IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“L’ARMONIZZAZIONE DEGLI OPPOSTI NELLE OPERE DI UGO FOSCOLO” ANALISI  DI GIOVANNI TERESI

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Ugo-Foscolo

Ugo-Foscolo

 Nelle sue composizioni il Foscolo non insiste mai con esclusività né su motivi pessimistici né su motivi ottimistici: come nella sua meditazione di pensatore ragione e cuore si oppongono, così anche nella sua elaborazione poetica si oppongono la desolazione e l’ansia di evadere vin un mondo assoluto, il disprezzo della vita e la brama di vivere con pienezza.

Il Foscolo distinse la realtà in oggettiva e soggettiva, in razionale ed affettiva o illusoria: tra i due aspetti c’è netta opposizione:  di qui l’essenza drammatica della ispirazione foscoliana. Ad una affermazione desolata della ragione reagisce immediatamente il cuore; ad una visione tetra offerta dall’esperienza si contrappone una visione luminosa creata dall’illusione.

Ragione e cuore, realtà ed illusione, sono nel Foscolo due termini opposti, ma strettamente connessi fra di loro, infatti è la ragione che provoca la reazione del cuore, è la realtà che provoca l’evasione nel mondo del sogno.

Il poeta, perciò, tiene presenti i due termini opposti e non li abbandona mai esclusivamente e separatamente all’interpretazione dell’uno e dell’altro: tempera la durezza e gli orrori della realtà oggettiva con la preziosità della realtà illusoria.

Nello “Jacopo Ortis”, ove l’interpretazione pessimistica della vita costituisce la sostanza dell’ispirazione, appaiono qua e là tentativi di evasioni ideali, tanto più drammatici quanto più triste è la realtà da cui il protagonista tenta di uscire.

“I tuoi confini, o Italia, sono questi; ma sono tutto dì sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? — Ov’ è l’antico terrore della tua gloria? Miseri! noi andiamo ognor memorando la libertà, e la gloria degli avi le quali quanto più splendono tanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime, i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forse un giorno che uniti perdendo e le sostanze, e l’intelletto, e la voce sarem fatti simili agli schiavi domestici degli antichi, o trafficati come i miseri negri, e vedremo i nostri padroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri di que’ Grandi per annientarne le ignuda memorie,- poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione di superbia, ma non eccitamento dell’antico letargo … “

In forza dell’ armonizzazione degli opposti, il Foscolo riesce a fondere insieme reale e ideale,  quindi tenda a far prevalere le forme della vita del cuore su quelle della ragione e far a sentire la vita nei suoi aspetti più svariati .

Nel carme dei “Sepolcri” il Foscolo ha scelto il motivo più nero di una concezione desolata della vita;  cioè il motivo della morte  conosciuta come annientamento. Proprio alla vista di questo motivo, che lo inorridisce e lo angoscia, il cuore si propone di esaltare la vita presente e di perpetuarla dopo il superamento del fosco traguardo.

Trattando del tema della morte, Foscolo si inserisce nel filone settecentesco dei poeti inglesi “sepolcrali” (Thomas Gray), ma esprime un forte materialismo: l’uomo fa parte del ciclo naturale dove vi è un mutamento continuo delle cose, per cui tutto nasce ed è destinato a morire, continuamente.

In morte del fratello Giovanni

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo

di gente in gente, me vedrai seduto

 su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

 il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

 La Madre or sol suo dì tardo traendo

 parla di me col tuo cenere muto,

 ma io deluse a voi le palme tendo

 e sol da lunge i miei tetti saluto.

 Sento gli avversi numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta,

e prego anch’io nel tuo porto quïete.

 Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, almen le ossa rendete

allora al petto della madre mesta.

Il messaggio finale del poeta è quello di accettare la morte come naturale destino dell’uomo. Questa accettazione non deve però lasciare che l’uomo viva in maniera passiva, perché è comunque possibile indirizzare il percorso della storia verso una precisa evoluzione. In questo senso, la memoria (dell’uomo in particolare e della società in generale) è un importante elemento di riscatto contro l’oblio e il nulla a cui ci porta la morte.

«Ahi su gli estinti / non sorge fiore, ove non sia d’umane / lodi onorato e d’amoroso pianto» (Dei Sepolcri, vv. 88-90)

«I monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene» (lettera del 26 giugno 1807 all’abate Aimé Guillon)

Nei Sepolcri ci troviamo di fronte ad un carme in cui la morte è come soverchiata dal desiderio che ha l’uomo di vivere e a cui le visioni funeree sono soverchiate dallo splendore della bellezza, dalla dolcezza degli affetti, dall’immortalità dell’eroismo.

Così il carme della morte diventa canto di esaltazione della vita: chi promuove questo miracolo è l’illusione, chi lo realizza artisticamente è la tecnica classica.

