IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Una chiacchierata con Nicolangelo Barletti, autore del romanzo “Doppia fuga”.

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di Enrico Conte

Nico Barletti, nato a Roma nel 1943, leccese di adozione,  è architetto e urbanista, con esperienze di ricerca e docenza universitaria. Da alcuni anni, dopo un lontano esordio in poesia con la raccolta “I colori del bianco” nei “Quaderni del Critone” diretti da Vittorio Pagano, si misura con la scrittura di romanzi:  “Vita felice di un pesce rosso” e “Tecniche di galleggiamento”. Ultimo, “Doppia fuga”.

Siamo in Grecia, durante la seconda guerra mondiale, si racconta di Giulio Vianelli, Console italiano a Larissa, in Tessaglia, un nazionalista fedele a Mussolini che, dopo l’8 settembre del 1943, giorno dell’armistizio e momento di svolta per la  guerra, collabora con le autorità tedesche occupanti e svolge attività di spionaggio.

“Se rimani ti uccidono”, dirà il 28 settembre del 1944 al Console italiano il Capitano della Kommandantur, consigliandogli di unirsi al convoglio tedesco in smobilitazione dalla Tessaglia, e così Giulio Vianelli si unirà al convoglio in fuga.

Nel libro si racconta la guerra dalla parte dei tedeschi attraverso Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Cecoslovacchia, Austria e per arrivare a Bad Aibling in Baviera.

Giulio Vianelli è figura dalla personalità molteplice, e contraddittoria, che unisce quella di un libertario che difende i più deboli a quella di un conservatore e alleato dei nazisti……”era rimasto sconcertato dall’armistizio e non sapeva come replicare agli amici nazionalisti che accusavano gli italiani di tradimento, di mancanza di etica e lui, che della serietà e degli impegni era un inderogabile difensore, si sentiva in colpa”….

Punto non secondario: il Console Vianelli è stato il nonno dell’autore del romanzo. Figura familiare tenuta pressoché nascosta fino al giorno in cui la madre di Barletti svela l’esistenza di un diario di quella fuga rocambolesca, rivelando un segreto familiare inconfessabile e avviando, così, lo svelamento di un’omissione, di una rimozione.

….”verso la metà degli anni ’50 gli adolescenti, nei pranzi di famiglia, restavano a tavola, ascoltavano senza immischiarsi, sorridevano educatamente a battute che non li facevano ridere….si  limitavano a rispondere alle caute domande sui loro studi, non sentendosi ancora pronti per partecipare a pieno diritto alla conversazione generale….”( gli Anni, Annie Ernaux)…

La seconda Guerra Mondiale

Domande

1.Architetto Barletti, quando si mette in scena una storia, tanto più se riferita alla guerra, si usa un linguaggio universale che narra l’esistenza di figure nelle quali potersi riconoscere, personaggi che sembrano incarnare archetipi comportamentali…. E’ stato anche questo il suo intento letterario?

Credo nella capacità di applicare anche alla scrittura pratiche di “ascolto”, per comprendere ciò che i personaggi vorrebbero dire, come se fossero interlocutori in carne ed ossa incapaci di trovare le parole adatte. Tra l’altro, ambiguità e ambivalenza possono giocare un ruolo liberatorio nella creazione letteraria, come avviene nelle relazioni sociali, provocandoci e facendoci riflettere. La dialogica si dovrebbe applicare sempre allo studio delle complessità, sia dei fenomeni urbani che delle creazioni di finzione.

Un’altra riflessione: secondo la teoria della deriva situazionista, il celebre procedimento creativo immaginato da Guy Debord, la scoperta della città avviene passeggiando liberamente, in modo apparentemente distratto, attraverso i diversi ambiti urbani, aggirando gli ostacoli creati dagli indirizzi economici e ideologici dominanti.

La stessa pratica credo che sia utile in letteratura, quando si lavora sui personaggi: io, personalmente, una volta determinati alcuni tratti fondamentali, lascio che questi si diversifichino, permettendo anche che i personaggi agiscano in maniera non prevista né prevedibile. Nello sviluppo del racconto, talvolta mi è successo che questi, in una certa misura, si siano mossi e abbiano interagito, in base a delle libere associazioni di idee, immagini, dialoghi che man mano si producono e si evolvono.

