di Milano,  su una lunga parete vengono proiettati i nomi di tutti i deportati che partirono dal Binario 21 verso i campi di sterminio nazisti e tra questi ci sono anche quelli della famiglia Segre, di Liliana e suo padre Alberto.

Raccogliendo l’invito rivolto da Gerusalemme, di documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah, in molti luoghi del mondo, avviene inoltre la lettura dei nomi dei deportati, l’accensione delle candele e un minuto di silenzio. Questo con l’obiettivo di preservare la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime. Avere un nome vuol dire essere riconosciuto nel proprio diritto e nella piena dignità di esistere. Chiamare qualcuno col suo nome significa riconoscergli altrettanta dignità, altrettanto diritto, significa, ancora di più, abbracciare la sua individualità, unica, irripetibile, come ogni storia.

E per questo oggi voglio chiamare le vittime dell’Olocausto col loro nome, una ad una, per non dimenticare e per non dimenticarli:

David, Golda, Aaron, Tsion, Adam, Yona, Amos, Zekharia, Avraham, Ben, Binyamine, Chalom, Navé, Chimchone, Chimone, Chmouel, Daniel, Eden, Eleazar, Eliyahou, Aliza, Ephraim, Gad, Giosafat, Hadas, Immanouel, Israel, Levi, Matityahou, Adina, Mikhael, Moché, Nathane, Navé, Noah’, Rabi, Raphael, Reouve, Shaoul, Sharone, Tsvi, Yaacov,Ychai, Chlomo, Yechayahou, Yeh’ezqel, Yehochoua, Yehonathan, Yehouda, Yehoyakim, Yiphtah‘, Yirmiyahou, Yits’aq, Yoel, Yoh’anan, Yosseph, Zeev, Alia, Ayla, Beulah, Bluma, Dalia, Kelila, Noa, Shayna, Yocheved, Zelda, Gavriel.

E a tutti voglio rivolgere, infine, una preghiera, che culmina con questo messaggio d’amore che Gesù rivolgeva ai suoi discepoli “ Rallegratevi… che i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10, 20).

Maria Pina Ciancio


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