IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Paesaggi dell’anima. Paesaggi del Sud. Su Mino De Santis e Luca Imperiale.

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copertina libro inquietudini

di Annelisa Addolorato

Due autori pugliesi editi a Lecce da i Quaderni del Bardo Editore, sono riuniti, con un’opera ciascuno, nel medesimo libro, con la “Ballata per d’Io”, dell’uno e Inquietudini, dell’altro: il cantautore Mino de Santis e Luca Imperiale.

Aprendo il libro troviamo una ballata che, come una sferzata dolcemente canora, prelude, prepara il terreno, o quasi lo confonde, in una marcia-danza poetica densa di anafore, ritmate ripetizioni. Proprio come i proiettili che non vorremmo mai intercettare sul nostro cammino, i versi scavano in umori estremamente umani, laddove la prosa che li segue aprirà varie ferite, mostrando disagi reali di un mondo di cui è bene conoscere l’esistenza, per poter aiutarne la cicatrizzazione e favorirne la guarigione e scomparsa.

“(…)

Canta le volte a stella

delle mie quattro mura

Cantami della tregua

(…)

Tra verità celate

e milioni di perché

purché poi non capissi

che tutto è dentro me.”

(p. 6-7)

Nella poesia risalta questa immagine tutta pugliese delle “volte a stella”, che possiamo ammirare guardando all’in su in moltissime case ed esercizi commerciali, o anche studi o uffici, ubicati nelle terre di Puglia. L’apertura ‘verso l’alto’ di questa tradizionale ed elegante architettura quasi ‘celeste’, che in questi versi trova il suo contraltare nell’idea della chiusura tra le mura. Anche qui, con una immagine molto sintetica, troviamo un saggio e amorevole sguardo sul vissuto pugliese, salentino e non solo, di oggi e di ieri; o, anche che li unisce, in tempo e spazio, come poi spesso anche L. Imperiale, nel suo romanzo, che segue la ballata di M. de Santis, tiene a specificare, in una sorta di efficace e consonante teoria quantistica della narrazione, qui in prosa, là in verso.

Una reminiscenza cruda e pastosa, alla Niccolò Ammaniti accompagna il primo romanzo del pugliese Luca Imperiale. Qui si alternano e alterano mutuamente narrazione in prosa, slang, affezioni letterarie e religiose con temi sensibili, come quello della vita di strada, di crimini, violenza privata e contro le donne, criminalità organizzata, e la sopravvivenza di un che di ferino, sempre al limite, in condizioni tra l’umano e il sub-umano.

Yin e Yang si avvicendano, in un libro-scoglio, aspro e invadente, con narrazioni di quotidianità scomode del sud e non solo, spiattellate senza pudore da una parte, da Imperiale, ed arginate dall’altra, medicate dalla poesia, che possiamo anche immaginare integrata a una musica – firmata da Mino de Santis – che apre loro il passo.

Due autori complementari e opposti, per genere e stile, convivono in questo libro, un po’ come un Giano bifronte pronto a tutto pur di dar voce a chi non la può o non la vuole usare, o forse neppure ne conosce il timbro.

Ancora più evidente l’opportunità di prendere in considerazione questo testo in questo periodo estivo, in cui in chi ha a che vedere con la Puglia, per origine, lavoro, passione, viaggio, turismo, cultura, ecc. è più spesso in contatto con questa terra meravigliosa e ricca di possibilità, risorse umane, ricchezze naturali e anche punti delicati e contraddizioni da conoscere e sanare, insieme, essendo un territorio che merita la considerazione, le premure e l’amore (!) di tutte e tutti, localmente, nazionalmente e anche a livello planetario.