Le Meteore in Grecia

2. Il nonno Giulio è stata una figura assente nell’immaginario della sua famiglia, un vuoto di memoria condiviso, tuttavia sarà stata una personalità che deve aver lasciato una traccia, forse un tratto del carattere, una postura verso il mondo, un qualcosa che deve aver assunto connotati difficilmente decifrabili ma, come diceva Thomas Jefferson… la “mano morta del passato  si impone sul presente”…

Giulio, il mio nonno materno, certamente non è stata una figura assente dalla memoria della nostra famiglia. Al contrario, non poteva non esservi presente. Ma la sua presenza era stata avvertita come quella, scomoda, di chi aveva scelto di stare dalla parte sbagliata della Storia e che, insieme a molti altri, si era macchiato di una indicibile colpa: l’adesione al nazi-fascismo. Il ricorso all’oblio, non solo da parte mia, è stata una scelta forse obbligata, data la difficoltà del tema: è stato il tentativo di evitare la memoria attraverso il non parlarne, come se allontanare la responsabilità di ricordare e giudicare, bastasse a cancellare non solo la colpa ma anche l’eredità di quella colpa.

Javier Cercas, ne “Il sovrano delle ombre”, descrive il suo complesso stato d’animo, diviso tra il senso di colpa per un familiare franchista e il tentativo di esorcizzare questa colpa raccontandone la vicenda. Avevo capito che anch’io dovevo decidere se fosse meglio scrivere di mio nonno o continuare a dimenticarlo. Condividevo le parole di Cercas: “…smetteva di essere per me una figura confusa e lontana rigida fredda e astratta come una statua, una funebre leggenda di famiglia ridotta a un ritratto confinato nel silenzio polveroso di un ripostiglio e il simbolo di tutti gli errori e le responsabilità e la colpa e la vergogna e la miseria e la morte e le sconfitte e la paura e la sporcizia e le lacrime e il sacrificio e la passione e il disonore dei miei antenati per diventare un uomo in carne e ossa…”. Nel bene e nel male, capii che anche mio nonno faceva parte della mia storia e che quindi “…era meglio comprenderla che non comprenderla, farla propria che non farla propria, spiattellarla in un libro che lasciare che si corrompesse dentro di me come si corrompono dentro chi deve raccontarle le storie funebri e violente che rimangono non raccontate…”.

In fondo avevo capito che non rendendo pubblica la storia di Giulio, da lui stesso raccontata, non gli avrei dato la possibilità di mostrarsi per quello che era davvero e, quindi, lo avrei destinato ad essere coinvolto nella condanna globale dei nazifascisti.

3. E’ stata data una parola ad una assenza, si è inteso riscattare questa figura, facendola parlare e con ciò dando la possibilità di comprendere la sua storia, e sostituire il peso di quella omissione con il sollievo della assunzione di una responsabilità…….Giulio Vianelli era un personaggio complesso, nel quale agisce una doppia personalità…..ma suo nonno, poteva scegliere una strada diversa dopo quella imboccata fin dall’inizio e che lo aveva  legato mani e piedi al regime fascista e nazista, tanto da risultare nell’elenco delle persone da fucilare, stilato dai partigiani greci nel 1944?

Devo precisare: è stata l’imminenza della morte a spingere Elisa, la figlia di Giulio, ammalata terminale, a leggere i diari del Console in fuga al suo unico figlio Nicola, nel tentativo di permettere che la memoria del padre, fin ad allora rimossa e mai tramandata, potesse sopravvivere. Succede così che il distratto Nicola Pagano si avvicini per la prima volta a questo nonno materno, le cui vicende gli erano state tenute in gran parte nascoste dai genitori. 

Ulteriore precisazione: nel definire i personaggi, tranne Giulio Vianelli che è reale, ho attinto alle loro reali biografie, ma solo in parte. Nicola Pagano non sono io, è consapevole della forte ambiguità della propria personalità e in questo riconosce nel nonno Giulio un antecedente identitario. Anche Elisa non è mia madre: è la madre di Nicola Pagano e nel romanzo è lei a rivelare ed iniziare a leggere al figlio i diari. In realtà, la valigetta con i documenti e i diari di mio nonno sono stato io stesso a trovarli, seppelliti in un deposito.