Tutto il concetto  che ora il poeta svolge si può riassumere nei famosi versi: “A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti…. e bella e santa fanno la terra che li ricetta”. Firenze, ad esempio,  che ad pera dei Francesi ha perduto tutto, anche l’Italia, cioè la madre sua naturale,  nella sua incalcolabile miseria, possiede ancora preziosi tesori in Santa Croce: le tombe del Machiavelli, di Michelangelo, di Galilei.

Dalle tombe dei grandi, a chi ben l’ascolti, viene una voce che esorta al culto degli ideali, a cui essi in vita dedicarono tutte le loro forze: è come la voce di un nume, sacra e persuasiva. In Santa Croce ascoltò questa voce Vittorio Alfieri, il cui sepolcro è diventato, a sua volta, un altro altare uguale a quello dei grandi che egli venerava.

La poesia del Foscolo procede per ombre e luci, con il deciso sopravvento della luce sull’ombra, allo stesso modo che  nell’ispirazione il mondo del cuore o dell’illusione si afferma su quello dell’esperienza e della ragione.

Il dramma insito nell’ispirazione è di per sé stesso incline a manifestarsi in forme impulsive e teatrali, viene frenato da una disciplina artistica che impone alla ragione di non compiacersi spregiudicatamente di visioni orride e comanda al cuore di non urlare le sue angosce.

Il Romanticismo, allora incipiente, poteva indurre il Foscolo ad accogliere un indirizzo formale esagitato, impulsivo ed interessante per la sua passionalità. Il Foscolo alla tentazione di adottare una forma tragica seppe resistere in forza della sua educazione classica.

Volendo individuare nello sviluppo de’ “I Sepolcri” una specie si successione logica che richiami le linee seguite dal Petrarca ne’ “I Trionfi”, potremmo parlare di tre vittorie: il trionfo del cuore e del sepolcro sulla morte annientatrice, il trionfo del tempo sul sepolcro, il trionfo della poesia sul tempo.

L’uomo tende alla felicità come al fine ultimo della sua esistenza: ma chi può mai proclamarsi felice sulla terra? Illusione il pretendere di raggiungerla (1). La vita presenta delusioni e fallimenti per tutti, visto che la sua fine è lo scacco ultimo della morte. E’ ovvio che al centro di tutti questi valori sta la immortalità dell’anima, la cui accettazione o rifiuto dà un senso tutto opposto alle vicende della vita umana. Ma tale immortalità o meno è già inclusa nella fede|rifiuto della Provvidenza.

L’uomo cerca il bene, quello valido per tutti, quello morale: ma vi è del tutto incapace. Altro è come si vorrebbe vivere, altro come ci si comporta di fatto: la favola di Fedro  delle due bisacce, imposte da Giove sulle spalle degli uomini, ci mostra chiaramente che, al più, possiamo ignorare le nostre magagne, ma in compenso vediamo molto acutamente quelle altrui; e gli altri ci rendono, a suo tempo, coscienti delle nostre.

Questi “beni” esistenziali comunissimi, messi in crisi dal razionalismo illuministico, Foscolo li chiama, talora, con altri termini; altri, poi, ne sottodistingue  nelle grandi categorie  accennate.  Ma li usa anche esplicitamente: “L’UOMO SARA’ INFELICE” (in apertura del “Frammento della storia di Lauretta” );  del “BELLO” e del “VERO”  parla nella lettera del 15 maggio 1798: in entrambi i casi, egli fa uso del carattere  maiuscolo! (2)

Ad indicare, poi, l’insieme delle aspirazioni dell’uomo, la pace, la felicità,  l’amicizia… egli usa sempre più spesso la parola “ARMONIA”: la si  incontra  nelle Ultime lettere, il 20 novembre 1797, cioè quasi in apertura, ma  per una sola volta; la si ritrova nei Sepolcri tre volte (vv. 9, 27 e 233).

Giovanni Teresi

Bibliografia:

(1) Foscolo anticipa lo scetticismo di D’Annunzio e Trilussa, che si completavano così in due versi per loro ammiratori: “La vera gioia è sempre all’altra riva”; “Fortunato quell’uomo che ci arriva”!?

(2) “IL BELLO”   ci pare sinonimo  sia della felicità che dell’amore. Ecco altri passi interessanti: “-Non sono felice”- mi disse Teresa (20 Novembre 1797); “Non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: “Era uomo e infelice” (finale della lettera del 25 Maggio 1798); “Io ti feci nascere perché tu, anelando alla tua felicità, cospirassi alla felicità universale” (Lettera del 14 Marzo, mezzanotte, 1799). Le Ultime lettere di Jacopo Ortis sono l’opera che contengono  i vocaboli più espliciti di questi valori, sia pure nella loro forma negativa.

Ugo Foscolo

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