Sarebbe bello se – anche attraverso la lettura del breve spigoloso, acuminato romanzo di Imperiale, con a corollario e introduzione dei versi di De Santis – sia le persone che ci vivono, ci lavorano, la visitano e conoscono, scegliessero di supportarne il meritato fiorire, adottando sempre più abitudini virtuose e rispettose… di leggi locali, nazionali, internazionali, da una parte, di comprensione della peculiare – sotto vari aspetti – situazione e vita locale – dall’altra, e ancora del suo prezioso patrimonio ambientale, di flora e fauna e dal punto di vista anche dell’ambiente marino, cambiando – tutti gli attore in campo – in amore e interesse genuino per uno sviluppo responsabile, equo, rispettoso della natura, dell’ecosistema, ecc. ogni passo dato su questo territorio, sia da residenti sia da turisti, indipendentemente dalla professione di ognuno, ognuna, e dalla quantità di tempo trascorso in questo territorio sorprendente, in cui insediamenti messapici e riserve naturali, macchia mediterranea e chiese e architetture barocche si susseguono in panorami e atmosfere speciali; inoltre, dove molte coraggiosissime e fantastiche persone, singolarmente o in gruppo, fanno del loro meglio per accogliere chi arriva, sia di passaggio o per restare, in questa terra che dà e quindi merita il meglio da ognuna e ognuno di noi. L’accesso delle persone a questi posti dovrebbe anche essere in qualche modo organizzato in modo più corale, per valorizzarlo sempre più e migliorarlo, evitando che venga ‘sfruttato’, favorendone invece il miglioramento, a tutti gli effetti e livelli. L’accento, nel testo in prosa nel libro, dato al disagio umano, a vicende liminali e che costituiscono però ahimè – o meglio ‘ohimme’ – un vissuto reale per moltissime persone, è un accento che suggerisce la pretesa di essere ascoltato, come anche capito, oltre che in confessionali, oratori o ore di religione e anche confrontato con almeno alcuni degli altri aspetti, letterari ed esistenziali, che ho appunto suggerito, e che sono collegati al vivere in terre e situazioni in cui la vividezza dei colori e del sentire .

Questo esordio, da il la al romanzo, introducendoci subito nella dimensione in cui si vuole sviluppare, rendendo palese il contesto: e anche avvertendo previamente, tanto l’autore come chi scrive la prefazione, la presenza, tanto nel linguaggio come nei contenuti che verranno toccati, del disagio e della periferia, quasi come se fossero queste due entità il e la protagonista. Almeno, chi vuole continuare a leggere, lo sa, è da subito avvertito.

“Vive nella periferia di Roma, il centro della città è lontano, un sogno ad occhi aperti. Il Colosseo lo conosce per aver visto il “Gladiatore” un po’ per caso entrando di soppiatto, come un ladro, nel cinema del posto (…)”
(p. 15)

“Mi chiamo Paolo, sono nato il 25 aprile del 1951 in una casa al quarto piano di un palazzo ubicato nella periferia di una grande e importante città della Puglia. Il mio nome: Paolo, è ispirato dai miei nonni che amavano San Paolo (…)”
(p. 51)

“Se altri ricordi torneranno a galla ve li racconterò volentieri, adesso, però, torniamo nel bar con Luca, nell’altra periferia simile alla mia periferia”.
(p. 57)

Porte che di aprono e si richiudono su storie di vita di ragazzi e uomini, in una dimensione tra il reale e l’onirico, senza tempo, tra le periferie romane e pugliesi, e con almeno il conforto di una alfabetizzazione collegata a letteratura e Vangeli: sullo sfondo rimane una violenza su una donna, donna e violenza che in realtà sfondo non sono, ma il reale, nodale fulcro del testo.

Dare voce, prendersela, far emergere dalle pagine, che lo stesso autore di queste Inquietudini più volte dichiara essere ‘bianche’, un candore che pare davvero smarrito per strada, è la sfida che si spera venga raccolta da chi scrive e da chi legge, e – insomma – da chi voglia fermamente e con rettezza proseguire il cammino accanto alla crescita corale, alla speranza, alla cura di sé, delle altre persone, senza che predomini alcun pregiudizio collegato al genere: femminile, maschile… Insomma, che le pagine siano o tornino a essere candide, nel senso di pure, come gli sguardi: in soccorso, con il sorriso e le maniche rimboccate, e che insieme si possa dedicare tempo ad irrigare queste terre, con speranza e sorridendo. Grazie agli autori di questo libro.


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