Mi è sembrato che Nicola Pagano (protagonista per la terza volta dei miei romanzi) fosse un personaggio da non perdere di vista, e che fosse interessante metterlo al confronto con suo nonno Giulio, il Console italiano, anch’esso personaggio contraddittorio, in oscillazione tra i due lati della propria personalità: quello del libertario in difesa dei più deboli e quello del nazionalista conservatore, alleato dei nazisti,  specie ora in questa fase di mutazione antropologica e culturale, di cui ancora non riusciamo a intuire gli esiti.

I diari e i documenti non contengono elementi sufficienti per una risposta alla sua domanda in merito alla possibilità, del Console e di mio nonno, di seguire una strada diversa dal collaborazionismo con i tedeschi. Posso supporre, analizzando la sua storia e le sue idee intrise di nazionalismo, che la strada seguita fosse da lui creduta come necessaria per contribuire alla difesa del nazi-fascismo, ritenuto l’unico concreto baluardo di difesa delle culture di Italia e Grecia dal comunismo di Stalin.

Le Meteore in Grecia

4. Un libro che cerca di sfuggire dal presentismo che sembra condannare i nostri giorni,  che indaga vicende collettive con la lente dei comportamenti individuali, una riflessione che mette in scena l’uomo comune, con i suoi pregi e difetti di una vita vissuta nella normalità,  attraverso parole, e un racconto, che non vuole essere assertivo, ma che sembra voler suscitare( per usare un concetto ripreso da Carla Benedetti), una risonanza emotiva, per scuotere dal torpore e dal disincanto, da moderne reticenze, ma senza giudicare…….un diverso punto di vista….

Mi ha aiutato, nella decisione di raccontare la storia di mio nonno, anche la rilettura di un testo fondamentale: “La banalità del male”, di Hannah Arendt.

Ero consapevole di correre il rischio, scrivendo le sue vicende, che l’incarnazione in mio nonno della sospensione della colpa, del camuffamento nell’uniformità, poteva contribuire al fatto che il male diventava di tutti, inflitto, tollerato, giustificato, ignorato. E che, se fosse apparso normale, lo si sarebbe potuto ridurre e consumare come una procedura, senza domandare altro. Ma mi rendevo conto, al contrario, che il non raccontarne avrebbe fatalmente omologato anche nel mio debole ricordo le indubbie colpe, probabilmente banali, di mio nonno a quelle tragiche del nazifascismo.

Dovevo farmi carico di questa parte del passato della nostra famiglia? o era meglio dimenticarlo e farlo dimenticare? Dovevo, scrivendone, portare avanti questo tentativo di fare in qualche modo i conti con la sua memoria? Nel nero quadro della Storia comune, magari, la sua storia individuale, raccontandola, mi avrebbe permesso di comprenderla e farla mia e sostituire al peso dell’omissione il sollievo dell’assunzione di responsabilità. Capendo anche che la Storia della guerra era stata scritta dai vincitori e che nessuno avrebbe mai scritto la storia di quell’uomo, di cui lui stesso con i suoi diari ha lasciato memoria: una memoria occultata e dimenticata e che questa, perciò, era la migliore ragione per scriverla e non dimenticarla come un segreto inconfessabile.

Nel suo libro la Arendt avanza l’ipotesi: che la vastità del crollo morale provocato dal nazismo abbia avuto riflessi nelle coscienze di ciascuno di noi, certamente di maggior peso in quella di chi porta questo peso come eredità familiare.

Però, la stessa Arendt mi ha rassicurato sul fatto che “Ogni generazione, per il fatto di essere inserita in un tessuto storico continuo, è oppressa dalle colpe dei padri allo stesso modo in cui gode i benefici delle loro buone azioni”.

La testimonianza del diario credo che viva anche al di fuori dal singolo individuo: si fa strumento di conoscenza, la tragedia diventa immediatamente consapevolezza, responsabilità e giudizio, dunque memoria.

Questo libro affronta con imperfezione questi dubbi, senza la pretesa di averli risolti.

5. Nell’Iliade Omero fa dire ad un suo personaggio che gli uomini sono come le foglie, che muoiono e vengono sostituiti ad ogni stagione…….

Mi sono, al riguardo, imbattuto in una riflessione di Annie Ernaux nel suo ”Gli anni”:

“All’atto di cominciare si incappa sempre negli stessi problemi: in che modo rappresentare sia il fluire del tempo storico, il cambiamento delle cose, delle idee, dei costumi, sia l’intimità”. Come far coincidere la Storia e la ricerca di un io fuori dalla Storia? Ma è poi legittima questa ricerca?

Scrivendo, ho vissuto la sensazione di attraversare un tempo nel quale il passato e il presente si sovrappongono senza confondersi: una “sensazione palinsesto”, per usare una definizione della stessa Ernaux, un possibile strumento di conoscenza. Ho così costruito un progetto di scrittura che corrispondesse al bisogno di fondare la mia impresa su una esperienza reale. Ho cercato così di riprodurre nell’esperienza di Nicola, secondo le parole di Ernaux, “quel vociare che apporta senza tregua le continue formulazioni di ciò che siamo e dobbiamo essere, pensare, credere, temere, sperare”.

6. Mi è tornato in mente, del film del 1977 “I Nuovi Mostri”, di Dino Risi, Ettore Scola e Mario Monicelli, l’episodio “Un cittadino esemplare”: Vittorio Gassman assiste passivamente ad un omicidio, ma torna a casa dalla moglie e dal figlio, e cena allegramente……

L’opera della Arendt mostra che l’eccezionale talvolta si maschera da abitudine, con il risultato di travestire la disumanità in normalità, addirittura in mediocrità, pur di deviare ogni possibile segnale d’allarme e allargare lo spazio immorale dell’accettazione.

È quello che accade a Vittorio Gassman nell’episodio da lei citato de “I Nuovi Mostri”.

Con l’instillazione, nella nostra esperienza quotidiana, di dosi continue ma sempre più efferate di violenza, di una violenza che apparentemente non ci tocca e che riguarda altri da noi e dal nostro nucleo familiare – magari diversi, stranieri, di altra religione, di altra razza – subiamo inconsapevolmente un processo di mitridatizzazione. Che ci rende insensibili, indifferenti, distratti, pronti a nascondere alle nostre coscienze quello che succede vicino a noi. O, quantomeno, pronti a dimenticare.

7. Quali sono stati i suoi maestri, o figure che hanno contato nella sua formazione culturale?

Qui sarò necessariamente schematico, in quanto credo che la formazione culturale di ciascuno sia un processo costituito da innumerevoli stratificazioni e interazioni. Un processo continuo, mai definito e stabile.

Semplificando al massimo, alla mia formazione di architetto hanno contribuito due grandi personaggi: Borromini e Le Corbusier, oltre a mio padre Beniamino, a cui devo una certa capacità critica. Al mio vizio di scrivere, hanno contribuito anzitutto: Leopardi, Calvino, Vittorio Pagano e, negli ultimi anni: Louis-Ferdinand Céline, Raffaele La Capria, Don DeLillo e Philip Roth.

8. Cambiamo piano……”Il trionfo della finanza speculativa disarma la politica e l’economia, disarticolando la società e le sue tradizionali categorie interpretative….sembra che si possa fare a meno di sistemi concettuali e di categorie sociali, ma se si fa a meno di sistemi di costruzione della realtà  si dà spazio alla regressione…all’ossessione dell’identità e dell’individualismo sfrenato”- così’ Alain Touraine –  C’è ancora spazio per una riflessione collettiva nella quale riconoscersi o siamo condannati ad una solitudine digitale?   

All’inizio degli anni ‘40 Walter Benjamin commentava nel testo “Le tesi di filosofia della storia”, il quadro dipinto nel 1920 da Paul Klee, l’Angelus Novus, “…l’angelo della Storia, ha il viso rivolto al passato dove ci appare una catena di eventi egli vede una sola catastrofe… ma una tempesta spira dal paradiso… e lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle Rovine sale davanti a lui nel cielo: ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta”.

Ad un secolo da quella lettura, a guardar bene con l’occhio di oggi l’opera di Klee, si scorge di nuovo l’angelo della Storia, ma c’è un cambiamento: il suo volto rivolto allora al passato stavolta si rivolge al futuro. È da lì, infatti, che spira la tempesta, al contrario di quanto avvenne con la guerra, adesso la tempesta spira dall’inferno del futuro (un futuro immaginato previsto e temuto prima ancora che accada) verso il paradiso del passato (un passato probabilmente solo raffigurato a posteriori dopo averlo perduto e visto andare in rovina).  Oggi sembra quasi inevitabile che ciascun individuo si trovi costretto a cercarsi o costruirsi soluzioni individuali ai problemi prodotti dalla società e poi a metterle in pratica sulla base del proprio intelletto e delle proprie abilità e risorse individuali.

Quando i territori ed i loro tessuti sociali ed economici sono in rapida trasformazione per effetto della globalizzazione, bisogna mantenere o ricostruire un legame con le tradizioni e le culture dei luoghi. I contesti devono essere i media per l’integrazione tra arte e corpi sociali. Devono attivarsi pratiche di lavoro multiculturali e poliartistiche, attraverso le quali si mescolano, restituendone coscienza, memorie collettive, storie e sensibilità, per una formazione di nuove forme di comunità più dinamiche, ma anche più integrate.

9. L’AI, e gli algoritmi che ne sono alla base, si servono di metodi di calcolo statistici che, inevitabilmente, portano a preferenze e risultati “medi”. Questo non finirà ( sta già accadendo) per attenuare il senso etico delle scelte individuali? Lo sviluppo delle piattaforme di AI che agiscono sul terreno delle informazioni, che ci orientano e condizionano,  non porterà sempre di più a polarizzare le persone riducendo  quelle dotate di competenze e di senso critico?

Le piazze più frequentate, oggi, sono le “piazze” virtuali, prive appunto della necessaria fisicità, di quel rapporto tra persone che guardano, toccano, si esprimono oltre che con le tastiere, discutono e dialogano anche con le espressioni corporee, con gli sguardi, con le intonazioni e le sfumature della voce.

La vita politica, come quella individuale, non sembra più concepibile senza l’intromissione dei media, dei social, che cambiano il nostro rapporto con lo spazio e con il tempo. Di alcuni media, dove la discussione e il ragionamento negati, inibiscono il formarsi di un’opinione pubblica.

Contro il degrado e la spoliazione degli usi della città, l’azione popolare è diritto e dovere di resistenza, in quanto si tratta di azioni contro il pubblico interesse, contro il diritto di cittadinanza violato in disprezzo del dettato costituzionale. Memoria e cultura sono in una fase di criticità quando all’interno della città il riferimento identitario non è stabile, o cambia con una velocità e con una casuale arbitrarietà, al di fuori da processi di elaborazione di sensibilità collettive, mostrando la fragilità della struttura urbana.

Hannah Arendt ha sottolineato la sempre più frequente scomparsa dello spazio costruito dai molti, lo spazio pubblico, lo spazio in cui si rende possibile la molteplicità degli usi, in cui ciascuno si muove tra i suoi pari. Bauman parla di crisi dell’agorà, secondo qualcuno ridotta all’insignificanza: effetto e causa dell’interruzione della comunicazione tra pubblico e privato.

“Doppia fuga” di Barletti, nel raccontare la vicenda di un uomo calato fino in fondo nelle tragiche vicende del secolo breve, ci invita anche a riflettere su quel colore “grigio”, per usare la metafora di Primo Levi, che indica “la zona” estesa, non solo nei Lager, ma ovunque, e che  separa e unisce i carnefici e le vittime.

Un colore grigio con cui fare di continuo i conti, che domina questo nostro presente, e in ragione del quale è già utile esercizio il riconoscerlo e distinguerlo da altri colori.  

Trieste-Lecce 11 giugno 2023

Enrico Conte

Redazione di Triestede Il Pensie

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